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Edoardo Salzano
20071117 Difesa del paesaggio o monocultura turistica?
15 Agosto 2009
Articoli e saggi
Una nota di commento a un servizio dedicato dal settimanale Carta (n. 41, 17 novembre 2007) al destino turistico del borgo toscano di Castelfalfi

La buona cultura urbanistica italiana dell’ultimo mezzo secolo ha sempre considerato gli insediamenti storici come luoghi di eccellenza per più d’una ragione. Testimonianza di un modo di vivere a misura d’uomo, nel quale l’individuale e il sociale, il provato e il pubblico trovavano l’espressione e lo strumento per il loro equilibrio. Prodotto memorabile di un rapporto tra costruito e non costruito, tra città e campagna, tra manifattura e agricoltura, tra il pieno (di pietre, di abitanti) e il vuoto (ma pieno di natura, di lavoro, di cultura millenaria) delle campagne. Elementi nodali d’un paesaggio di rara bellezza, soprattutto nelle regioni nelle quali dall’assiduo lavoro della costruzione del territorio agrario nasceva la crescita d’una economia e d’una civiltà cittadine adornate anch’esse da suggestiva bellezza di forme.

I migliori piani regolatori che la storia dell’urbanistica italiana del dopoguerra ricordi sono caratterizzate da episodi e da persone che hanno combattuto (e a volte vinto) battaglie memorabili per tramandare al futuro questi elementi decisivi del patrimonio comune. Basta ricordare Edoardo Detti (al cui insegnamento Sandro Roggio qui accanto rinvia) e alla sua difesa delle colline di Firenze. Ricordare, scavalcando l’Appennino, la difesa delle colline di Bologna operata, negli stessi anni, da Armando Sarti e Giuseppe Campos Venuti. Ricordare il piano di Assisi e la disciplina meticolosa delle sue campagne nel piano regolatore guidato da Giovanni Astengo. E, per restare vicini a Castelfalfi, ricordare l’impegno con il quale Luigi Piccinato e Ranuccio Bianchi Bandinelli imposero il rispetto delle valli orticole che determinano - con le mura e gli edifici – il paesaggio di Siena.

La buona cultura urbanistica ha compreso che non solo le forme, ma anche le comunità devono essere tutelate. L’azione di tutela non è mera conservazione, ma amorevole accompagnamento e guida delle dinamiche della vita che consenta il prolungamento nel tempo delle regole, gli equilibri, i connotati (le “invarianti strutturali”) che la qualità di quei paesaggi, urbani e rurali, hanno costruito e mantenuto fino a oggi. Non solo le forme vanno tutelate, ma il loro rapporto con gli uomini: con le società che quei luoghi hanno abitato e spesso ancora abitano, li hanno costruiti e mantenuti per secoli e ancora possono essere aiutati a farlo.

Una società che cambia, ovviamente, negli individui che la compongono, negli obiettivi che la muovono, nei valori che la alimentano. Ma la saggezza ispirata da quei paesaggi storici e dalla loro storia sollecita a conservare, nelle trasformazioni, la fedeltà ai principi basilari e alle regole di fondo che hanno presieduto alla loro costruzione e consentito la loro durata. Così, le diverse funzioni che coabitano nelle città e nei paesi storici possono cambiare, ma deve essere conservata la mescolanza di ceti e mestieri, l’equilibrio tra residenti e forestieri e tra quotidianità ed eccezionalità e lo stretto rapporto tra la forma e le attività che caratterizzano il costruito e quelle che caratterizzano e disegnano il non costruito, il rurale.

Nulla di tutto questo è riconoscibile dei progetti proposti per Castelfalfi. Dove una volta il costruito prendeva risorse dal non costruito per accrescere il proprio benessere e restituiva forma del territorio agrario, paesaggio, domani dominerà esclusiva la monocultura turistica, la quale tutto prende al paesaggio senza nulla restituire. Gli stessi soldi prodotti dallo sfruttamento del territorio tornano alle multinazionali che lo sfruttamento hanno organizzato.

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