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Un'iniziativa straordinaria per far uscire Venezia dalla situazione di stallo e decadenza sociale in cui sembra essersi infilata. Chi è interessato legga e se possibile intervenga alla grande Assemblea pubblica il 18 maggio 2019. (m.b.)
Cari affezionati frequentatori di Eddyburg, specie se veneziani o amanti di Venezia, queste brevissime note vogliono informarvi su una iniziativa di cui moltissimi cittadini da tempo sentono la necessità: mettere insieme le idee e le forze per far uscire Venezia dalla situazione di stallo e decadenza sociale in cui sembra essersi infilata. L’iniziativa intende lavorare ad un percorso che abbiamo chiamato Per un’altra città possibile e intende iniziare questo lavoro collettivo attraverso una grande Assemblea pubblica il 18 maggio 2019.
Per un’altra città possibile
Venezia insulare e mestrina attraversano oggi un periodo di grande vivacità. Moltissime associazioni, comitati, gruppi e anche singoli cittadini si stanno attivando non solo per rappresentare lo scontento e la critica per le molte cose che non vanno, ma soprattutto per esprimere idee di cambiamento e proporre azioni concrete per rendere possibili i cambiamenti desiderati. Dunque la città è ancora viva e piena di idee, di saperi e di voglia di agire. Ma la collettività urbana è anche assai frammentata e i molti rivoli non riescono a dar luogo ad un grande, potente e ben riconoscibile fiume.
Perché una Assemblea cittadina?
L’Assemblea del 18 maggio vuole essere l’inizio di un percorso per cercare di mettere insieme questa ricchezza e per dare forma a un’idea condivisa di futuro per Venezia e Mestre. Non un’idea astratta, ma la proposta di una città possibile, che attinga a questo patrimonio di esperienze pratiche, di conoscenze e di speranze. Un’idea di città capace di essere riferimento obbligato per le amministrazioni che verranno. La cittadinanza attiva è infatti la risorsa più preziosa per indicare le possibili strade e i metodi per riportare al centro i bisogni della comunità reale.
In preparazione dell’Assemblea moltissime realtà esistenti nel nostro territorio sono state contattate attraverso le staffette e hanno aderito alla prospettiva di provare a mettere in piedi una grande rete che a partire dall’Assemblea del 18 maggio consenta di discutere idee e proposte insieme a tutti i cittadini e le cittadine che vorranno intervenire. Per favorire la raccolta delle idee da cui partire il 18 maggio, le staffette hanno chiesto alle realtà contattate di declinare i loro interessi e le loro proposte secondo tre grandi aree tematiche: la questione dei beni comuni, la questione della vivibilità urbana e la questione delle pratiche di democrazia. Tre aree fatte di molte componenti, che tutte sicuramente hanno a che fare con i caratteri e l’organizzazione dell’altra città possibile.
Chi sono le staffette?

Un buon numero di persone appartenenti a diverse associazioni si sono impegnate a contattare le esperienze presenti in città, ascoltando percorsi, progetti, pratiche in vista dell’Assemblea. Le staffette sono dunque ascolto e collegamento. Ascoltare è infatti il primo passo necessario per costruire una voce collettiva, dove ognuno possa avere la propria parte. Comitati e associazioni sono stati incontrati, talvolta più volte, in altri casi è bastato poco per intendersi. Oltre all’ascolto sono stati consultati i documenti prodotti e pubblicati in rete dal mondo associativo. Già da questa esplorazione sono emersi priorità e contenuti condivisi che, riportati nell’articolazione interna delle tre aree tematiche generali, aiuteranno l’avvio della discussione del 18 maggio.

Che cosa succederà il 18 maggio?

Nell’Assemblea il compito che ci attende è quello di lavorare in piccoli gruppi attorno a un tavolo, facendo tesoro della ricchezza e delle idee che già esistono. Ci saranno ovviamente molti tavoli e occorrerà un buona organizzazione. Il metodo scelto per il funzionamento dell’Assemblea è quello, ben sperimentato, del town meeting, che aiuterà il confronto e la raccolta delle idee e permetterà una sintesi efficace. Si partirà dai temi registrati dalle staffette nel lavoro di ascolto e dagli spunti di discussione derivanti dalla ricognizione dei documenti del mondo associativo, organizzati nelle tre tematiche generali prima ricordate. Per ogni tema saranno poste inizialmente alcune domande, con la funzione di avviare il dibattito. La discussione di ogni tavolo, assistita dalla presenza di un “facilitatore” è collegata in rete con un tavolo centrale dove esperti “partecipatori” cureranno la sintesi e la comunicazione in tempo reale a tutti gli altri tavoli. Saranno anche possibili altre forme di interlocuzione: ad esempio attraverso il proprio smartphone si potranno assegnare priorità e preferenze alle opzioni che sembrano promettenti. In ogni caso ampio spazio sarà dedicato ad un tema cruciale, cui tutti tengono molto: come continuare?

Al termine dell’incontro, dopo pochissimo tempo, gli esperti partecipatori renderanno disponibile per tutti una sintesi delle cose dette, con il riconoscimento dei temi risultati più rilevanti e più coinvolgenti e la definizione condivisa del modo di andare avanti con il lavoro di approfondimento e di proposta. In vista di arrivare, a ottobre o novembre, ad una convincente definizione dei caratteri e del funzionamento della città che vogliamo e, insieme, del ruolo dei cittadini nella scelta delle priorità e nella gestione dei beni comuni.

Dove e quando?
L’Assemblea avrà luogo il 18 maggio presso il Padiglione Antares - VEGA Parco scientifico tecnologico di Venezia, via della Libertà 420-746 Venezia
Ci si arriva facilmente in treno, in autobus in automobile e anche in bicicletta (con la necessaria prudenza).
Inizieremo alle ore 14.45 e finiremo alle ore 19.00
Siete tutti invitati, non mancate!
Con molta cordialità, la staffetta Maria Rosa Vittadini
Ps. A breve sarà disponibile il sito https://www.unaltracittapossibile.it/ dove materiali raccolti e testi “in progress” saranno messi a disposizione di tutti gli interessati. Nello stesso sito saranno pubblicati i documenti, i risultati e i futuri impegni maturati nell’Assemblea del 18 maggio.

Un ampio articolo sui conflitti a Venezia e nella sua Laguna, e della resistenza dei sui abitanti alla turistificazione, mercificazione, svendita e al degrado fisico, politico, sociale e ambientale. Prende spunto da due libri recenti "La Venezia che vorrei" curato da Elisabetta Tiveron e Cristiano Dorigo e "Non è triste Venezia" di Francesco Erbani. Qui il link. (i.b.)

Nell'ultimo capitolo del libro di Francesco Erbani “Non è triste Venezia", edizioni Manni, si raccontano le riflessioni, i punti di vista e le emozioni di Edoardo Salzano, che dagli anni Settanta del secolo scorso ha deciso di vivere a Venezia, dove ha insegnato ed è stato assessore dell'urbanistica. (p.d.)

Ora che camminare gli costa tanta fatica, quando non siede alla scrivania davanti al portatile e se non è impegnato ad aggiornare eddyburg, il sito che ha preso il suo nome, Eddy Salzano trascorre parte della giornata in poltrona con le gambe allungate su uno sgabello. Di fronte, oltre una porta a vetri, c’è un canale, il rio di Santa Margherita, e al di là del canale la fondamenta del Malcantòn. Contemplare l’acqua che scorre lentamente, senza l’ansia del moto ondoso, rasserena, come quando si guarda il fuoco che brilla in un camino. E se punta il cancello in ferro battuto che si apre sulla riva opposta, scrutando le abitudini di un signore inglese che salta su una canoa e se ne va vogando in canale, Eddy ricorda James Stewart in La finestra sul cortile.

