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PREAMBOLO

La terra

Chiamiamo terra il territorio vergine, dominato dalla natura. Abbiamo consapevolezza del valore della terra non urbanizzata, non coperta da cemento e asfalto, lasciata libera allo svolgimento del ciclo naturale. La terra, come componente naturale del pianeta, è un bene. La sua struttura fisica è una risorsa essenziale, ed essenziali sono le azioni che su di essa compiono le forme elementari della fauna e della flora. Occorre conoscere, amare, rispettare la terra in quanto tale. A partire dall’oscuro lavorìo che compiono i lombrichi e gli organismi primordiali che la lavorano, digeriscono, rendendola porosa, permeabile, suscettibile di ospitare e nutrire i germi della vita vegetale.

Le esigenze della società possono richiedere che qualche ulteriore pezzo di terra venga occupato dalla città: ma occorre dimostrare inoppugnabilmente che quella esigenza non può essere soddisfatta altrimenti. E bisogna sentire comunque questa scelta come una perdita, che è stato necessario subire ma che ci si deve proporre di risarcire, restituendo alla natura qualche altro frammento di suolo che non è più necessario all’urbanizzazione.

Il territorio

Il territorio è qualcosa di più che la terra. Il territorio è il prodotto della storia (del lavoro e della cultura degli uomini) e della natura Le civiltà umane hanno aggiunto qualità alla natura, ma non sempre, e non tutte. A volte, per accrescere la qualità nuova, hanno distrutto qualità preesistenti. Spesso le perdite sono irreversibili: non possiamo ripristinare quello che c’era e oggi non c’è più, ma possiamo imparare a comportarci in modo diverso da quei nostri avi (e dai quei contemporanei) che hanno distrutto invece di proseguire il lavoro dei loro predecessori.

Anche le qualità prodotte dalla storia dobbiamo conoscerle, amarle, rispettarle. Non solo ci rivelano spesso bellezza e saggezza, ma ci raccontano la storia, la nostra storia, la storia della civiltà che è parte di noi. Senza conoscenza della storia può esistere il presente, ma non può esistere un futuro migliore

Dobbiamo conoscere, amare e rispettare tutte le qualità presenti nel territorio. Nelle loro parti, e nel sistema che costituiscono nel loro insieme.

Sistema

Il territorio non è un semplice magazzino, un supporto o un giacimento di materiale inerte. Gli elementi che lo costituiscono hanno ordine tra loro, sono connessi in modo che una modifica in un punto, un’azione su uno di essi, modifica tutte gli altri.

Estrarre ghiaia e sabbia dall’alveo di un fiume riduce la quantità di materia inerte che arriva al mare, quindi favorisce l’erosione dei litorali. Irrorare con prodotti velenosi un’area permeabile rende pericolosa l’acqua in tutto il bacino alimentato dalla sottostante falda acquifera. Rendere artificiali le sponde di un tratto di fiume ne aumenta la velocità e la portata, e può provocare inondazioni e distruzioni a valle.

Non parliamo poi delle trasformazioni provocate dalla cattiva urbanistica. Aprire un supermercato alla periferia della città provoca un grande aumento del traffico, quindi richiede la formazione di nuove strade, parcheggi ecc; al tempo stesso, stimola l’apertura di altri negozi, servizi e funzioni che guadagnano dalla presenza di numerosi passanti. Allargare una strada e rendere più fluido il traffico in una parte della città provoca un afflusso di automobili generalmente maggiore dell’aumento della capacità della rete stradale che si è manifestato, e quindi richiede nuovi interventi che a loro volta generano maggior traffico.

La pianificazione

Se il territorio è un sistema, anche le azioni che lo trasformano devono essere viste in modo sistemico. L’uso del territorio e le sue trasformazioni devono essere governate nel loro insieme. Il metodo che è stato inventato quando si è compreso che il territorio doveva essere governato è la pianificazione (territoriale e urbana). Essa è quel metodo, e quell’insieme di strumenti, capaci di garantire - in funzione di determinati obiettivi - coerenza, nello spazio e nel tempo, alle trasformazioni territoriali, ragionevole flessibilità alle scelte che tali trasformazioni determinano o condizionano, trasparenza del processo di formazione delle scelte e delle loro motivazioni.

L’oggetto della pianificazione è costituito dalle trasformazioni, sia fisiche che funzionali, che sono suscettibili, singolarmente o nel loro insieme, di provocare o indurre modificazioni significative nell'assetto dell'ambito territoriale considerato, e di essere promosse, condizionate o controllate dai soggetti titolari della pianificazione. Dove per trasformazioni fisiche si intendono quelle che comunque modifichino la struttura o la forma del territorio o di parti significative di esso, e per trasformazioni funzionali quelle che modifichino gli usi cui le singole porzioni del territorio sono adibite e le relazioni che le connettono.

I conflitti

Il territorio è un patrimonio; è un insieme di risorse; è un sistema. Esso è anche l’ambiente nel quale si svolge la vita dell’uomo. Man mano che l’umanità si è sviluppata (in tutti i sensi in cui questo termine può essere adoperato) è diventata sempre più complessa la rete delle relazioni che legano gli uomini tra loro, che costituiscono la società. Il territorio non è più l’habitat del singolo uomo, ma è divenuto l’habitat della società.