Ma qui, alle spalle di campo Santa Margherita, non ci sono assassini da denunciare. Né voyeurismi da coltivare. C’è una Venezia quotidiana, rilassata e senza eccessi che rinnova in Eddy il gusto dell’osservazione, che è stato, ed è, un requisito indispensabile del suo mestiere di urbanista, il quale disegna, o anche solo immagina, una città a partire da ciò di cui le persone hanno bisogno, di che cosa fanno, di come si muovono e di quali relazioni intrattengono fra loro. «Ho sempre detto ai miei alunni che la città non è un aggregato di case, ma la casa di tutti»: gliel’ho sentito ripetere più volte e ora una volta di più. Lui parlava della città in generale, ma difficile non pensare che valesse per Venezia. Come pure il suo seguito: «L’urbanistica non è solamente una tecnica, ma un mestiere che impone di occuparsi dei tre aspetti racchiusi nella parola città: urbs, la città come ambiente fisico, civitas, la società che quell’ambiente vive, polis, il governo di quell’ambiente».
Eddy Salzano, classe 1930, sei figli, maestro nella sua disciplina, autore di libri tuttora fondamentali per chi ad essa si avvicina e anche di saggi di schietto impatto politico, professore e poi preside allo Iuav, fondatore, animatore e direttore del più seguito e autorevole sito che si occupi di città, territorio, urbanistica e ambiente, eddyburg, appunto, è stato assessore comunale a Venezia per dieci anni, dal 1975 al 1985, nelle giunte di sinistra guidate dal socialista Mario Rigo. Di quel periodo, lui che non è veneziano, conserva tante cose realizzate, tante conoscenze e anche gli insegnamenti che Venezia gli ha trasmesso e che hanno influenzato il suo punto di vista sul modo d’essere di una città e talvolta lo hanno anche modificato. Ne parleremo durante la chiacchierata che gli ho chiesto.
La casa di Eddy è a piano terra, ci si arriva varcato un portale di forme gotiche e attraversata una corte. Un tempo qui aveva il magazzino uno dei più stretti collaboratori dell’architetto Carlo Scarpa, Eugenio De Luigi, un artigiano abilissimo nel realizzare un particolare rivestimento parietale, il grassello, tanto apprezzato e ricercato da Scarpa. Prima che approdasse qui, Eddy abitava a due passi dall’Accademia. Segno di riconoscimento della sua casa era la bandiera arcobaleno, simbolo pacifista, che pendeva da una finestra. Ora nel portone che si apre sul canale è affisso un vessillo del comitato No Grandi Navi. Nella città lagunare Eddy, vezzeggiativo di Edoardo, è arrivato nel 1974. E da Venezia non è più andato via, salvo i periodi trascorsi a Kigali, la capitale del Ruanda, insieme a Ilaria, la sua compagna, che lì ha un insegnamento universitario. Due i motivi che lo avevano portato a Venezia: un incarico universitario propostogli da Giovanni Astengo, a sua volta maestro per generazioni di urbanisti; e la richiesta di Gianni Pellicani, allora dirigente comunista in città, di aiutare l’amministrazione a dirimere una questione di tecnica urbanistica abbastanza ingarbugliata.
Eddy faceva politica nella capitale da tempo. Era comunista e consigliere comunale. Scriveva per l’Unità. La sua matrice culturale era quella di Il dibattito politico e della Rivista Trimestrale, i periodici che raccoglievano le raffinate e anche cerebrali riflessioni di Franco Rodano, Claudio Napoleoni e di altri eminenti intellettuali comunisti provenienti da esperienze di vita e da un credo cattolico. Li chiamavano i cattocomunisti. A Roma era arrivato nel 1952 da Napoli, dove era nato e dove l’infanzia e l’adolescenza erano trascorse in una bellissima casa su corso Vittorio Emanuele e frequentando gli ambienti nobiliari cui la sua famiglia era legata. Suo nonno era Armando Diaz, il generale che ricostituì l’esercito italiano dopo Caporetto, che organizzò la resistenza sul Piave e condusse alla vittoria finale nella prima guerra mondiale. Eddy non lo conobbe, però, perché morì due anni prima che lui nascesse. Dalla famiglia e da quella Napoli, così come lui stesso le racconta, credo abbia ereditato un umorismo garbatamente tagliente e una certa fierezza di sé.
Ho scelto lui per chiudere questo viaggio veneziano perché, non immerso nella cronaca cittadina, Eddy riesce a raccordare il recente passato e il futuro prossimo di Venezia in maniera diversa da chi è coinvolto attivamente nel presente. Possiede uno sguardo vigile, al tempo stesso più dentro le vicende della città e più distante da esse. L’ho scelto anche perché la sua cultura gli detta una propensione a stringere in poche immagini, assai limpide, questioni complesse e a farne emergere l’essenza. Pochi tratti gli bastano per collocare un dettaglio di tecnica urbanistica dentro una scena in cui agiscono la storia e la politica e quel dettaglio si spoglia del proprio gergo e acquista un di più di senso che spiega tanti passaggi, illumina zone d’ombra, coglie la sostanza.
Inoltre lui ha scelto Venezia. E di mestiere fa, appunto, l’urbanista, coniugando una disciplina già di per sé orientata a individuare e a mettere in evidenza gli interessi di tutti con la storia di una militanza radicale. Il sito di eddyburg (cui prestano le loro cure Ilaria Boniburini, Paolo Dignatici, Maria Pia Robbe, Mauro Baioni e altri ancora) ha una sezione dedicata a Venezia che ospita una documentazione imperdibile. Trasparente e orientata, comunque necessaria a chi voglia conoscere la città. Compresi i posti in cui mangiare bene senza farsi turlupinare. Cominciamo a chiacchierare che è mattina. Ho con me il registratore, ma preferisco prendere appunti. Fuori il cielo si è scurito. E anche l’acqua nel canale. Nonostante questo i nostri sguardi sono catturati dai cupi bagliori che la luce di fuori emette. I bollettini annunciano neve. E infatti i primi deboli fiocchi prendono a scendere. Ma l’oggetto più attraente è un grande fotopiano di Venezia commissionato negli anni di assessorato come analisi preliminare di ogni iniziativa urbanistica e affisso a una parete del lungo corridoio che dall’ingresso arriva alla porta a vetri sul canale. Non è solo un omaggio alla città che a un certo punto è diventata la sua: la smisurata cartografia, che coglie Venezia dall’alto, in una foto aerea, sembra un oggetto da scrutare, da consultare ogni volta che gli si passa di fronte, e anche da tenere inquadrato per un po’, cercando di acquisire la lezione che emanano quel groviglio di calli e di canali, quelle coperture dalle forme inusuali, quegli inattesi spazi.
Caro Eddy, gli chiedo, che cos’è per te questa incombente e seducente immagine di Venezia? «Intanto è uno strumento tecnico, in scala 1:500. Serve per la conoscenza esatta delle strutture fisiche della città e da lì occorre partire per definire regole di trasformazione e di conservazione. Era il primo passo di una procedura urbanistica: dalla conoscenza al governo. Ma quando vedemmo le tavole montate, un pannello di 7 metri per 10, Edgarda Feletti e io - Edgarda è un’architetta che dirigeva il settore Centro storico nel mio assessorato - rimanemmo a bocca aperta».
Agli occhi di Eddy quell’oggetto aveva una sua specifica bellezza. «Mi ha fatto capire», aggiunge, «che Venezia è un’opera d’arte nel suo insieme, al di là della bellezza delle sue parti. Anzi, il tutto è più bello della somma delle sue parti. Quella bellezza, che andava oltre l’utilità, non poteva restare nascosta. Scrissi allora a una ventina di editori proponendo che pubblicassero il fotopiano. Si fece avanti Marsilio. Nacque così l’Atlante di Venezia che fu tradotto e pubblicato anche negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e in Francia». Ma non c’era solo la bellezza, c’era qualcosa di più attinente alla disciplina urbanistica. «Qualcosa di analogo a quel che ti dicevo della bellezza. Non siamo di fronte a un insieme di oggetti unici, ma al prodotto di un sistema di regole. Qui si esprime la grande sapienza nel conservare la forma e la sostanza dell’acqua».
Questo ci dice molto anche della storia costruttiva di Venezia. «Indubbiamente. Il processo produttivo e materiale di Venezia è uno degli episodi più stupefacenti ed esemplari di tutta la storia urbanistica. Colpisce l’ambizione dei veneziani della Serenissima ad avere il controllo sull’intero ciclo costruttivo. Serve il legno per le fondazioni e per le galee? Si cercano in terraferma i boschi, si conquistano e, se non ci sono, si impiantano».
Mi pare un modello poco seguito in altri casi. Dunque non si può parlare di un modello. «Non sono d’accordo. È vero che non si edificavano così la gran parte delle città. Ma sono convinto che invece si tratta di un modello replicabile, perché insegna a partire da quello che c’è, umilmente. E non uso questo avverbio a caso: umilmente viene da humus, la terra. I veneziani partono umili e diventano orgogliosi».
A questo punto nel quaderno dove ho annotato le questioni da porre, occorre il tema dell’unicità di Venezia, un tema che si ripropone nella storia della città: c’è chi vuole preservarla a ogni costo, l’unicità, chi invece vuole annullarla in nome di un’omologazione necessaria. Tu da che parte stai? La domanda è troppo secca, Eddy prende il tempo necessario per una risposta argomentata: «L’omologazione non è sempre un evento negativo. Dipende molto dalla relazione che si instaura fra i luoghi, le persone e le loro scelte. L’omologazione comincia nella testa delle persone. Si può decidere di vivere in un posto in cui le connessioni sono lente oppure prediligere un luogo in cui queste procedono rapidamente. In entrambi i casi avremo delle conseguenze. Si tratta di stabilire quali conseguenze prediligiamo, se una vita a ritmi poco sostenuti o se vogliamo il moto ondoso. A Venezia e in Laguna fino a non molti decenni fa si navigava solo a remi, eccetto che per i mezzi pubblici, i vaporetti, introdotti a fine Ottocento. Poi si è consentito l’uso dei motori. E da allora sono iniziati i problemi».
Il moto ondoso qui, nel rio di Santa Margherita, sembra oggi un affare lontano, ma è la neve che rallenta tutti i ritmi. Quando questi si fanno frenetici, anche dalla porta a vetri di Eddy si vede lo scroscio dell’acqua sulle rive. «Problema non da poco per la Laguna e per l’edilizia veneziana», aggiunge Eddy. «Si poteva scegliere di fare altrimenti? Si poteva evitare che Venezia diventasse una città come le altre dal punto di vista della mobilità? Non darei una risposta secca. Forse si poteva graduare l’avvento dei motori, limitarlo, contenerlo, evitando la disastrosa situazione di oggi».
Insisto sul quesito dell’omologazione, perché questo si pose, già nel corso dell’Ottocento, a proposito dello sviluppo industriale. «Con la fine della Repubblica, per molti politici, opinionisti, intellettuali Venezia deve diventare una città come le altre sia ospitando industrie sia stravolgendo il suo impianto urbanistico. Ciò accade lungo l’intero Ottocento con un incremento nella parte finale del secolo. Quasi a metà dell’Ottocento vengono realizzati il ponte e la stazione ferroviaria, Venezia non è più un’isola e l’accesso alla città non è più distribuito, ma concentrato in un’unica direzione. Direzione che verrà poi confermata con la realizzazione di via Vittorio Emanuele, subito battezzata Strada Nuova, che dalla stazione porta a San Marco. È un asse viario analogo a quelli che si aprono in altre città nella seconda metà dell’Ottocento. Queste vicende sono state ampiamente studiate da storici come Giandomenico Romanelli e le leggiamo in uno dei volumetti di “Occhi aperti su Venezia”, Delendae Venetiae, scritto da Massimo Favilla. Delendae Venetiae riprende il titolo di un celebre articolo di Pompeo Gherardo Molmenti che, nel 1887, sulla Nuova Antologia si scagliava contro le trasformazioni in atto».
Eddy s’interrompe, forse lo sto stancando. Invece sta solo raccogliendo le idee. Le trasformazioni per rendere Venezia una città come le altre sono la spia di una storia che va allargata. «Venezia doveva svolgere un ruolo funzionale al sistema di produzione capitalistico. Sorsero insediamenti industriali a Sant’Elena, il Mulino Stucky e altri impianti alla Giudecca, il Cotonificio a Santa Marta nei pressi della nuova Stazione Marittima, edificata nel 1883. Si praticarono, come a Roma o a Napoli, gli sventramenti e così nacquero il bacino Orseolo, dietro a San Marco, la strada dei Santi Apostoli, il campo Manin, la via XXII marzo. Si interrarono rii e si procedette con imbonimenti, sottraendo superficie alla Laguna. Come documenta Gigi Scano nel suo Venezia: terra e acqua, una commissione municipale avrebbe voluto procedere ancor più radicalmente di quanto in effetti si fece. L’importante, scrissero i commissari, è che si conservasse il “carattere pittoresco” della città. Per il resto, Venezia poteva, anzi doveva diventare simile a tutte le città moderne. Una delle conseguenze fu che l’acqua, da insostituibile risorsa, venne percepita come un ostacolo da superare».
L’industrializzazione di Marghera, nel 1917, rappresenterà poi un evidente salto di scala. «Certo. Venezia, non più isola, vedrà spostato il proprio baricentro verso la terraferma e dunque la sua diversità subirà un’ulteriore limitazione. Io credo però che sarà il turismo a cancellare la specificità di Venezia, sia perché la città entrerà in un circuito globale, con regole che non tollerano eccezioni e che non sarà lei a fissare, sia perché il turismo modificherà il tessuto cittadino».
Interrompiamo per un attimo. Di questo torneremo a parlare. Ma nelle vicende novecentesche di Venezia a un certo punto s’innesta la storia personale di Eddy. Ed è sulla sua voce di dentro che vorrei fermarmi. Metà anni Settanta: arriva a Venezia ed è subito impegnato nella vita politica e amministrativa della città. «A Venezia come in altre città nel 1975 vince la coalizione di sinistra, Pci-Psi. Sindaco sarebbe dovuto diventare il comunista Gianni Pellicani, che invece fu retrocesso a vice del socialista Mario Rigo. La decisione fu presa a Roma e teneva conto del quadro nazionale, ma le leve del governo erano in mano a Pellicani. Io entrai in giunta. Partii con una serie di propositi, ma con il trascorrere del tempo, quasi alla fine del primo mandato, mi accorsi che erano impraticabili e devo a due persone, che ho già citato, Edgarda Feletti e Gigi Scano, il merito di avermi messo sulla giusta strada».
Vale a dire? «Occorreva puntare direttamente sulla pianificazione del centro storico adottando lo strumento culturale dell’analisi tipologica, di cui Feletti e Scano si erano impadroniti, ma che io, con una formazione più accademica, non conoscevo a fondo. Venezia e l’esperienza sul campo mi fecero cambiare prospettiva disciplinare e mi convinsero dell’efficacia di quel sistema di interventi messo a punto sulla base dell’insegnamento di Saverio Muratori e dei suoi allievi, Paolo Maretto e Gianfranco Caniggia, e già praticato per esempio a Bologna da Pier Luigi Cervellati, che consisteva nell’individuare i tipi edilizi, i modelli adottati nel costruire la città storica. Quei tipi edilizi, a Venezia come altrove, erano in numero limitato. Nel procedere al risanamento della città storica occorreva conservare queste caratteristiche urbanistiche e strutturali originarie, assicurando che le nuove funzioni, pur aggiornate e diverse da quelle di un tempo, fossero comunque in coerenza con esse». Qualcosa di specifico emergeva dall’analisi compiuta a Venezia. Di specifico, forse di unico. Non di anomalo. «Le regole costruttive veneziane restano inalterate e vengono adoperate uguali a sé stesse per secoli. Sono regole costruttive omogenee all’ambiente e alle condizioni che questo detta: in primo luogo l’acqua e il suo rapporto con la terra».