Le trasformazioni indotte da ogni singolo individuo umano si sommano tra loro e modificano l’intero sistema. Le esigenze di ciascuno non possono essere soddisfatte se non affrontando (e soddisfacendo) le esigenze di tutti. Il territorio è un patrimonio che deve essere utilizzato nell’interesse di tutti.

Ma il territorio, e le risorse che in esso sono depositate, possono essere utilizzati in modi diversi, possono servire interessi diversi. Il territorio è perciò anche il luogo dei conflitti tra diversi gruppi sociali.

La pianificazione è anche il metodo attraverso i quali i conflitti possono venire regolati in modo non distruttivo. Di conseguenza la pianificazione non può essere governata da individui o gruppi che esprimano interessi di una parte sola della società: deve essere governate dalle istituzioni e dalle procedure mediante le quali si manifesta la sovranità della società nel suo insieme. La pianificazione deve essere lo strumento di un potere pubblico democratico, basato sulla partecipazione dei cittadini consapevoli.

Le regole

Poichè il territorio è soggetto alle azioni di una pluralità di attori, la pianificazione deve esprimersi mediante un insieme di regole, che costituiscono al tempo stesso i limiti e le opportunità per le azioni che ciascuno ha la capacità e il potere di esercitare.

Le regole devono valere per tutti: in tal senso devono essere eque. Ma esse non sono nè oggettive nè neutrali. Nella situazione presente (ma in qualche misura in tutte le situazioni) esse premiano alcuni interessi, ne penalizzano altri. È essenziale che sia chiaro a tutti (che sia trasparente) chi dalle regole della pianificazione urbanistica è premiato e chi è colpito.

Nella concreta situazione italiana il conflitto dominante è tra due gruppi di soggetti: (1) quelli interessati alla valorizzazione economica della propria proprietà, cioè quelli che utilizzano il territorio come una macchina per accrescere la loro ricchezza personale; (2) quelli interessati a veder soddisfatte le loro esigenze di cittadini: tutela dei beni comuni territoriali (paesaggio, risorse, energia) per sÈ e per i posteri; accesso a un’abitazione a prezzo ragionevole in una città equa; disponibilità di spazi e servizi pubblici efficaci e comodi; assenza di rischi e di bruttezze; possibilità di godere delle diverse qualità del patrimonio comune.

In una società come quella italiana il primo gruppo di interessi è indubbiamente il più forte. Di esso non fanno parte solo quelli che dispongono di ingenti ricchezze, ma anche gran parte dei piccolo proprietari che non vedono la contraddizione tra i due interessi. È comunque il primo gruppo d’interessi quello che domina il processo delle decisioni, che conosce gli strumenti mediante i quali si formano e trasformano le regole. È perciò necessaria una funzione politica e didattica: chi sappia rendere partecipi tutti dei modi in cui le scelte sul territorio modificano le condizioni di vita di tutti, degli interessi in gioco, delle alternative possibili, degli strumenti impiegabili per raggiungere gli obiettivi desiderati.

1 - IL TERRITORIO

1.2 - Tutela dell’integrità fisica del territorio

Si deve attribuire priorità alla tutela dell’integrità fisica del territorio, intesa come preservazione da fenomeni di degrado e di alterazione irreversibile dei connotati materiali del sottosuolo, suolo, soprassuolo naturale, corpi idrici, atmosfera, considerati singolarmente e nel complesso, con particolare riferimento alle trasformazioni indotte dalle forme di insediamento dell’uomo. In funzione di tale priorità ogni trasformazione fisica e funzionale del territorio prevista dagli atti di governo del territorio deve essere sottoposta a specifiche condizioni ed esplicita gli elementi da considerare per la valutazione degli effetti ambientali delle trasformazioni previste o prevedibili.

1.2 - Tutela del patrimonio storico e culturale e dell’identità del territorio

Uguale priorità si deve attribuire al patrimonio storico e culturale del territorio. I diversi luoghi che compongono il territorio possiedono ciascuno una specifica identità, rappresentata dal paesaggio, che è derivata dal modo in cui, nel tempo, gli abitanti e il territorio hanno interagito. Il riconoscimento di questa identità e la valutazione degli elementi di qualità da conservare e degli elementi di degrado da correggere deve essere compiuta in relazione stretta, ma non esclusiva, con la società che abita quel luogo. Il paesaggio, il patrimonio culturale, le risorse del territorio sono beni che appartengono all’intera umanità, e come tali deve essere tutelati anche in relazione agli interessi delle comunità più vaste.

1.3 - Fabbisogno e consumo di suolo

Le scelte di trasformazione del territorio devono essere basate su un’accurata valutazione dei fabbisogni di residenze, sedi per le attività produttive, commerciali basati su stime attendibili e su risorse certe relative a un arco di tempo definito. Esse devono essere sottoposte a pubblico dibattito. Da esse devono essere sottratte le disponibilità di immobili (aree ed edifici) attualmente urbanizzati ma non utilizzati. La localizzazione delle quote eventualmente residue, e quindi l’individuazione di ulteriori aree urbanizzabili, deve essere computa nel rispetto delle priorità di cui ai precedenti articoli.