Eddy si volta verso il fotopiano, cerca e dopo un po’ trova campo San Polo. Lo indica e con il dito ne traccia il perimetro. «Ecco, vedi, mi ha sempre commosso la forma di campo San Polo, il fatto che un lato di esso segua esattamente il tracciato dell’antico canale. È il canale che detta la forma del campo. È l’acqua che orienta la forma della città tutta. E mi ha commosso il modo in cui i veneziani della Serenissima hanno voluto conservare nella forma materiale della città la memoria della sua storia». Dunque si può dire che Venezia abbia modificato il tuo senso di orientamento urbanistico? «Sì, si può dire».
Venezia in quegli anni Settanta manifestava già segnali dei problemi che l’avrebbero afflitta. Sia il calo dei residenti, sia il turismo incontrollato. «I residenti erano diminuiti notevolmente. Nel dopoguerra gli abitanti della città storica erano 174.000. Dieci anni dopo calano a 167.000. Poi precipitano: nel 1965 sono 124.000 e nel 1975 arrivano a 104.000. Ma l’esodo di allora dipendeva in gran parte dal fatto che Venezia viveva da tempo in condizioni di degrado edilizio e di sovraffollamento abitativo. Questa situazione viene denunciata periodicamente lungo l’intero Novecento. Numerosi gli alloggi inabitabili, antigienici, spesso ai piani bassi degli edifici e dunque invasi dall’acqua. Se ne vanno da Venezia i nuclei familiari di reddito e di età media, quelli che possono accedere agli affitti o anche all’acquisto di alloggi in terraferma, ma non in grado di risanare appartamenti nella città storica. I fattori sono quindi oggettivi, anche se, come documenta Scano, è il solo mercato immobiliare a governare questi fenomeni. E c’è da aggiungere che l’esodo è più consistente di quanto non dica il saldo dei residenti che calano, perché dal 1952 al 1972 i circa 60.000 veneziani in meno sono il risultato di 130.000 persone che sono andate via meno i 70.000 che sono arrivati, con un mutamento sostanziale della composizione dei residenti. L’esodo di questi ultimi decenni è prodotto invece dalla pressione dell’economia turistica, i cui segnali si avvertivano già a metà degli anni Settanta. Ti segnalo poi un’altra differenza, quella fra l’esodo veneziano e l’esodo che si verifica in Italia da altri centri storici. Questo avviene per srotolamento: dal centro storico ci si trasferisce nei quartieri che diventano volta a volta prima periferici della città antica, poi periferici della stessa periferia. A Venezia, invece, lo sfratto è istantaneo, da una condizione urbana antica si passa a un’altra condizione urbana radicalmente diversa, quella di Mestre, al di là del ponte della Libertà, a una decina di chilometri di distanza».
L’alluvione del novembre 1966 ha mostrato quanto evidente fosse la precarietà del patrimonio edilizio veneziano. E dunque ha reso necessario intervenire nella città storica. «In realtà l’alluvione e il dibattito che ne è seguito hanno rivelato che il problema non era Venezia, ma la Laguna. La distruzione della Laguna è stata l’antefatto e la premessa alla distruzione fisica di Venezia. Pochi lo avevano compreso. Fra questi Lidia Fersuoch, Gigi Scano e Andreina Zitelli, che per strade diverse mi hanno fatto comprendere alcune cose essenziali. Che una laguna è cosa diversissima rispetto a un normale specchio d’acqua. È un ambiente ontologicamente instabile, in equilibrio temporaneo tra due destini: diventare un pezzo di terra ferma, o diventare una baia di mare. La seconda è che la Laguna di Venezia è l’unica al mondo restata tale per secoli, grazie alla saggia applicazione di cultura e lavoro al suo governo».
Quando e perché è avvenuto il cambiamento? «È stato contemporaneo al passaggio dall’ancien régime al sistema capitalistico-borghese, ed è stato causato dal prevalere di ideologie e pratiche che hanno visto storia e natura come ostacoli allo sviluppo, anziché come opportunità. La distruzione della Laguna è cominciata con la creazione del polo industriale di Porto Marghera, la realizzazione di canali rettilinei come le strade di terraferma, a cominciare dal Vittorio Emanuele fino a quello dei Petroli, che ha spaccato irreversibilmente la Laguna in due parti con effetti mortali per la sua conservazione. Ed è proseguita con la realizzazione di pesanti imbonimenti che hanno ridotto l’ampiezza della Laguna e quindi della sua capacità di assorbire le maree: basta citare la zona industriale, l’aeroporto di Tessera, la chiusura delle “valli da pesca” (i bacini utilizzati per l’itticoltura)».
Fu l’alluvione a rendere evidente tutto questo. «Rese evidente o aiutò a ricordare che Venezia è la sua Laguna. Perciò il Parlamento saggiamente decise di avviare un processo di pianificazione che aveva due capisaldi: un piano urbanistico per il territorio che gravitava sulla Laguna; e un piano per il centro storico. Col senno di poi devo riconoscere che in quegli anni pativamo un forte ritardo culturale. Eravamo prigionieri di una visione panurbanistica di come si governa un territorio. Non comprendevamo la differenza che c’è nel considerare la Laguna, dunque una porzione vasta del territorio, qualcosa da governare con le regole della pianificazione urbanistica oppure con regole del tutto diverse. Non avevamo capito che l’obiettivo da porsi era il ripristino dell’equilibrio ecologico del sistema lagunare. Quando però fui chiamato a Venezia non fu per occuparmi della Laguna, bensì del centro storico».
Qui potremmo addentrarci in dettagli troppo tecnici. Eddy capisce che mi perderei. «Dovevamo completare i cosiddetti “piani particolareggiati” del centro storico. Ma ci accorgemmo che erano assolutamente inadeguati a regolare le trasformazioni urbanistiche ed edilizie del centro storico veneziano. Iniziammo quindi a elaborare strumenti conoscitivi di due tipi: sulla struttura fisica e su quella economico-sociale. Ed è qui che si situa il fotopiano. Ma intanto le condizioni politiche erano mutate. Cominciano gli anni Ottanta, quelli della deregulation urbanistica, in cui chi parla di piani e di regia pubblica delle trasformazioni viene visto con sospetto. L’accento viene posto sul mercato. Sono anche gli anni in cui i socialisti guardano più alla Dc che non al Pci. In ogni caso andammo avanti proponendoci di realizzare un piano per la città storica. Raggruppammo le unità edilizie in una quarantina di classi sulla base dell’analisi tipologica di cui parlavamo prima. E per ognuna di queste classi definimmo le regole delle trasformazioni consentite e delle utilizzazioni compatibili. Poi lavorammo sul rapporto fra il piano e il tempo. Prevedemmo due livelli di prescrizioni, di regole. Uno lo definimmo strutturale e l’altro strategico: una parte del piano era fissa, invariabile, doveva durare nel tempo; un’altra, invece, aveva validità per la durata di un consiglio comunale e riguardava i cambiamenti che, in base a esigenze diverse, a valutazioni politiche, potevano essere introdotte trascorso quel periodo. Fissammo dunque un sistema di regole certe, valide per tutti, alcune immodificabili altre, invece, modificabili con un voto del consiglio comunale. Ma questo lavoro non approdò a conclusione entro quella consiliatura. Le elezioni del 1985 portarono a un cambio di maggioranza e alla mia uscita dall’assessorato. Nel 1987, però, si costituì un’amministrazione guidata dal repubblicano Antonio Casellati e assessore divenne il verde Stefano Boato. Con loro riprendemmo a collaborare Feletti, Scano e io, il piano fu portato a compimento e venne adottato da un’altra giunta ancora, nel 1992».
Al fondo di tutto, mi pare di capire, c’era un obiettivo politico. «Volevamo stabilire quali interventi erano ammissibili sugli edifici, a seconda della loro tipologia, e quali no, garantendo assoluta speditezza per i primi. Inoltre, come ti dicevo, si erano fatti preoccupanti l’esodo di residenti, la trasformazione di edifici in strutture ricettive di varia natura (alberghi, bed & breakfast, case vacanza) e il cambio di destinazione di molti negozi. L’economia turistica stava dilagando. E noi, per il primo periodo di applicazione del piano, nella parte strategica, prescrivevamo norme a tutela della residenza e di alcune specifiche attività economiche e commerciali. Ma da questo momento comincia un’altra storia, di segno radicalmente opposto, che a mio avviso spiega l’affanno della Venezia di oggi».
È una questione in effetti cruciale. Eddy ne parla in Memorie di un urbanista uscito dalla Corte del Fontego nel 2010. E molto si diffonde su di essa Gigi Scano in Venezia: terra e acqua. Provo a sintetizzare. Il loro piano, adottato dalla giunta, ma non ancora approvato dal consiglio comunale, viene successivamente modificato, lasciando maggiore libertà di intervenire sugli edifici, modificandoli, e sui cambi di destinazione d’uso, cioè sulle loro utilizzazioni. Eddy prende quasi a dettare: «Il primo atto della giunta di Massimo Cacciari, eletto nel 1993, consistette nella revoca di una delibera adottata dal sindaco Casellati che fissava limiti all’arrivo di negozi in contrasto con le caratteristiche di una città storica. A Venezia sbarcarono molti fast food. Poi si mise mano al nostro piano, accusato di voler imbalsamare la città e di scoraggiare gli investitori. Alle nostre regole fu sostituito un procedimento discrezionale che nei fatti lasciava la possibilità di consentire sia trasformazioni fisiche sia cambi di destinazione d’uso. Noi volevamo conservare un controllo pubblico su che cosa la città sarebbe potuta diventare. Si scelse invece di affidarsi al solo mercato. E così, non proteggendo la residenza, le abitazioni potevano diventare, con grande facilità, alloggi temporanei, alberghi e bed & breakfast e i negozi paninerie, bar e pizzerie a taglio. Cosa che in effetti è avvenuta. Le modifiche al nostro piano furono introdotte dall’assessore Roberto D’Agostino, che ebbe come consulente Leonardo Benevolo. Da Benevolo moltissimo avevamo imparato tutti noi urbanisti, e io per primo. Però in questa vicenda veneziana il contrasto fra noi fu assai duro».
Mi domando se per evitare queste trasformazioni deleterie per una città come Venezia bastino i vincoli o non servano anche incentivi. Insomma per frenare l’invadenza di un’economia fondata sul turismo è sufficiente alzare barriere normative oppure occorre prevedere possibilità alternative? «Molto dipende dalla forza delle pressioni che si vorrebbero fronteggiare. Se la potenza dell’economia legata al turismo non fosse così consistente si potrebbe procedere con incentivi e misure a sostegno della residenza. Queste sono fondamentali, ma visto quel che è poi successo a Venezia, sarebbe stato indispensabile mantenere anche una forma di tutela pubblica della residenza, rendendo difficile il cambio di destinazione. Una volta se moriva l’anziano proprietario di un appartamento era facile che gliene subentrasse un altro. Ora è automatico che quell’appartamento finisca affittato a settimana o a weekend».
Torna la questione che, anche per Eddy, è centrale: il peso abnorme assunto dal turismo e dalle trasformazioni economiche, sociali e fisiche che esso sta determinando. «Mi si passi un’espressione forte: il turismo a questi livelli è una specie di peste», scandisce. «Venezia ha una propria dimensione e a questa deve corrispondere la quantità di persone che possono arrivarci garantendo a tutti, a chi arriva e a chi c’è già, condizioni accettabili. In questi termini il fenomeno del turismo è distruttivo. Alla fine degli anni Ottanta combattemmo il progetto Expo, che l’allora ministro socialista Gianni De Michelis voleva si svolgesse a Venezia. Ospitando quell’iniziativa, si sarebbe usata Venezia per altri scopi. E si sarebbero attirate masse sterminate di turisti. La svolta per affossarlo si ebbe nell’estate del 1989, quando ci fu il concerto dei Pink Floyd su una gigantesca isola galleggiante ormeggiata in bacino San Marco. Ne ho un ricordo terrificante, una folla di dimensioni incalcolabili, Venezia in ginocchio e la paura che la città potesse soccombere».
Detto questo, occorre domandarsi se esistono e quali sono i modelli alternativi al turismo. È la domanda, il cruccio, se si vuole, che accompagna questo viaggio a Venezia e che assilla chiunque abbia a cuore le sorti della città. Eddy socchiude gli occhi. Le sue pause sono ora più lunghe. «Penso a una città frequentata e vissuta da persone che abbiano interesse alla conoscenza in generale, e alla conoscenza di Venezia in particolare, allo studio e anche alla pratica delle cose che solo questa città può dare. In più penso che anche i visitatori debbano essere indotti a una conoscenza non superficiale della città, delle sue forme e del suo modo d’essere. Occorre regolare i loro flussi evitando che la stragrande maggioranza di essi siano escursionisti giornalieri».
Le possibili soluzioni alle quali Eddy si riferisce sono urbanistiche e politiche insieme, strettamente connesse: «In generale credo che con un’accorta politica e con un controllo pubblico delle trasformazioni bisogna evitare che tutti gli spazi, gli edifici, i contenitori disponibili – e Venezia ne è piena – diventino strutture ricettive per escursionisti. Siano essi alberghi oppure negozi. L’obiettivo è che, invece, ospitino laboratori, foresterie, centri di ricerca. Venezia è stata sempre il cuore di tanti traffici: perché non farne il nodo di tante reti? Thomas Mann parlava di Lubecca come di una spirituale forma di vita. E aggiungeva che Lubecca era la città del marzapane, e marzapane viene da pane di Marco, dunque da Venezia, e a Venezia, a loro volta, confluiscono le vie dell’Oriente. Questi fluidi vanno riattivati». Pensi a qualcosa che assomigli a un distretto culturale? «Potremmo definirlo così. Ma non credo che una struttura come la Biennale corrisponda all’idea che ne ho. La Biennale è nata sul consumo di Venezia. Venezia è il palcoscenico dove si esibiscono attori estranei alla sua realtà. Vorrei che facesse molto di più per la città, ma dovrebbe convertire tanti dei suoi meccanismi. Ora occupa numerosi spazi in città e altri ne vorrebbe. Ma nelle iniziative della Biennale Venezia resta sullo sfondo».
Mi è rimasta impressa la parola peste usata da Eddy a proposito delle dimensioni assunte dal turismo. Gli obietto che anche dalla peste si può guarire. «Sono d’accordo. Però bisogna vedere che cosa rimarrà di Venezia una volta sconfitto il morbo. Le ultime volte che ho fatto un giro in città mi colpiva la rotazione dei negozi. Molti negozi si tengono finché hai uno stock di merci da vendere. Dopodiché te ne vai. E quel negozio di scarpe, cambiato l’arredo e le insegne, prende a vendere sciarpe. È sconvolgente questo rapidissimo cambio delle utilizzazioni. La città è corpo e anima e l’anima tiene insieme anche il corpo. Se cambiano le vetrine e neanche te ne accorgi, sei preda dell’indifferenza e l’indifferenza genera sradicamento. In questo modo una città si priva del suo sistema nervoso».
Dalla vetrata sul canale entra un bagliore ancora più intenso. Ora ha cominciato a nevicare con forza. Lascio Eddy sulla sua chaise longue. Lo spettacolo di Venezia avvolta nel silenzio attrae come se fossimo davanti a un paesaggio di cime imbiancate. Temo di averlo affaticato. Non tanto da impedirgli di chiamarmi, mentre sto quasi per chiudere la porta. «Vatti a leggere una citazione dalle Città invisibili di Italo Calvino che ho messo quasi come un esergo su eddyburg. È Marco Polo che parla di Venezia al Kublai Kan». Va bene, ciao, vengo a trovarti presto. Fuori la piccola calle che porta a Santa Margherita è candida di neve fresca e intonsa. Appena a bordo del vaporetto, apro l’iPad, vado su eddyburg e leggo quel che Eddy ha scritto: «“Ogni volta che descrivo una città dico qualcosa di Venezia”, dice Marco Polo al Kublai Kan. “Per distinguere le qualità delle altre, devo partire da una prima città che resta implicita. Per me è Venezia”. Così è Venezia anche per me».

Contrastare il turismo a Venezia si può e quando si e voluto lo si è fatto. Poi sono arrivati i barbari. Un commento da un ex assessore all'urbanistica di Venezia. (e.s.)
Leggo una intervista di Massimo Cacciari (Repubblica 13.11.2018) in cui teorizza l’impossibilità di contrastare l’invasione turistica nei centri storici, in particolare in una città storica come Venezia.

Forse prima di una sentenza apodittica sarebbe utile una riflessione autocritica.

A Venezia, dato che la città aveva già perso troppe abitazioni adibite ad attività ricettiva (e avendo verificato la possibilità d’uso di molti altri immobili), con il piano urbanistico elaborato dalla giunta rosso-verde nel 1988-’90 dotato di norme immediatamente vigenti abbiamo impedito ogni ulteriore cambio d’uso di tutti gli immobili classificati come abitazioni anche se sfitti o disabitati (escludendo solo i piani terra).

Queste norme hanno tutelato le residenze per una decina d’anni, per tutti gli anni novanta.

Nel 2000 però , quando sono entrate in vigore le modifiche al piano della giunta Massimo Cacciari che abbiamo cercato inutilmente di impedire, la città è stata da subito travolta dal dilagare di nuovi alberghi, pensioni e residenze turistiche. La situazione è stata poi negli anni aggravata da una legge regionale del 2013 e da una delibera comunale del 2015 (e dai mancati controlli) che hanno ulteriormente agevolato e incentivato la trasformazione ricettiva degli appartamenti e delle singole stanze (B&B, Airbnb).

Ovviamente le norme urbanistiche e di legge a tutela delle abitazioni sono importanti ma non sono sufficienti. Per fermare l’esodo e iniziare e innescare un processo di ripopolamento, soprattutto dei giovani, servono politiche amministrative e fiscali che agevolino economicamente le abitazioni per i residenti, i servizi e le attività di lavoro compatibili con il tessuto storico che interrompano e disincentivino la monocultura turistica.

E comunque ormai per governare le dimensioni attuali dei flussi turistici esplose a dimensioni incompatibili con la vita della città occorre arrivare a programmare alla partenza gli arrivi agendo sulle agenzie turistiche (italiane e straniere) e sulle organizzazioni delle gite scolastiche.

Certo tutto questo è complesso e difficile: per riuscire a realizzarlo occorre una forte volontà politica e una grande capacità amministrativa per non lasciar gestire la città solo al mercato e alla rendita.

Qui sotto l'articolo:

Cacciari: “La città non è utopia, i turisti servono”
di Massimo Cacciari

Bisogna partire da una visione realistica non dalle utopie". Massimo Cacciari risponde a Pier Luigi Cervellati, intervistato su Repubblica da Francesco Erbani sulla questione dello svuotamento dei centri storici ridotti a grandi shopping center, quasi con stupore: "Ma di cosa stiamo parlando? Come si può solo pensare di eliminare i turisti dai centri storici e riportarci i residenti? Sono ragionamenti da anime belle". Per il filosofo abituato a riflettere sulla razionalità moderna e sulle trasformazioni della polis, e che è stato per anni sindaco di Venezia, la denuncia di Cervellati pecca di astrazione.

Perché le sembra irrealistico immaginare di ripopolare la città storica risanando le abitazioni?
"Sarebbe un'idea strepitosa se fosse fattibile, ma non lo è. Tutte le persone ricche e straricche che abitavano sul Canal Grande quando ero ragazzo hanno scelto di andarsene perché i costi di manutenzione di una residenza storica sono incompatibili con le tasche di chicchessia".

Cervellati propone soluzioni per non lasciare il centro cittadino solo ai supermercati o ai grandi negozi di abbigliamento.
"Sono discorsi destinati a cadere nel vuoto perché ignorano il contesto storico, economico, sociale in cui stiamo. Sono proposte assolutamente irrealizzabili, sia nei centri storici italiani sia in quelli di Parigi, Vienna o Londra. A Manhattan come a Trafalgar Square. Il fenomeno che viviamo in Italia è analogo a quello di tutti i centri storici delle maggiori città del mondo, dove funzioni più redditizie di quelle residenziali diventano competitive".

Sta parlando dei soldi portati dal turismo?
"Sa qual è la verità? Che molti importanti edifici del centro di Venezia e di Firenze sono stati salvati dall'attività ricettiva. Senza la possibilità di trasformarli in funzioni turistiche, molti edifici importanti sarebbero crollati".

Dunque dovremmo ribaltare tutto e arrivare a dire che sono i turisti a salvare le città?
"Il turismo dà da vivere, direttamente o indirettamente, a 30- 40 mila famiglie soltanto a Venezia. È uno dei nostri massimi settori industriali, ci rende competitivi".

Ci sarà però un modo per venire a patti con la realtà senza snaturarla?
"Il problema italiano è che stiamo diventando una monocultura. Il turismo dovrebbe affiancarsi ad altro. Dovremmo riuscire a far decollare nei centri storici altre attività, direzionali e terziarie: aziende, centri di ricerca, attività di formazione, università".

I nostri centri storici spesso ospitano sedi universitarie e sono vissuti dagli studenti...
"Dobbiamo cercare di mantenere nei centri storici le funzioni di formazione e di ricerca. Ma è difficile. Offrire laboratori, servizi, campus in un centro è complicato. A Milano è in corso un grande dibattito sulla possibilità di portare o meno alcune funzioni universitarie fuori, nella zona Fiera Nuova".

Le soluzioni devono essere politiche più che estetiche?
"Possiamo solo cercare di governare la trasformazione. A Venezia c'erano due milioni di turisti all'anno negli anni Settanta, adesso ce ne sono trenta milioni. Ed è una pressione irresistibile, una domanda che continuerà a crescere. Pochi anni fa non c'erano i cinesi, non c'erano i russi. Adesso sì, a valanghe. Sarà dura. Il consumo della città aumenta vertiginosamente. Un monumento visitato da dieci persone soffre di meno di un monumento visitato da dieci milioni. Bisogna lavorare sull'organizzazione del flusso turistico, renderlo più razionale nelle città più martellate, ma certo non è pensabile disincentivare il turismo. Vorrebbe dire farsi del male, in Italia è l'unica risorsa che abbiamo".

Stiamo alle realtà allora. C'è un modo per evitare che il cuore cittadino diventi un museo che la sera si svuota?
"È assurdo affrontare queste questioni di natura economica e sociale dal punto di vista dell'architetto scocciato perché vede i turisti per la strada. È fuori contesto, fuori mondo, fuori storia. Se vogliamo resistere al deflusso dai centri storici bisogna dare alle persone la possibilità di viverci a parità di condizioni rispetto a chi vive altrove. Il costo della vita di chi abita in centro non può essere il doppio rispetto a chi abita dieci chilometri fuori. Oggi invece stare in centro ha dei prezzi altissimi. Bisognerebbe rivedere il sistema fiscale e di agevolazioni, sia per i residenti che per le attività artigianali e commerciali".

Crede che la visione di Cervellati sia utopica rispetto allo stato di fatto?
"Non parte dalle cose, dalla realtà. Una città come Venezia alla fine dell'Ottocento stava diecimila volte peggio di adesso. Basta dare un'occhiata alle fotografie, era decrepita, già in vista di abbandono totale da parte del patriziato, dei nobili".

Ha senso distinguere centro e periferia nelle politiche urbanistiche?
"È un discorso che ho fatto tante volte, sul quale ho scritto e riscritto. Dov'è la città adesso? Viviamo in città infinite, senza confini. Centro e periferia sono astrazioni.Rispetto alle trasformazioni in atto, possiamo solo valutare di volta in volta come agire. Non può esserci una regola generale, stabilita da qualche programmatore di piani. Le città si evolvono, come le lingue. Possiamo solo contrattare continuamente con la loro evoluzione. E dobbiamo farlo con arte e volontà politica. Casa per casa".

Tratto dalla Repubblica, 12 novembre 2018.

Una rassegna di articoli, video e comunicati per spiegare da dove deriva il "No alle Grandi navi" di comitati, movimenti e associazioni di Venezia che da diversi anni scendono in "piazza" e in "acqua" per protestare contro le politiche territoriali locali e nazionali.

Il mondo non lo sa, ma Venezia e la sua laguna stanno scomparendo. La tacita alleanza tra i gestori delle grandi navi e dello sfruttamento turistico, i forti poteri economici, l'Autorità Portuale e un'amministrazione locale impegnata a dilapidare il patrimonio accumulato con sapienza nei corso dei secoli dalla Repubblica Serenissima stanno distruggendo una città e un territorio che sono unici al mondo.