1.4 - Il territorio oggi: invece…

Oggi, invece, il territorio è considerato come un contenitore neutrale a disposizione di chiunque, avendone il potere e potendone acquisire la proprietà, voglia utilizzarlo come fonte di arricchimento personale, come luogo nel quale depositare i rifiuti e gli ingombri d’ogni genere, come miniera dalla quale estrarre risorse privatizzabili e commerciabili, dai metalli pregiati alle fonti energetiche, dai materiali lapidei per il ciclo edilizio all’acqua, dalle cavità da usare come discariche di materiali inquinanti alle superfici da sottrarre al ciclo naturale per “valorizzarle” nell’interesse esclusivo dei proprietari per usi socialmente inutili.

2. - LA CITTÀ

2.1 - La città è un bene comune

La città è un bene comune e deve essere considerata, organizzata e vissuta in quanto tale. L’ecosistema urbano è l’habitat dell’uomo. La città è il risultato della plurimillenaria invenzione e ricerca di un luogo che potesse soddisfare le esigenze legate alla vita associata degli uomini. La città è la casa della società: è stata costruita dalla società, con la cultura, il lavoro, gli investimenti della collettività nel suo insieme. Sebbene la vita contemporanea abbia allargato la prospettiva della vita sociale e abbia esteso le funzioni urbane a spazi più ampi (dalla città racchiusa nei suoi confini si è passati al territorio urbanizzato) le città costruite nei millenni della nostra storia sono rimaste la testimonianza più alta della vita civile, e tali devono essere in maniera sempre più piena.

2.2 - Il governo della città

La città e le sue trasformazioni devono essere governate in ragione della sua funzione sociale. Devono essere governate in ragione delle esigenze, degli interessi, delle aspettative e delle speranze della società che la adopera o vuole adoperarla: per abitarvi, per lavorare, per incontrarsi, e per trovare il necessario equilibrio tra le esigenze della vita personale e privata e la esigenze della vita collettiva e pubblica. Di conseguenza la città deve essere governata garantendo:

- un sistema di regole di uso del territorio che garantiscano a ogni suo abitante la massima diffusione dei diritti di cittadinanza quali la salute, la mobilità, la libertà di cultura e di istruzione pubblica, la casa, la sicurezza sociale, la disponibilità di spazi per la ricreazione, lo sport, la via attiva nella natura;

- una specifica attenzione agli spazi pubblici affinchè siano resi attrattivi, sicuri e utilizzabili da tutti, aperti alla partecipazione attiva (alla libera espressione delle proprie opinioni) di tutti i gruppi sociali quale che sia la loro cultura, stato sociale, età, provenienza, lingua, mestiere;

- la definizione di un assetto della mobilità che temperi l’esigenza di spostarsi con quella di garantire la salute e la sicurezza dei cittadini, e che perciò riduca la necessità degli spostamenti mediante un’adeguata localizzazione delle funzioni, privilegi il trasporto non inquinante e accessibile a tutti (al pedone e al ciclista), e il trasporto collettivo su quello individuale;

- una pianificazione, progettazione, organizzazione, costruzione e gestione del territorio, della città e delle sue parti tali da consentire il massimo risparmio di energia.

2.3 - La città oggi: invece…

Anche la città, come il territorio, è invece soggetta oggi a un processo di appropriazione privata di tutti i suoi elementi. È un processo che nasce da alcuni secoli ma che, vincendo ogni tentativo di contrasto, sta raggiungendo oggi livelli raramente raggiunti in passato. Il processo è iniziato con l’appropriazione privata dei terreni originariamente pubblici, o comunque sottoposti a stringenti regole pubbliche per la loro utilizzazione edilizia. E stato contrastato soprattutto nel secolo scorso, con il varo di politiche pubbliche volte a garantire l’accesso alla casa ai ceti meno abbienti e soprattutto a dotare la città di spazi, attrezzature e servizi necessario per le cresciute esigenze della popolazione (welfare urbano). È proseguito negli ultimi decenni con la privatizzazione e mercificazione degli spazi pubblici, con l’attribuzione al libero mercato (cioè al gioco degli interessi economici) di funzioni che erano geloso appannaggio del potere pubblico (dalla salute all’apprendimento, dai servizi pubblici essenziali allo smaltimento dei rifiuti, dall’approvvigionamento energetico alla distribuzione dell’acqua).

3. - LA SOCIETÀ

3.1 – Città e società

Città e società sono legate da un rapporto inscindibile: sono l’una lo specchio dell’altra. Se la città è la casa della società, la società è l’anima della città. Chi vuole agire per una città migliore, più vivibile per tutti, più equa e più amichevole, deve agire contemporaneamente perchÈ questi requisiti vivano nella società.

3.2 – La società che vogliamo

La società che noi vogliamo è una società equa, aperta, accogliente e solidale. Una società nella quale ciascuno sia diverso dagli altri ma nessuno sia più o meno importante di nessun altro; una società in cui le differenze (tra generi, età, condizioni fisiche, ceti sociali, mestieri, lingue e culture, nazionalità ed etnie) non siano solo tollerate nÈ tanto meno siano ragione di esclusione o discriminazione, ma siano vissute come ricchezza comune. Una società in cui lo straniero sia accolto, il debole sia difeso. Una società nella quale il lavoro, l’abitazione, l’accesso ai servizi, la mobilità sul territorio siano garantiti a tutti.

3.3 – La società e la politica

Essere politico significa avere il dovere e il potere di occuparsi responsabilmente del governo della cosa pubblica. In questo senso ciascun cittadino è politico ed è chiamato dalla società ad agire politicamente. La società deve essere organizzata in modo da facilitare l’espressione politica del cittadino, ossia la sua partecipazione critica alle scelte sul governo della città e delle comunità cui appartiene (il quartiere, la città, la provincia e la regione, la nazione, l’Europa, il mondo).

3.3 – Una società da cambiare

La società nella quale viviamo è ben diversa da quella che vogliamo. Siamo consapevoli della distanza che le separa e dello sforzo collettivo che è necessario per avvicinare la società che esiste a quella che vogliamo. Nei limiti delle nostre risorse vogliamo partecipare a questo sforzo.

3.4 – La società oggi nel mondo

Ciò che soprattutto ci ferisce nella società di oggi è:

L’assunzione del successo economico e della ricchezza personale come valore universale e dominante,

la scelta della quantità della produzione di merci (indipendentemente dalla loro utilità sociale e umana) come parametro riassuntivo del livello di sviluppo della società,

la conseguente sollecitazione al consumo di merci indipendentemente dal loro reale valore per gli uomini, la trasformazione dei cittadini in clienti,

li riduzione alla competizione economica ogni rapporto tra persone, città, nazioni.

3.5 – In Italia ci proponiamo di contrastare…

In questo quadro, in Italia ci proponiamo di contrastare particolarmente:

il consolidamento e la crescita delle disuguaglianze tra ricchi e poveri, forti e deboli, privilegiati e sfavoriti;

l’aumento delle chiusure egoistiche, delle esclusioni, ghettizzazioni, recinzioni visibili (nella città) e invisibili (nella società);

la continua riduzione del peso degli spazi per la discussione, il dibattito, la manifestazione del dissenso e delle alternative alle scelte dei più forti;

il crescente trasferimento di funzioni pubbliche (nel campo dell’apprendimento, della salute, della sicurezza sociale, …) a operatori privati e comunque a strutture interessate innanzitutto al vantaggio economico delle azioni svolte,

gli sprechi di risorse derivanti dai modi in cui è finalizzata la produzione (la crescita indefinita dei consumi di merci spesso inutili, a volte dannose) e sono organizzI il confezionamento e la commercializzazione delle merci prodotte e la gestione dei rifiuti.

3.6 - …e ci proponiamo di promuovere

Non vogliamo limitarci alla protesta e al contrasto delle azioni che consideriamo negative. Ci proponiamo di promuovere, anche diffondendone la conoscenza, le pratiche nelle quali si manifesta un modo di organizzare la città e le sue parti, il territorio, l’economia, la vita sociale in modi coerenti con i principi che abbiamo enunciato.

4. - LA RESISTENZA

4.1 – Preoccupazioni e proposte alternative

In tutto il mondo si manifestano iniziative volte a criticare la situazione esistente e a proporre di modificare le prospettive preoccupanti che il suo proseguimento solleva, soprattutto in riferimento a due ordini di questioni:

da un lato le conseguenze che lo sfruttamento rapace delle risorse del pianeta, il carattere esponenziale della produzione di merci, il crescente consumo di energia, la privatizzazione e mercificazione di beni comuni essenziali (l’acqua, la terra e le sue capacità naturali, …) provoca sul futuro del pianeta;

dall’altro lato, le crescenti ingiustizia nella distribuzione delle risorse e del potere tra le diverse parti del mondo: la disparità tra Nord e Sud del mondo non avviene solo a scala dell’intero pianeta, ma analoghe differenze e disuguaglianze si manifestano anche all’interno dei singoli stati, regioni, città.

4.2 – I movimenti: differenze

I gruppi di cittadini, i comitati e i movimenti, le associazioni e organizzazioni che hanno avviato processi di resistenza alle tendenze in atto, alle ingiustizie e ai rischi che queste che comportano, sono spinti da esigenze diverse. Spesso si tratta di resistenze e opposizioni a scelte che colpiscono localmente interessi comuni di gruppi di cittadini, altre volte si tratta di proteste e proposte che vogliono contrastare azioni e prospettive che colpiscono gruppi più vasti, o l’intera umanità. A volte si tratta di azioni racchiuse nell’orizzonte limitato della protesta, altre volte di pratiche capaci di proporre alternative concretamente raggiungibili. A volte si tratta di iniziative che non riescono ad andare oltre l’ambito locale, altre volte di azioni capaci di collegarsi a rivendicazioni, proteste, proposte riferite ad ambiti più vasti.

4.3 – Difficoltà e fragilità

Molte sono le difficoltà che i movimenti (raggruppiamo sotto questa dizione i diversi raggruppamenti di cittadini cui ci riferiamo) devono incontrare e i motivi della loro fragilità. Ma ancora maggiori sono le potenzialità, e soprattutto la necessità, della loro azione. Sono fragili perchÈ sono nati e sopravvivono sulla base del volontariato, investendo risorse (di tempo, di attrezzature, di finanze) molto limitate. Sono fragili perchÈ raramente hanno accesso alle stesse informazioni e alle stesse capacità di elaborazione di cui dispongono i poteri che vogliono contrastare. Sono fragili perchÈ raramente hanno la possibilità di durare nei tempi lunghi che i problemi affrontati richiederebbero.