Non ancora proporzionate alla posta in gioco, ma lungimiranti e determinate, le forze sociali e culturali di Venezia sono impegnate a contrastare i poteri e le scelte responsabili di questa devastazione. Queste forze dopo la grande "Marcia per la dignità di Venezia" del 10 giugno scorso scendono di nuovo in acqua il 29-30 settembre (qui il link al programma), per difendere la laguna non solo dalle grandi navi, ma anche dalle grandi opere come il Mose, in favore di una giustizia ambientale capace di instaurare una gestione dei territori equa e rispettosa dell'ambiente e non al servizio degli interessi della rendita e del profitto. Ad organizzare l'evento il Comitato NOGrandiNavi, protagonista dal 2006 di numerose manifestazioni, mobilitazioni ed eventi.

Qui sono raccolti alcuni articoli per illustrare la devastazione causata dalle grandi navi. I primi due testi, di Tantucci e Favarato riportano i dati numerici delle navi e dei visitatori croceristi mordi e fuggi che entrano a Venezia in un anno e in un week end, emblematici di come viene scelleratamente gestita questa fetta di turismo. Qui il link ad un articolo di Clara Zanardi sul turismo generato dalle grandi navi, che non è il solo responsabile, ma è certamente quello con più evidenti negatività.

Il terzo testo, un comunicato dell'Associazione AmbienteVenezia, introduce le distruzioni previste dai progetti in cantiere per allargare e scavare nuovi canali in laguna e quindi far continuare a passare le navi in questo fragile ecosistema. Ci sono link ad alcuni filmati interessanti, a un Dossier con immagini e un articolo sulle devastanti conseguenze del progetto di portare le grandi navi a Marghera. Sulla delibera nefasta del Comitatone - il Comitato interministeriale per la salvaguardia di Venezia - del 7 novembre 2017 si legga anche l'articolo di Lidia Fersuoch.

Il quarto testo è una lettera inviata il 25 giugno 2018 dal Comitato NOGrandiNavi – Laguna Bene Comune ai Nuovi Ministri competenti dove sono sintetizzati le analisi condotte, i problemi riscontrati e le proposte avanzate dal Comitato per togliere le navi da crociera dalla laguna e ricominciare a pensare alla sua salvaguardia.

Infine, un brevissimo articolo sull'Assemblea cittadina che si è tenuta il 22 settembre 2018 in preparazione delle mobilitazioni del 29-30 settembre, con indicazione anche di come partecipare alla manifestazione per terra e per acqua di domenica 30 settembre. (i.b. e e.s.)

La Nuova Venezia, 23 settembre 2018

INCUBOWEEKEND QUATTORDICI NAVI TRENTAMILA ARRIVI,
CITTÀ SOTTO STRESS

di Enrico Tantucci

Pienone in Marittima, ieri calli ingolfate da comitive e guide Van der Borg: «Questi visitatori non servono a Venezia»

Venezia invasa dai crocieristi nel penultimo weekend di settembre, con un “carico” aggiuntivo di circa trentamila turisti che si aggiunge alla già consistente presenza di quelli pernottanti e soprattutto dei “giornalieri”.

Sono complessivamente ben quattordici le navi da crociera, in base al calendario reso noto dalla Venezia Terminal Passeggeri, presenti in Marittima da ieri fino a domani mattina, per una presenza potenziale complessiva che sfiora appunto le trentamila presenze. Si va infatti dagli oltre 4 mila crocieristi della Norwegian Star o dai quasi 3.500 della Rhapsody of The Seas - con i «colossi» di Costa Crociere anch’essi intorno ai 3 mila passeggeri, ai 120 della Marella Celebration, che si fermerà lunedì solo per una decina di ore.

In tempo, però, per “scaricare” la sua pattuglia di turisti giornalieri sulla città storica. Già ieri, soprattutto nella prima parte della giornata, nelle calli intorno a Rialto e San Marco erano intasate dalle comitive di crocieristi preceduti dalla loro guida, che talvolta anche si incrociavano nei due sensi di circolazione pedonale.

Un fenomeno che si acuisce in questo periodo dell’anno e non a caso per domenica prossima, quando è attesa un’altra invasione di croceristi, è prevista la manifestazione di protesta in acqua del Comitato No Grandi Navi, che ieri ha tenuto la sua assemblea preparatoria (ne riferiamo a parte). Un’invasione che non produce neppure particolari beneficio economici per la città, almeno ad ascoltare un esperto come il docente di Economia del Turismo di Ca’ Foscari Jan Van Der Borg.

«La quota di spesa giornaliera dei crocieristi» spiega «e pressoché equivalente, in base alle stime, a quelle dei turisti giornalieri contro cui tutti protestano, e cioè tra i 50 e i 60 euro. Non si giustificano su questa base i massicci investimenti in programma per difendere e sostenere la crocieristica in città».
La spesa media invece dei turisti pernottanti a Venezia, in base alle più recenti statistiche, risulta essere invece più che doppia, superando i 130 euro al giorno. Dopo un paio d’anni di flessione il mercato crocieristico anche a Venezia sembra in risalita, spiegando così anche il «pienone» di questi ultimi weekend.

Secondo i dati dell’Autorità portuale veneziana, infatti, nel primo semestre i passeggeri sono cresciuti del 16 per cento: in valore assoluto una crescita di più di 80 mila crocieristi più, dai 480 mila del 2017 ai 561 mila del primo semestre dell’anno in corso. Un fenomeno però che preoccupa anche una parte consistente dei residenti, anche sulla base di quanto il presidente della Municipalità di Venezia Giovanni Andrea Martini (ne riferiamo a parte) è andato a riferire nella sua relazione al Congresso del Wto (l’Organizzazione mondiale del commercio) che si è svolto a Seoul, in Corea, in riferimento soprattutto all’inquinamento dei fumi e quello acustico.

La stessa Autorità Portuale ha deciso di recente di mettere sotto controllo i livelli di inquinamento acustico provocati nel Porto di Venezia dalle Grandi Navi, soprattutto nelle ore notturne, con l’uso di altoparlanti o amplificatori in occasione, ad esempio, di feste a bordo delle navi da crociera. Avviato infatti per la stagione in corso il monitoraggio acustico delle navi all’ormeggio nella banchine di Santa Marta e San Basilio nella Stazione Marittima, per la stagione crocieristica in corso.

L’incarico è già stato assegnato allo Studio Pro.Tecno srl. Previsti monitoraggi di lunga durata, per capire quanto rumore viene prodotto mediamente da una nave crociera che attracca e sosta alla Marittima. Ma anche di breve durata, relativi ad esempio ai periodi di imbarco e sbarco dei passeggeri o ad altri eventi legati alla presenza delle navi, sarà infine stilato un rapporto per valutare che i limiti di decibel nelle aree confinanti al Porto siano effettivamente rispettati, anche se non è mai stato emesso, come previsto dalla legge, un decreto che regola le emissioni acustiche nelle aree portuali.

Non è la prima volta che il Porto si occupa di questo problema, perché già quattro anni fa, l’allora presidente dell’Autorità Portuale Paolo Costa aveva emesso un’ordinanza per il contenimento e la riduzione delle emissioni sonore, anche in seguito alle reiterate le proteste e in qualche caso anche gli esposti presentati dagli abitanti di Santa Marta e San Basilio.

CROCIERE,2019 DA RECORD PREVISTO BOOM DEL 5,5%

VENEZIA IL PORTO PREFERITO

di Gianni Favarato

Nel 2017 le grandi navi hanno portato in città ben 1.466.635 passeggeri con un calo dell'11 % rispetto all'anno precedente.

Ma è poi vero che la crocieristica a Venezia è in grave pericolo per le eccessive regole che limiterebbe l'accesso delle grandi navi, a discapito degli operatori e dei lavoratori coinvolti?

Le compagnie di navigazione che organizzano le crociere in transito o in partenza-arrivo a Venezia siedono anche nel consiglio d'amministrazione del terminal passeggeri (Vtp) di Santa Marta che ha presentato un ennesimo ricorso al Tar del Veneto, contro l'ordinanza della Capitaneria di Porto che applica un algoritmo matematico che permette alle navi da crociera di entrare in laguna sulla base del combustibile usato, la forma dello scafo e l'idrodinamica, nonché lo spostamento d'acqua, l'onda generata, il dislocamento e gli apparati di sicurezza per la navigazione.
L'ordinanza, secondo i ricorrenti, limiterebbe l'attività crocieristica in laguna, ma se si vanno a guardare i numeri Venezia resta il secondo "porto crocieristico" d'Italia, dopo Civitavecchia, dove nonostante l'algoritmo della Capitaneria arrivano ancora grandi navi sopra le 90 mila tonnellate di stazza. Nel 2017 le crociere hanno portato a Venezia ben 1.466.635 passeggeri, con un calo dell'11 % (179 mila passeggeri in meno) rispetto all'anno precedente. La stagione crocieristica del 2018 non si è ancora conclusa ma stando ai primi dati diffusi dal sito di Informare, dovrebbe chiudersi con un recupero, seppur modesto, di passeggeri, rispetto al 2017. Uno studio realizzato da www.crocierissime.it, il primo sito italiano interamente dedicato al mondo delle crociere, sottolinea, inoltre, che Venezia è stato il porto crocieristico di partenza più richiesto dagli italiani nel 2017. E l'anno prossimo potrebbe andare ancora meglio: secondo l'agenzia marittima e turistica genovese Cemar prevede che il 2019 sarà un anno record per il traffico crocieristico nei porti italiani, nei quali - secondo le stime dell'azienda - giungeranno oltre 11, 5 milioni di passeggeri a bordo di navi da crociera, con un incremento a livello nazionale del +5,5% rispetto al totale previsto per il 2018. Lo studio della Cemar, presentato dal presidente della società Sergio Senesi, include anche le ultime previsioni relative all'anno in corso: il 2018 si chiuderà con 10.862.000 passeggeri movimentati nei porti italiani (+7,32% rispetto al 2017) nell'ambito di un totale di 4.641 approdi di navi (+1,13% rispetto al 2017). Anche quest'anno Civitavecchia si confermerà il principale porto croceristico italiano, al secondo posto ci saròà ancora il porto di Venezia, seguito da quelli di Genova, Napoli, Savona e Livorno. La stagione crociere del 2018, a livello nazionale, ha visto il coinvolgimento complessivo di 47 compagnie di navigazione, 145 navi e 80 porti italiani.

18 settembre 2018
COMUNICATO DI AMBIENTEVENEZIA E LINK A VIDEO

Dal 2013 in diversi Dossier di AmbienteVenezia abbiamo documentato con foto, documenti scientifici, nostre elaborazioni, filmati, i danni causati alla Laguna di Venezia dal passaggio delle grandi navi nei canali Lagunari.

In particolare abbiamo dimostrato quali devastazioni e distruzioni avrebbero causato i vari folli progetti presentati in questi anni dal cosiddetto “Partito Trasversale che vuole mantenere le grandi navi da crociera in Laguna” facendole entrare in Laguna dalla Bocca di Porto di Malamocco e facendole transitare attraverso il canale dei Petroli…

... c’è chi le vuole a Fusina, chi le vuole a Porto Marghera, chi le vuole portare in Marittima attraverso il canale Contorta o attraverso l’isola delle Tresse, o attraverso il canale Vittorio Emanuele.

Per realizzare qualsiasi di questi devastanti e folli progetti si dovrebbero scavare diversi milioni di metri cubi di fanghi più o meno contaminati.

Lo scavo del canale dei Petroli e il passaggio delle navi commerciali e industriali in questi anni ha creato danni irreversibili a tutta la Laguna centrale…. Allargare il canale dei Petroli e scavare vecchi e nuovi canali per far transitare anche le grandi navi da crociera porterebbe negli anni alla totale distruzione di quanto è rimasto nella Laguna centrale e farla diventare un braccio di mare con profondità di diversi metri.

Qui il link a un'interessante critica del prof. Gianni Fabbri sul progetto di portare le maxi navi a Marghera e del relativo scavo del canale dei petroli.