4.4 – Necessità e potenzialità

La loro necessità nasce dal fatto che sono l’unica forze capace di criticare le tendenze in atto, visto il declino (particolarmente in Italia) della politica dei partiti, la crisi delle istituzioni democratiche, l’incapacità dei governi (in Italia, in Europa e nel mondo) di affrontare le grandi spinte ambientali e sociali che la realtà impone. Le loro potenzialità stanno tutte nella loro capacità di aggregarsi, di collaborare, di mettersi in rete condividendo risorse, moltiplicando la loro visibilità e capacità di mobilitazione, conoscenze e informazioni, saperi diffusi e saperi esperti. I forum sociali europei e mondiali, le iniziative delle reti italiane sono segni e strumenti di queste potenzialità.

5. - IL VENETO

5.1 – La politica della giunta regionale e dei poteri forti

La situazione drammatica del territorio veneto è chiaramente denunciata negli stessi documenti ufficiali della Regione. La documentazione di base del recente Piano territoriale regionale di coordinamento lo illustra in numerosi suoi aspetti, come documenta le grandi potenzialità che i suoi paesaggi e le sue città ancora costituiscono per il futuro di questa regione.

Nonostante la denuncia degli errori commessi nel passato, e contraddicendo alcune buone pratiche attivate in attuazione della legge Galasso (431/1985), l’attuale Giunta regionale persegue un disegno di cementificazione del territorio, mediante la mobilitazione di tutte le risorse della speculazione immobiliare grande e piccola, che è stata denunciata in tutti i suoi aspetti nell’azione compita dai 125 comitati, associazioni e gruppi di cittadinanza attiva del Veneto mobilitati in occasione della contestazione di quel piano.

La realizzazione di grandi i infrastrutture inutili, spesso dannose, progettata senza razionalità inseguendo le peggiori tendenze di sviluppo della mobilità su gomma è uno dei punti di forza di questo disegno. La realizzazione di nuovi insediamenti, utili solo agli interessi patrimoniali dei grandi gruppi finanziari, strettamente collegata alle prospettive di rilancio della politica autostradale è un ulteriore tassello di questo disegno, la cui regia è sottratta al controllo delle istituzioni locali e dei cittadini mediante il sempre più frequente ricorso alla tecnica dell’attribuzione di poteri a commissari straordinari scelti dall’esecutivo regionale.

Il disegno della giunta regionale e dei poteri forti che essa aggrega e controlla, è completato da norme permissive che incentivano il consumo di suolo, la piccola speculazione immobiliare, e pratiche di perequazione finalizzate solo all’aumento dei valori immobiliari. Le ricchezze del paesaggio e dell’ambiente sono evocate retoricamente, ma costituiscono la variabile dipendente del modello di sviluppo prescelto. La legge per l’incentivazione sregolata dell’attività edilizia, benché corretta in consiglio regionale dall’azione di consiglieri sensibili alle critiche dei comitati e delle associazioni, è un ulteriore strumento in questa direzione.

5.2 – Nei comuni del Veneto

Contemporaneamente si sviluppa, in moltissimi dei comuni della regione, un’azione volta a privatizzare gli spazi pubblici, a privilegiare le opere e le iniziative di prestigio scenografico rispetto agli investimenti socialmente utili, a reagire alla strozzatura delle finanze locali con l’estensione immotivata delle aree edificabili, allo storno degli oneri di finalizzati dalla legge alla realizzazione di spazi pubblici.

Molte aree e città del Veneto sono inoltre all’avanguardia nelle pratiche di discriminazione razzista, di fomentazione dell’odio verso il forestiero, il diverso, il povero, di riduzione degli spazi di dibattito, di confronto, di manifestazione del dissenso.

5.3 – Per la costruzione di un altro Veneto

Questa situazione è stata denunciata e contrastata dalla grande campagna di promozione e raccolta di critiche e contestazioni al piano regionale, i cui documenti e le cui azioni sono alla base della decisione di costituire la Rete. Ci proponiamo adesso di passare dalla critica e dalla protesta (che rimarranno tra i nostri impegni prioritari) alla formulazione di proposte per l’avvio della costruzione di un nuovo Veneto.

Ci proponiamo in particolare:

di costruire una mappatura delle aree e dei beni comuni a rischio, delle azioni popolari poste in essere per la loro difesa e per la conquista di nuovi spazi pubblici e nuove aree di tutela delle qualità del paesaggio, dei beni culturali, del paesaggio, e dei gruppi di cittadini che si battono in questa direzione;

di promuovere la formazione di un piano paesaggistico regionale, sulla base delle disposizioni del codice dei beni culturali e del paesaggio e del materiale ddi analisi e di proposta contenuto nei documenti allegati al Ptrc ma da esso ignorati e contraddetti;

promuovere la formazione di una nuova legge urbanistica che ristabilisca in pieno il carattere pubblico della pianificazione, la priorità delle scelte finalizzate alla tutela dei patrimoni e dei beni comuni, la preminenza degli interessi dei cittadini (in termini di equità, vivibilità, sostenibilità) rispetto a quelli della proprietà immobiliare.

La Carta è stata approvata nel corso dell’Assemblea costitutiva della Rete (23 gennaio 2010), con l’intesa che essa sarà integrata con ulteriori argomenti man mano che l’elaborazione dei contenuti, nel corso dell’attività dei Tavoli di lavoro, ne porterà altri a condivisa maturazione.

Incominciamo dalla fine. Sabato 30 gennaio a Mestre si è formalmente costituita una associazione regionale che ha lo scopo di mettere in rete comitati, associazioni, gruppi di cittadinanza attiva sorti a difesa del territorio e dell’ambiente. Per ora sono trentatré. Tra di essi vi fanno parte, a loro volta, dei coordinamenti territoriali (come il forte Cat che raggruppa una decina di comitati del Veneto centrale tra Venezia e Padova dove insistono enormi interventi speculativi e il Coordinamento del basso Polesine dove si concentrano tutte le possibili e immaginabili infrastrutture energetiche, dal rigasificatore off-shore alla centrale nucleare), il comitato Acqua bene comune che fa da capofila regionale della mobilitazione contro la privatizzazione, la assemblea permanente No-Mose, la rete dei comitati NO Autostrada Romea, la onlus Zone che edita Eddyburg, il dipartimento ambiente e territorio della Cgil regionale, una sezione della Lipu, il centro politico e culturale Carotti di Bassano, un circolo della Decrescita Felice e , soprattutto, tanti comitati locali che funzionano da “nodi territoriali” della rete (l’elenco completo lo si può trovare nel sito Estnord dei Cantieri Sociali che hanno fatto da “levatrice” alla nuova rete).

L’obiettivo dei promotori è di allargare il cerchio delle solidarietà, estendere la rete della mutualità, condividere informazioni, esperienze, saperi. Esigenze che appaiono ovvie di fronte alla sistematicità con cui procede la devastazione del territorio, ma per niente facili da concretizzare. Non è la prima volta che si sono tentati coordinamenti e reti tra le associazioni ambientaliste. Alcuni anni fa, sulla spinta delle perorazioni di Andrea Zanzotto (ricordo lo splendido: “In questo progresso scorsoio, conversazione con Marzio Breda, Garzanti, 2009) e degli studi di Francesco Vallerani e Mauro Varotto (Il grigio oltre la siepe. Geografie smarrite e racconti del disagio in Veneto, Nuovadimensione, 2005) Italia Nostra aveva tentato una sosta di sacra alleanza, ma è finita con qualche importante convegno. Prima ancora, già a fine degli anni novanta, quando era ormai evidente dove portava la deregolamentazione urbanistica con il capannonificio e lo svillettamento, nella città diffusa, infinita, “senza forma e senza anima” (Eugenio Turri), l’Osservatorio Veneto aveva avviato una mappatura dei conflitti e dei comitati (Difendere l’ambiente nel Veneto: conflitti e comitati locali, a cura di Antony Zamparutti, quaderno n.3 Osservatorio Veneto, 2000).

Ora si riparte sulla scorta di una straordinaria mobilitazione durata più di un anno contro il Piano Territoriale Regionale di Coordinamento, un “meta piano” che secondo il governatore Galan e la folta schiera di prestigiosi consulenti arruolati per l’occasione avrebbe dovuto rappresentare un nuovo Veneto, il “Terzo”, dopo quelli della pellagra e del miracolo economico, quello della qualità, dell’eccellenza, persino della bellezza. Miserrime mistificazioni. Odiose prese in giro. Persino trucchi e bugie da piazzisti, tra cui il tentativo di spacciare il Ptrc come nuovo Piano paesaggistico, senza avere ottenuto, però il consenso dei Beni ambientali. In realtà, come è stato possibile dimostrare durante una lunga serie di tavoli di lavoro avviati dai comitati e dalle associazioni ambientaliste, ospitati dall’Istituto Universiatrio di Architettura di Venezia, dall’Università Iuav di Venezia, l’operazione Ptrc non era altro che un lasciapassare a tutti i progetti di trasformazione territoriale presenti e futuri voluti dagli immobiliaristi: un delirio di autostrade, una costellazione di new-city (Veneto City, Marco Polo City, Città della Moda, Motor City… per alcune decine di milioni di metricubi), a cui si sono aggiunti il Piano case e l’Olimpiade. Un vasto lavoro di approfondimento dei contenuti del Ptrc e di controinformazione ha fatto capire a molti comitati locali e gruppi di cittadinanza attiva che i loro problemi non sono dovuti a particolari sfortune, a malsane mire di qualche costruttore e amministratore colluso, ma obbediscono ad una logica generale: la speculazione immobiliare/finanziaria e la subordinazione dei poteri pubblici.