Qui alcuni video interessanti su onde e danni causati dal passaggio di navi nel canale dei Petroli:

"Ship Traffic and shoreline erosion in the Lagoon of Venice"

Realizzato da CNR – ISMAR e Università Ca’Foscari di Venezia, pubblicato nella rivista scientifica PLOSONE del 31 ottobre 2017

"Grande nave MSC in Canale dei Petroli"
Realizzato da Venezia Viva

"Onde: provocate dal passaggio di una nave mercantile dal porto di Marghera al canale dei petroli"
Realizzato da Loredana Spadon

Venezia 25 giugno 2018
LE GRANDI NAVI DA CROCIERA A VENEZIA: TEMPO DI CAMBIAMENTO
Lettera inviata dal Comitato NOGrandiNavi – Laguna Bene Comune ai Ministri Competenti

Mentre continuano le mobilitazioni popolari che pretendono l’estromissione definitiva dalla laguna di Venezia delle grandi navi crociera si auspica che su tale questione sia condotta una reale azione di cambiamento rispetto al governo precedente, con particolare riferimento all’azione ostativa del ministro delle Infrastrutture, che ha dimostrato subordinarietà agli interessi delle lobby crocieristiche.

Richiamiamo il nuovo Governo alla piena applicazione del decreto Clini-Passera (2012) al fine di garantire la tutela ambientale e la sicurezza della navigazione nella Laguna di Venezia.

Sollecitiamo in particolare il Presidente del Consiglio, che presiede il Comitato dei Ministri per Venezia, e il Ministro delle Infrastrutture:
a individuare il Progetto con Valutazione di Impatto Ambientale positiva (VIA positiva), come la soluzione alternativa al transito della Grandi Navi per il Bacino di San Marco, estromettendo del tutto le Grandi Navi dalla Laguna,
a dare seguito all’esito delle procedure attivate secondo la normativa vigente, (CS LL.PP. -Conferenza dei Servizi - CIPE)
ad autorizzare la rapida realizzazione della soluzione individuata , secondo l’Intesa Stato Regione dell’ 14 aprile 2014 e la Delibera del Comitato dei Ministri per Venezia del 8 agosto 2014.

Va radicalmente cambiato l’andazzo della situazione che si è venuta a creare con il vecchio governo tramite la Autorità Portuale con l’aver messo in campo sempre nuove irrealistiche proposte (scavo del canale Contorta, poi del canale delle Tresse, poi del terminala Marghera e scavo del Canale Vittorio Emanuele) per mantenere nel frattempo il transito delle grandi navi crociera attraverso il bacino di San Marco ed il canale della Giudecca.

Segnaliamo che il vecchio governo non ha tenuto in nessun conto la salute dei cittadini, esposti alle emissioni atmosferiche e al rumore delle navi a ridosso del centro abitato; nessuna cura è stata posta alla tutela dell’ inestimabile valore storico-artistico e del paesaggio della Città di Venezia; sul lato ambientale invece del ripristino della morfologia lagunare si è previsto lo sconquasso della Laguna e la stessa sicurezza della navigazione è stata messa a dura prova, mentre con l’ipotesi del terminal a Marghera si è attivata l’aspirazione ad una gigantesca speculazione immobiliare dalle aree industriali dismesse di proprietà dei privati all’area dei Pili.

IL CAMBIAMENTO ATTESO E AUSPICATO va collocato nel contesto normativo speciale vigente di tutela e salvaguardia di Venezia e della sua laguna, e nella cornice della forza di resistenza della popolazione che ha reagito fermamente con la protesta popolare tenendo conto:

-del decreto Clini-Passera, emesso nel 2012 subito dopo la tragedia del Concordia, che protegge la particolarissima sensibilità e vulnerabilità ambientale della Laguna di Venezia, laddove dispone il divieto di transito delle grandi navi crociera del bacino di S. Marco e di individuare una soluzione alternativa per poter garantire elevate condizioni di sicurezza marittima e la tutela dell’ecosistema lagunare;

- della mobilitazione di migliaia di cittadini, delle petizioni, del referendum popolare autogestito con oltre 18.000 firme, delle interrogazioni parlamentari, delle prese di posizione di osservatori mondiali, di Associazioni nazionali e dell’Organismo internazionale UNESCO, che chiede all’Italia di allontanare le grandi navi da crociera e da trasporto dall’intera laguna.

Per ultimo vanno respinte le indicazioni (peraltro non assunte e non deliberate, emerse nel corso dell’ultimo inconcludente Comitato dei Ministri per Venezia del 7 novembre 2017) di spostare il transito delle Grandi Navi alla Bocca di Malamocco verso Marghera e il Canale Vittorio Emanuele per i molteplici aspetti negativi già evidenziati dalle valutazioni del Ministero dell’Ambiente e della Capitaneria di Porto :

-un impatto ambientale devastante per le dimensioni ed il dislocamento delle grandi navi crociera che comporterebbe l’ulteriore erosione dei canali di accesso portuali con la mobilitazione di milioni di metri cubi di fanghi, per lo più inquinati, mettendo a rischio il già delicato equilibrio idrodinamico e morfologico della laguna. Recenti ricerche evidenziano una drammatica erosione del canale Malamocco-Marghera per il passaggio delle navi mercantili, di cui la Autorità Portuale ipotizza e persegue dimensioni sempre maggiori che sarebbe ancora più aggravata se si dovessero sommare anche le grandi navi crociera. Problematica peraltro, questa dell’erosione, che deve costituire comunque parte fondamentale del piano morfologico.

- una commistione di traffici diversi, crocieristici, commerciali, petroliferi attraverso la navigazione del canale dei Petroli (canale Malamocco-Marghera), con conseguenze negative per la sicurezza della navigazione e per gli stessi milioni di passeggeri obbligati ad attraversare il polo chimico di Marghera, dichiarata sito a Rischio di Incidenti Rilevanti ( RIR).

- aspettative speculative legate al cambio di destinazione d’uso delle aree dismesse: da industriale a turistico-commerciale, che rischiano di pregiudicare il futuro e lo sviluppo di attività industriali e manifatturiere della prima zona industriale (es. Fincantieri e bio-raffineria Eni) mettendo a rischio l’occupazione che ha già visto la perdita di migliaia di posti di lavoro; tutto ciò in aperto contrasto con il riconoscimento legislativo di Porto Marghera come “ area di crisi complessa “

Va invece preso formalmente atto, nel prossimo Comitato dei Ministri per Venezia ( vulgo Comitatone) che, a seguito della comparazione di diversi ipotesi progettuali e della procedura di valutazione dei Progetti presentati da parte della Commissione Nazionale di Valutazione di Impatto Ambientale, un unico progetto (denominato, Venis Cruise 2.0 , Duferco DP Consulting) ha superato la valutazione di impatto ambientale ed è pronto , dal punto di vista tecnico e giuridico, per essere individuato, in base al Clini Passera, quale soluzione alternativa subito realizzabile.

Il progetto è stato bloccato arbitrariamente dal ministro delle infrastrutture del precedente Governo e ha impedito l’avanzamento della procedura prevista dalle norme vigenti. Nel maggio di quest’anno il progetto Venis Cruise 2.0 ha ottenuto la sentenza favorevole del Tar in cui i giudici hanno respinto tutti i profili di illegittimità sollevati dal ricorso dell’Autorità Portuale ,( ricorso presentato dall’Autorità Portuale contro il Ministero dell’Ambiente e contro il Ministero delle Infrastrutture suo stesso Ministero di appartenenza!) e dal comune di Cavallino sugli aspetti procedurali, autorizzativi e progettuali.

Il Progetto denominato, Venis Cruise 2.0, soddisfa tutti i requisiti del Clini Passera come specificati e confermati anche dall’ODG del Senato ( 6 02 2014 Endrizzi, Casson ed altri): sposta il terminal delle grandi navi crociera alla bocca di Lido, è dichiarato dalla VIA positiva, del tutto compatibile con le esigenze di salvaguardia e tutela della laguna, non interferisce con il Mose, è a distanza di sicurezza dai centri abitati, utilizza la Marittima come home-port, conferma la tutela dell’occupazione e risponde pienamente alle raccomandazioni dell’Unesco votate dall’assemblea generale di Istanbul ( luglio 2016).

Alla luce di quanto sopra considerato si ritiene realistico poter affermare che per una forza politica di maggioranza esistono tutte le condizioni “di cambiamento” per realizzare in breve tempo quella soluzione alternativa praticabile che garantisce l’estromissione definitiva delle grandi navi crociera dalla laguna e che assicura nel contempo l’occupazione ed il mantenimento della crocieristica a Venezia.

Una rappresentanza del Comitato No Grandi Navi riterrebbe opportuno, e richiede al Presidente del Consiglio e ai Ministri competenti, un incontro da tenersi quanto prima.

La Nuova Venezia, 23 settembre 2018
DOMENICA UN NUOVO CORTEO ACQUEO IN BACINO

L'assemblea pubblica in Pescheria a Rialto, convocata ieri pomeriggio dal Comitato No Grandi Navi, ha deciso per il prossimo fine settimana nuove iniziative di mobilitazione e protesta a Venezia. Per sabato prossimo, 29 settembre, è stata convocata una "Assemblea nazionale dei comitati e movimenti contro le grandi opere e per la giustizia ambientale" alle ore 15 ai Magazzini del Sale a Dorsoduro.
Domenica 30 settembre è stata confermata una grande manifestazione nazionale a Venezia con «giochi d'acqua contro le grandi navi da crociera» e una marea di imbarcazioni (barche a motore a remi a vela, canoe, kayak, pedalò) nel Bacino di San Marco per «dire basta alle graandi navi a Venezia». «Sarà una grande festa per il rispetto della nostra laguna e della nostra città «spiegano gli organizzatori del Comitato «per chi partecipa alla protesta senza barca appuntamento alle Zattere dalle ore 16 al presidio organizzato con gazebi e la distribuzione di materiali vari e punti di ristoro.
Per chi viene in barca appuntamento di fronte Villa Heriot Giudecca alle ore 15.30, la parata di barche partirà da Villa Heriot e raggiungerà il presidio all'altezza delle Zattere dove saranno allestiti degli ormeggi galleggianti per garantire momenti di pausa ai vogatori e dei punti di ristoro in acqua».«Passano i governi, ma le navi da crociera restano» dicono i portavoce del Comitato No Grandi Navi «Chi era dalla nostra parte durante la campagna elettorale ora si comporta come il peggiore degli ignavi, a cominciare dal ministro Toninelli»

Il 29-30 settembre 2018 si terranno un' Assemblea nazionale dei comitati ambientali per fare il punto sulle grandi inutili opere e la manifestazione "Giochi d'acqua contro le grandi navi e le grandi opere" organizzate dal Comitato NOGrandiNavi Laguna Bene Comune. Qui il programma e invito all'Assemblea.

la Nuova Venezia, Antico Teatro di Anatomia-pagina fb, 7 e 11 settembre. La comunità della Vida non demorde e con fantasia e dedizione difende un bene pubblico di Venezia. Ma i poteri forti sanno di avere dalla loro parte "il fattore tempo". (m.p.r.)

la Nuova Venezia, 11 settembre 2018
LETTERA AL MINISTRO BONISOLI
«LA VIDA RESTI SPAZIO PUBBLICO»
di Roberta De Rossi

«I cittadini chiedono un incontro al rappresentante dei Beni culturali, giovedì in città. La proprietà: “Il Comune ci ha dato ragione, sarà ristorante”».

Una lettera per chiedere al ministro dei Beni culturali Alberto Bonisoli - che giovedì sarà a Venezia - un incontro, allargato a Regione e Comune, «per trovare una soluzione condivisa nell'interesse della città e dei suoi abitanti». L'ha inviata la Comunità della Vida, il gruppo di cittadini ed associazioni che da un anno chiede che lo spazio in campo San Giacomo venduto dalla Regione all'imprenditore Alberto Bastianello per un milione di euro, non diventi un ristorante, ma «resti pubblico, per un progetto soci-culturale al servizio dei residenti».La Comunità prende spunto proprio da un'intervista rilasciata dal ministro Bonisoli a la Nuova, nella quale sosteneva che «a Venezia non servono nuovi alberghi, ma politiche per la residenzialità e spazi per la produzione culturale».