Fare fronte comune, quindi è condizione indispensabile per tentare di contrastare la distruzione del territorio. Ad alcuni comitati nacque così l’idea di approfittare dello stretto pertugio lasciato dalla legislazione urbanistica tramite le “osservazioni” ai piani e di provare, con esse, a sommergere la Regione. Alla fine, dopo decine di incontri e assemblee, un “corso di urbanistica a cielo aperto” durato tre mesi, nel giorno pattuito della raccolta, il quattro luglio, intorno ad un pozzo di campo di Venezia, sotto la sede della Rai, sono arrivate 14.021 (quattordicimilaventuno) diverse osservazioni firmate in duplice copia da miglia di cittadini, raccolte in scatoloni, borse, faldoni, carretti e carrettini provenienti da tutte le parti del Veneto. Tanta la confusione e la festa per il successo dell’iniziativa che solerti poliziotti della Digos hanno ben pensato di denunciare gli organizzatori per “manifestazione non autorizzata” (procedimento giudiziario in corso). Straordinari garantiti per l’ufficio protocollo della Regione e ferie saltate per i consulenti degli uffici urbanistica. Ma ormai il velo era stato strappato e le controdeduzioni alle osservazioni preparate un tanto al chilo dagli uffici non sono riuscite a convincere nessuno. Nemmeno i consiglieri regionali della maggioranza di centro destra. Una serie di affollate audizioni richieste alla commissione urbanistica del Consiglio e un accordo tra il coordinamento dei comitati e i partiti di opposizione hanno spinto il Ptrc in un binario morto. Quello che doveva essere il fiore all’occhiello dell’ultimo governatorato di Galan si è appassito prima del tempo. Le ultime parole pronunciate dal suo assessore all’urbanistica Marangon

sono di quelle destinate a rimanere nella storia: “Le osservazioni al Ptrc non lo fermeranno” (Corriere del Veneto, 25 luglio 2009). Ed invece il megapiano non è stato approvato e rimane quindi solo un’eredità carica di ipoteche per la giunta che verrà.

Nel frattempo i comitati e le associazioni (centoventi, circa) che avevano dato vita all’opposizione al Ptrc hanno continuato a tenersi in contatto e hanno maturato l’idea della rete. Un meeting nello splendido scenario di Forte Marghera (un complesso militare austriaco ai bordi della laguna, sdemanializzato e già nelle mire della Impregilo) nell’ottobre dello scorso anno ha dato vita a nuovi tavoli di lavoro, questa volta su “Il Veneto che vogliamo”, tentando di passare dalla protesta alla proposta, per uscire dall’angolo della resistenza e tentare di anticipare i temi dell’agenda politica. Un ponderoso documento collettivo è disponibile in rete (sia nel sito di Estnord che in quello di Eddyburg), mentre una supersistesi in chiave elettorale è stata inviata ai candidati alle regionali. Tracce di buongoverno che difficilmente verranno seguite, ma che costituiranno comunque i punti di riferimento delle prossime mobilitazioni.

Il problema è che questa moltitudine di comitati e movimenti locali stenta a riconoscersi come una galassia legata da un disegno comune. A volte a causa di un localismo miope, altre volte a causa del doppio gioco della Lega Nord (e, in genere degli amministratori locali) che irretisce e illude. Altre volte ancora a causa di un malinteso senso di autonomia che condanna all’isolamento i singoli comitati e le singole associazioni. Per diversi motivi, insomma, le molte “comunità resistenti” e “insorgenti” (“minoranze organizzate”, le ha apostrofate con disprezzo il governatore Galan) non riescono ad autorappresentarsi e a interloquire direttamente con le controparti private e pubbliche che depredano, inquinano, svalorizzano il territorio. Superare diffidenze e preconcetti non è facile. Anche nel Veneto e nonostante la buona prova fornita con la lotta al Ptrc si scontrano scuole di pensiero diverse: le associazioni ambientaliste storiche che preferiscono muoversi senza troppe contaminazioni; i comitati e i presidi più combattivi che non tollerano limiti alla propria autonomia; i partiti che temono la formazione di liste civiche; altri gruppi che all’opposto sono attratti dalle competizioni elettorali.

L’associazione della Rete dei comitati del Veneto nasce esplicitamente con il temerario obiettivo di coniugare autonomia e auto-rappresentanza. Leggendo il suo statuto si capisce bene che la centralità è nella comunità di lotta che si forma attorno al comitato, al presidio, al circolo locale dell’organizzazione ambientalista, al gruppo spontaneo di cittadinanza attiva. E’ qui che si forma il soggetto sociale collettivo che prende in carico il problema, se lo studia, si dà le strategie d’azione. E’ solo a questo punto e nel momento in cui la “comunità insorgente” coglie la necessità di collegarsi ad altri per saperne di più, per comunicare al mondo esterno, per trovare solidarietà e alleanze che si fa trovare la Rete. Un sistema di relazioni e di comunanze; di saperi che si socializzano e di rapporti umani caldi.