Le associazioni non mollano, nonostante la denuncia penale per l'occupazione de La Vida ora sotto sequestro e il processo civile in corso (prossima udienza il 24 settembre)avviato dalla Regione - nei mesi in cui la Vida era stata trasformata dai cittadini in un centro civico - per la "possessoria" dell'immobile. Il Comitato ha organizzato anche un invio massiccio di cartoline all'indirizzo dell'amministrazione comunale per «fermare i cambi d'uso e la privatizzazione del patrimonio pubblico e valorizzare questi beni attraverso un regolamento di uso civico che consenta alle comunità di gestirli».Da parte sua, la proprietà ribadisce il progetto di voler riaprire il ristorante che la Vida fu un tempo e invita i cittadini di togliere il gazebo bianco che da mesi è stato allestito dopo lo sgombero, come "Vida mobile". «Siamo sereni e siamo stati confortati dagli uffici comunali, che ci hanno confermato la nostra interpretazione», spiega l'avvocato Bartolomeo Suppiej, «ovvero che in assenza di cambio di destinazione d'uso a struttura culturale previsto da piano regolatore - ma mai realizzato negli anni - vige tuttora la destinazione preesistente a utilizzo commerciale. Bastianello ha rogitato e pagato un bene del quale non riesce ad entrare in possesso. Il tempo sarà galantuomo e riconoscerà le nostre ragioni: invitiamo gli abitanti a togliere il gazebo».

Antico Teatro di Anatomia - pagina fb
7 settembre 2017

«Oggi abbiamo scritto al nuovo Ministro dei beni e delle attività culturali e al turismo Alberto Bonisoli, al Presidente della Regione Veneto Luca Zaia, a Brugnaro Sindaco, agli Assessori, ai Consiglieri Regionali e Comunali la seguente lettera che chiede ancora una volta di trovare una soluzione condivisa alla vicenda dell'Antico Teatro di Anatomia. Speriamo che i nostri sforzi vengano finalmente presi in considerazione».

Alla cortese attenzione
del Ministro Alberto Bonisoli

Gentile Ministro,

abbiamo letto le sue parole riportate sul quotidiano la Nuova Venezia di Venerdì 1° settembre 2018 e condividiamo le sue affermazioni: a Venezia non servono nuovi alberghi ma politiche per la residenzialità e spazi per la produzione culturale. A tal proposito le scriviamo in quanto abitanti di Venezia che si stanno impegnando in tanti modi affinché "l'Antico Teatro di Anatomia” (La Vida) resti pubblico attraverso l’applicazione di un regolamento di uso civico per un progetto socio-culturale al servizio della popolazione residente.

L’antico teatro di anatomia (La Vida) si trova in una zona molto particolare che si affaccia su Campo San Giacomo, un’area ancora popolata e vissuta dagli abitanti che usano lo spazio pubblico come luogo d’incontro e ludico per i propri figli, nonostante la continua apertura di nuovi ristoranti ed alberghi e la riduzione dei servizi per la comunità.

Le associazioni culturali About, Omnia e Il Caicio avevano avanzato anni fa un progetto che valorizzava l'immobile alla luce della sua eccezionale storia, ma la Regione Veneto non ha preso in considerazione la proposta preferendo vendere il bene per 911 mila euro a un imprenditore che vorrebbe realizzare un ennesimo ristorante.

A cessione avvenuta molti abitanti della zona e non solo, decisero di dare un segnale forte alla città per salvaguardare il patrimonio pubblico e opporsi alla trasformazione di Venezia in un immenso museo a cielo aperto con annessi alberghi, ristoranti e trattorie più o meno tipiche. Cosi Il 28 Settembre 2017 la Vida veniva riaperta da abitanti, famiglie, anziani, studenti, lavoratori fuori sede e molti altri. Un’azione che in quel momento è sembrata opportuna per dare una scossa e richiamare le istituzioni alle loro responsabilità, i beni pubblici infatti una volta venduti li perdiamo per sempre.

I primi due mesi dell'esperienza sono stati incentrati sul chiedere a tutte le istituzioni pubbliche (Ministero, Regione Veneto e Comune di Venezia) di far valere il diritto di prelazione valido per 60 giorni dall'avvenuta vendita. Al silenzio dal suo predecessore, il Ministro Franceschini e del Comune, sono seguite le accuse di occupazione e l’avvio dei procedimenti legali per sei persone da parte della Regione Veneto.

A questo punto, la comunità della Vida si è quindi sostituita alle Istituzioni pubbliche alfine di garantire la legalità, ovvero il rispetto della destinazione d'uso dell'immobile classificato nel Piano regolatore Comunale come SU (struttura unitaria pre-ottocentesca con destinazioni d'uso compatibili unicamente come: "musei, sedi espositive, biblioteche; archivi; attrezzature associative; teatri; sale di ritrovo; attrezzature religiose") e fornire servizi pubblici gratuiti e completamente autogestiti agli abitanti (ludoteca, archivio del quartiere, mostre, incontri, spettacoli, momenti di socialità e confronto).

Nonostante questo, il 6 marzo 2018, il quartiere viene svegliato da un impressionante dispiegamento di forze dell'ordine, riunite a circondare l'intera zona per sgomberare i locali.

Ad oggi, l'immobile rimane sotto sequestro perché l'acquirente ha avuto risposte vaghe da parte del comune sulla possibilità di cambiare la destinazione d’uso dell’immobile per svolgere la propria attività commerciale e gli abitanti di San Giacomo da l’Orio non si rassegnano. Le attività continuano all'esterno sotto a un gazebo che funge da presidio ed il nostro messaggio è chiaro: “non è possibile che nell'immobile venga fatto un ristorante, non lo permettono le regole e noi saremo garanti di questo”.

Che fare signor Ministro per uscire da questa impasse?

Noi la invitiamo ad incontrarci e ad incontrare la Regione Veneto e il Comune per trovare una soluzione condivisa a questa vicenda nell'interesse della città e dei suoi abitanti. Venezia infatti è conosciuta in tutto il mondo ma la sua vita vera, quella fatta dalle persone che la abitano, è trascurata dalle stesse istituzioni che la dovrebbero difendere e promuovere. La nostra comunità si è stretta intorno a questo luogo, un simbolo della difesa di Venezia contro lo strapotere di chi crede che tutto si possa vendere e comprare, persino una città e i suoi monumenti... La preghiamo di essere con noi in questa battaglia per affermare il diritto costituzionale alla vita di una comunità.

Per questo e proprio in questi giorni, abbiamo indirizzato all'amministrazione comunale un accorato appello per fermare i cambi d'uso e la privatizzazione del patrimonio pubblico ed allo stesso tempo per valorizzare i beni pubblici attraverso un regolamento di uso civico che consenta alle comunità di gestirli.

La gestione amministrativa dei beni pubblici ad opera della Comunità è difatti possibile, come dimostrano le numerose esperienze italiane presentate al convegno nazionale "L'altro uso" svoltosi all'Università Iuav di Venezia il 14 e 15 aprile 2018, sulla base del principio di sussidiarietà definito al quarto comma dell’art. 118 della Costituzione italiana.

Grazie Ministro dell'attenzione e speriamo che voglia ascoltarci.

La Comunità della Vida

Articolo tratto dalla pagina qui raggiungibile

4 agosto 2018. Rigenerazione per chi? Quando le parole smettono di cogliere la realtà dei fatti e rispondere alla sfide dei problemi reali, da quelli ambientali a quelli sociali, diventano utili solo alla propaganda dei poteri forti, che in Italia sono gli interessi immobiliari. (i.b.)

Ho letto con piacere l'intervista all'avv. Bruno Barel sulla Nuova Venezia di lunedì 23 luglio 2018. La materia della rigenerazione urbana non è di quelle che appassionano immediatamente, ma ignorarla significa risvegliarci in città diverse da quelle che abbiamo lasciato quando siamo andati a dormire.

La prospettiva è sicuramente interessante: demolizione e riqualificazione in terreni marginali (prevalentemente a Porto Marghera) mediante la realizzazione di edifici-torre dalla forte valenza iconoca (tall) e con punti di vista o di belvedere sulla più bella città del mondo (quindi facilmente commercializzabili). Lo stesso Piano Strategico metropolitano 2018-2020 approvato sempre lunedì 23 luglio dalla Città metropolitana porta in grembo il germe di una futura "città verticale". Quindi l'argomento è attuale!

Ma si tratta di un approccio corretto?
Quello che è stato fatto, o che è in progetto di fare, in città come Barcellona, Monaco, Beirut, ecc., può essere tranquillamente replicato a Venezia?

Troppo spesso ci dimentichiamo che le nostre due città (Venezia e Mestre) sono incastonate in un habitat unico: la laguna di Venezia, che avrebbe tutte le caratteristiche per diventare un parco nazionale (il parco nazionale per antonomasia dell'italianità, dove ambiente e opera dell'uomo si sposano in maniera incredibile!) ma che, per le piccolezze della prima e della seconda Repubblica, non ha nemmeno la dignità di parco regionale. Verrebbe mai in mente di costruire una muraglia di edifici-torre tutto attorno al parco della Camargue o al promontorio del Circeo?

E' questo il punto.

Per "gronda lagunare" intendiamo poche centinaia di metri dal bordo della laguna o tutto lo sky line che si può osservare dalla Città Antica?

Il Comitato per Patrimonio Mondiale dell'UNESCO non ha dubbi e relativamente al sito "Venezia e la sua Laguna", durante la sessione di lavori svoltasi a Istanbul nel 2016, ha chiaramente sentenziato: "di rivedere la Buffer Zone proposta per il sito in coerenza con la revisione tecnica dell'ICOMOS e di sottoporla al Centro del Patrimonio Mondiale quale modifica minore dei confini". In altri termini, attorno al sito "Venezia e la sua Laguna" (che sostanzialmente termina poche centinaia di metri a ovest della linea di gronda) l'UNESCO prevede una fascia di rispetto di alcuni chilometri ("Buffer Zone") dove non vigono le rigide regole di tutela del sito, ma dove i grandi progetti infrastrutturali e le modifiche del paesaggio devono essere sottoposte ad approvazione, proprio per non comprometterne l'Eccezionale Valore Universale.

Ma in realtà cosa sta succedendo?

Per il rischio che i grossi progetti infrastrutturali in programma alle spalle di Venezia possano essere rallentati da ulteriori procedure di approvazione, il Sindaco Brugnaro ha proposto, diciamo così, di "annacquare" la Buffer Zone rendendola talmente ampia da avere un'efficacia coercitiva praticamente inesistente: tutti si ricorderanno la proposta di farla arrivare fino alle Dolomiti; questo non è successo, anche se ora arriva fino ad Asolo e Montebelluna (ad insaputa degli ignari abitanti!).

Questa smisurata area cuscinetto (che così com'è non serve a nulla) va sicuramente ridimensionata, per fare in modo che le future edificazioni nell'entroterra veneziano si possano confrontare con il "patrimonio culturale paesaggio" (perché il paesaggio è patrimonio culturale ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio) e con il valore degli habitat circostanti.

Questo potrebbe essere fatto magari estendendo il vincolo paesaggistico (ex legge 1497/39) fino a ricomprendere tutte le porzioni di territorio visibili da Venezia, in modo che possa essere sondato l'impatto di futuri progetti come Venus Venice, Pili, Tessera City o il raddoppio dell'aeroporto, sulla città lagunare. E anche la terraferma ne avrebbe un vantaggio, perché, per esempio, sarebbe valutata la compatibilità paesaggistica dell'edificazione di grattacieli nell'area dell'ex ospedale, area su cui insisteva l'antico Castelvecchio di Mestre (tematica che come rappresentante dell'Istituto dei Castelli mi tocca in prima persona).

Questa sfida lancio all'avv. Barel: rigenerazione urbana non può voler dire solo riduzione di consumo di suolo e costruzione in altezza, ma deve poter significare anche qualcos'altro, per esempio il recupero del patrimonio edilizio esistente. Si pensi alle isole lagunari (San Giacomo in Paludo, S. Angelo della Polvere, S. Giorgio in Alga, Poveglia, ecc.) che potrebbero ospitare attività economiche innovative o all'immenso patrimonio immobiliare privato inutilizzato in centro storico. O forse l'utilizzo alberghiero di queste strutture è ormai assodato e sono ambiti urbani dove non si può più sperimentare?