La Rete veneta ha scelto quindi di essere una organizzazione di secondo grado, niente iscrizioni individuali, ma con un largo comitato scientifico cui sono chiamati a far parte tutti coloro che sanno qualcosa che può essere utile se messo a disposizione della rete. Una rete orizzontale, flessibile, non identitaria, priva di gerarchie, ma organizzata. Permanenza e stabilità per non disperdere in tanti fuochi di paglia le mille, faticose esperienze che gli abitanti sono costretti a sostenere a difesa della qualità del territorio, per sedimentare conoscenze, per moltiplicare la potenza comunicativa, per riuscire ad aprire interlocuzioni con le controparti più distanti e impermeabili. Una organizzazione necessaria per riuscire ad aprire vertenze le cui problematiche hanno scala territoriale regionale; pensiamo solo alle opere che la regione autorizza “in deroga” agli strumenti urbanistici locali, agli inceneritori decisi in assenza di piani regionali, alla privatizzazione delle reti idriche, alle cave, alle polveri sottili inalabili, alla pianificazione delle centrali elettriche, alle reti ecologiche e alle aree protette…

Ma le buone intenzioni non bastano ancora a fugare i dubbi: chi dice organizzazione evoca infatti immediatamente deleghe, oligarchie, separatezze. Ed è qui che ai veneti sono venuti in aiuto Gandhi, Aristotele e anche il Gran consiglio della Repubblica serenissima! Mentre l’assemblea della Rete è composta semplicemente dai delegati di ciascun comitato o associazione aderente (due per comitato, con la calda raccomandazione del rispetto dei generi), il “gruppo di coordinamento”, che deve rimane in carica sei mesi ed è l’organismo che di fatto guida la Rete, è stato nominato per sorteggio. Così, come da statuto, i delegati, riunitasi nella sede dell’Altra Economia di Mestre, hanno scritto il loro nome su tanti post-it, li hanno ripiegati e racchiusi in un’urna (in realtà era una caraffa di vetro) , quindi sono stati estratti i dodici nomi del comitato di coordinamento che lavorerà per sei mesi. Unica complicazione la accortezza di procedere alla estrazione di almeno un delegato per ognuna delle sette provincie del Veneto, per garantire la rappresentanza territoriale. Per la prima volta – a mia memoria – una “elezione” si conclude senza tensioni, con tanti sorrisi; un bel gioco di società.

Non c’è stato nemmeno bisogno di sorteggio per individuare il presidente, invocato a gran voce, in Edoardo Salzano. Mentre i portavoce sono stati scelti tra quelli sorteggiati: Valter Bonan, già presidente dell’ente parco delle Dolomiti bellunesi e Mirco Corato, giovane attivista del gruppo Partecipazione di Monteviale di Vicenza. Auguri a tutti.

Si è svolta ieri a Vicenza, nell'ambito di Festambiente, un'assemblea dei gruppi, associazioni e comitati del veneto, cui hanno partecipato oltre un centinaio di persone e da decine di comitati di tutto il Veneto. Già raccolte alcune migliaia di firme in calce alle 55 osservazioni di critica puntuale al Piano territoriale regionale di coordinamento (Ptrc, «soprannominato» Piano di cementificazione) licenziato dalla giunta regionale del Veneto. Venerdì 3 luglio verranno consegnati gli scatoloni con le osservazioni firmate verranno consegnate alla Giunta Regionale. In programma non solo contestazioni, ma la decisione di formulare un programma alternativo per la costruzione di un Veneto più vivibile e giusto.

Decine i comitati che dal Polesine alla riviera del Brenta, dal basso veronese al Garda, dal bellunese al vicentino hanno affollato, ieri pomeriggio, il tendone dei dibattiti di Festambiente per l'assemblea, promossa dai Cantieri sociali dell'Estnord, di critica e mobilitazione contro il Ptrc. L'assemblea è stata presieduta dall'urbanista Edoardo Salzano e da Roberta Manzi del coordinamento dei comitati della riviera del Brenta.

«Il piano afferma di voler tutelare l’ambiente e il paesaggio – ha affermato Salzano nel suo intervento introduttivo -, contrastare il consumo di suolo, migliorare la vivibilità, ma nella sostanza attribuisce a se stesso il potere di eseguire i grandi interventi di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio e lascia mano libera ai piccoli, medi e grandi poteri immobiliari di trasformare a loro piacimento il resto del territorio».

Un allarme che è rimbalzato tra le decine d'interventi dei diversi comitati che hanno sottolineato come sia oggi già in corso un nuovo devastante «saccheggio del territorio e dei beni comuni».

Dal Moto City nel veronese a Veneto city nel veneziano, alla camionabile che attraverserà la riviera del Brenta al prolungamento dell'A27 che irromperà nel paesaggio dolomitico, sono innumerevoli gli scempi che si stanno per abbattere su un territorio già martoriato.

Un'assemblea partecipata da comitati, circoli di Legambiente, esponenti della Cgil, intellettuali ed esperti (il geografo Francesco Vallerani, gli urbanisti Sergio Lironi, Andrea Draghi, Cristiano Gasparetto e Carlo Costantini) che non solo ha confermato l'intenzione di contrastare il Ptrc della Regione, ma anche di «proporre alternative praticabili e convincenti per costruire una convivenza migliore tra le persone, l'ambiente e la qualità complessiva della vita». Si è deciso di avviare la costituzione di una Rete dei comitati per la difesa del territorio nel Veneto, e di dedicare successivi incontri (nel prossimo autunno), per affrontare i temi della costituzione della Rete, di una carta dei principi e di una proposta per un Veneto sostenibile e giusto, a partire dal lavoro già fatto per la critoica delle proposte della Regione.

IVedi anche il documento che inquadra le osservazioni ed esprime una valutazione complessiva del Ptrc, Verso un altro Veneto. Gli alatri materiali sono disponibili sul sito dei cantieri sociali, Estnord.it

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