E la stessa valorizzazione dell'area dell'Umberto I potrebbe essere l'occasione (magari osando qualche ricostruzione di edifici storici vista l'eccezionalità del caso) per ridare a Mestre quel centro a misura d'uomo che le è stato rubato dagli immobiliaristi degli anni Sessanta. Quegli stessi immobiliaristi i cui nipotini ora si preparano a tornare alla carica, questa volta non demolendo città, ma rubando paesaggio.

L'autore è il Consigliere Nazionale dell'Istituto Italiano dei Castelli.

Testo integrale inviato dall'autore a eddyburg dell'articolo pubblicato in forma ridotta sulla Nuova Venezia del 4 agosto 2018.

Time, 26 Luglio 2018. La rivista statunitense fa il punto sul sovraffollamento turistico di alcune tra le principali destinazioni europee, citando i provvedimenti presi dai governi locali per contenere il fenomeno. Con sintesi in italiano e commento. (c.z.)


L’articolo del Time si sofferma sulla crescita del turismo internazionale in Europa e sulla “frustrazione” che essa comincia a generare nelle popolazioni locali, che ne devono sostenere le ripercussioni. La fede nel turismo come “salvavita economico” ha infatti indotto governi ed amministrazioni locali a promuovere ed incentivare per anni tale forma di sviluppo, competendo per attrarre navi da crociera, nuove linee aeree, nuovi hotels, senza porsi il problema delle conseguenze che ciò avrebbe comportato per i territori. Conseguenze che oggi, tramite singoli provvedimenti locali o misure fiscali, stentano ad essere effettivamente risolte. Tra i casi descritti dal giornale, ci sono Barcellona e i tentativi compiuti dal sindaco Ada Colau per porre delle limitazioni alla sua capacità ricettiva; Dubrovnik, Amsterdam, la Grecia, l’Islanda, le Lofoten Islands in Norvegia. E, naturalmente, Venezia.

Il ritratto che la giornalista fa della situazione in Laguna appare tuttavia poco approfondito e a tratti fuorviante. Si limita infatti a riportare senza una verifica fattuale le dichiarazioni dell’assessore al turismo, Paola Mar, e cita come interventi compiuti dall’amministrazione “la restrizione alla costruzione di nuovi hotels e ristoranti take-away, la costruzione di corsie preferenziali per i residenti sui mezzi pubblici, un piano per deviare i flussi nei giorni estivi più congestionati e l’assunzione di 22 stewards per educare il comportamento dei turisti”. Misure che in realtà, quando non rimaste esclusivamente sulla carta e contraddette in maniera sostanziale nella pratica (basti pensare alle migliaia di posti letto in costruzione a Mestre), si rivelano di scarso o nullo effetto sulla mitigazione dell’impatto turistico cittadino. L’articolo lascia inoltre intendere che l’installazione di tornelli negli accessi principali della città costituisca un effettivo tentativo di regolamentazione del fenomeno da parte dell’amministrazione, e che ad essa i residenti Veneziani si oppongano o perché contro-interessati economicamente o per un generico rifiuto della chiusura, senza alcuna riflessione critica circa il significato e l’efficacia di un simile provvedimento.

Nel complesso, quindi, un articolo più utile ad avere una prospettiva d’insieme sull’overtourism che non ad approfondire i singoli contesti, e la cui rilevanza consiste piuttosto nel contribuire a trasmettere al pubblico estero un’immagine meno patinata delle principali destinazioni europee. (c.z.)



EUROPE MADE BILLIONS FROM TOURISTS. NOW IT'S TURNING THEM AWAY
di Lisa Abend

In Giovanni Bonazzon’s paintings, Venice is a vision of serenity. Bridges arch gracefully over rippling canals, sunlight bounces off flower-filled balconies, and not a single human mars the tranquility. Bonazzon’s daily vista is not as tranquil, however. An artist who paints and sells watercolors from an easel set up near San Marco Square, he has a ringside seat to the selfie-posing, ice-cream-licking hordes who roil their way daily toward the Doge’s Palace, and he readily agrees that tourism is killing his hometown. Yet when he heard that Venice Mayor Luigi Brugnaro had, in the run-up to a busy weekend at the beginning of May, installed checkpoints intended to block arriving visitors from especially crowded thoroughfares (while allowing locals through), Bonazzon was dismayed. “Yes, they should control the tourists,” he says. “But they shouldn’t close Venice. We’re a city, not a theme park.”

That’s a refrain echoing in a growing number of European cities. The neoclassical gems that once made up the grand tour have been stops on package tours since the 19th century. But it’s only over the past decade or so that the number of travelers to these and other must-see destinations risks subsuming the places. Around 87 million tourists visited France in 2017, breaking records; 58.3 million went to Italy; and even the tiny Netherlands received 17.9 million visitors.

It’s happening nearly everywhere. Asia experienced a 9% increase in international visitors in 2016, and in Latin America the contribution of tourism to GDP is expected to rise by 3.4% this year. Even a devastating hurricane season couldn’t halt arrivals in the Caribbean, where tourism grew 1.7% in 2017. (The U.S., on the other hand, has seen foreign tourism drop, partly because of a strong dollar.)

But Europe is bearing the brunt. Of the 1.3 billion international arrivals counted by the U.N. worldwide last year, 51% were in Europe–an 8% increase over the year before. Americans, in particular, seem drawn to the perceived glamour and sophistication of the Old Continent (as well as the increased spending power of a strong currency). More than 15.7 million U.S. tourists crossed the Atlantic in 2017, a 16% jump in the space of a year.

With tourism in 2018 expected to surpass previous records, frustration in Europe is growing. This past spring witnessed antitourism demonstrations in many cities throughout Europe. On July 14, demonstrators in Mallorca, Spain, conducting a “summer of action” greeted passengers at the airport with signs reading tourism kills Mallorca.

Now, local governments are trying to curb or at least channel the surges that clog streets, diminish housing supplies, pollute waters, turn markets and monuments into no-go zones, and generally make life miserable for residents. Yet almost all of them are learning that it can be far more difficult to stem the tourist hordes than it was to attract them in the first place.

The reasons for this modern explosion in tourism are nearly as numerous as the guys selling selfie sticks in Piazza Navona. Low-cost airlines like easyJet, Ryanair and Vueling expanded dramatically in the 2000s, with competitive ticket prices driving up passenger numbers. From 2008 to 2016, the cruise-ship industry in Europe exploded, growing by 49%. Airbnb, which launched in 2008, made accommodations less expensive. Rising prosperity in countries like China and India has turned their burgeoning middle classes into avid travelers. Even climate change plays a role, as warmer temperatures extend summer seasons and open up previously inaccessible areas.

But the cities and local governments here also share responsibility for the boom, having attempted to stimulate tourism to raise money. In the decade since the financial crisis began, tourism has come to be seen by European countries as an economic lifesaver. The industry generated $321 billion for the E.U. in 2016 and now employs 12 million people. Governments in cities like Barcelona spent heavily to attract tourist dollars. “For decades, the government here was using tons of public money to attract cruise lines, new hotels, new airlines,” says Daniel Pardo, a member of the city’s Neighborhood Assembly for Sustainable Tourism. “But they didn’t think about the repercussions.”

Barcelona is one of the cities that got more than it bargained for. Every day in high season now, four or five cruise ships dock in the Catalan capital, spilling thousands of passengers at the base of the famous Rambla Boulevard. “You can’t walk there,” Pardo says. “You can’t shop at the Boquería market. You can’t get on a bus, because it’s packed with tourists.”

Over the past few years, Barcelona has begun taking action to improve tourist behavior, like fining visitors who walk around the city center in their bathing suits. The current mayor, Ada Colau, has dramatically intensified that action. In January 2017, her government prohibited the construction of new hotels in the city center and prevents their replacement when old ones close. Cruise ships that stop for the day may struggle to get docking licenses, as the city prioritizes those that begin or end their journey in Barcelona. Tour groups can now visit the Boquería market only at certain times, and the city is considering measures to ensure locals can still buy raw ingredients there–and not just smoothies and paper cones of ham.

“There is a risk that some areas of the city, like Sagrada Familia or the Boquería, will become amusement parks,” says Agustí Colom, the city councilman for tourism. “But we’re still in time to save them. We understand that Barcelona cannot become an economic monoculture.”

Other places are also turning to the law to reduce the number of globetrotters. Ever since its medieval center stood in for King’s Landing on Game of Thrones, the walled Croatian city of Dubrovnik has been overwhelmed by fans of the HBO series. In 2017, Dubrovnik limited the number of daily visitors to 8,000; its new mayor now seeks to halve that amount. Amsterdam, whose infamous drug culture and picturesque canals drew at least 6 million foreign visitors to the city in 2016, has adopted a carrot-and-stick approach. The Dutch capital has introduced fines for rowdy behavior and banned the mobile bars known as “beer bikes,” while simultaneously attempting to lure visitors to less congested sites like Zandvoort, a coastal town 17 miles from the city center that has been rebranded Amsterdam Beach, through apps and messaging systems.

The city has also raised its tourist tax to 6%, joining several other cities and some countries that aim to control visitor numbers with higher levies. At the start of 2018, Greece imposed its first tourist tax, which ranges from roughly 50 cents a night to four euros. In Iceland, which receives nearly seven times as many visitors as it has residents, lawmakers will consider a tax this fall on tourists coming from outside of Europe.

Yet even in liberal Europe, not every government is willing to raise taxes. Authorities in the Lofoten Islands in northern Norway beseeched the government to raise levies after more than a million tourists visited in 2017, thanks in part to the movie Frozen. The 25,000 inhabitants found their single main road and its sparse facilities completely overwhelmed.

When Norway said no to higher taxes, the locals were forced to take matters into their own hands. “We’ve organized community volunteers to build trails and haul trash,” says Flakstad Mayor Hans Fredrik Sordal. “In summer, we’re opening the school toilets to the public. And we’re asking tourists for volunteer contributions.”

For locals in these places, anger at the ever-expanding rates of tourism can be placated by the money there is to be made out of catering to them. The advent of Airbnb has created a revenue stream for city-center residents with spare bedrooms and second properties. The company sees itself as an answer to tourism overcrowding rather than a net contributor. “We are convinced our community can be a solution to mass tourism,” wrote company founder Nathan Blecharczyk in a May report, “and that it enables sustainable growth that benefits everyone.”

Yet some people benefit more than others. Canny investors buy up residential properties in desirable locations and convert them into tourist apartments, provoking housing shortages and pushing up prices. Again, some cities have taken action. Copenhagen, for example, has limited the number of days per year that owners can rent out their residences. Barcelona has targeted Airbnb itself, forcing it to share data about owners and remove listings for unlicensed apartments. It has also launched a website where visitors can check if a potential apartment is legally registered. But speculators are hard to deter, especially as Airbnb doesn’t require owners to reside in housing that is rented through the site.

Balancing the needs of locals with the demands of tourists is a challenge across Europe but perhaps nowhere more so than in Venice, where more than 20 million tourists crowd the piazzas and canals every year. When the city’s mayor attempted to install checkpoints to potentially shut main thoroughfares to tourists, the initiative was greeted by protests from locals, who saw the surprise measure as an attempt to close the city. “We tried to do something for the city, for the residents,” laments Paola Mar, Venice’s deputy mayor for tourism. “This measure was for them, for their safety. But in Italy, you’re only good if you do nothing.”

Venice has not done nothing. The local government has restricted the construction of new hotels and takeout restaurants, and created a fast lane for residents on public transport. It has a plan in place to ease congestion by diverting foot and boat traffic on exceptionally crowded days this summer, and now employs 22 stewards in vests that read #EnjoyRespectVenezia to prevent tourists sitting on monuments, jumping in the canal, or otherwise misbehaving.

But imposing too many restrictions risks alienating the residents who depend on access to tourist dollars; across the E.U., 1 in 10 nonfinancial enterprises now serves the industry. In Venice, a proposal to ticket the entrance to San Marco Square has run into resistance from shopkeepers. And the subject of restricting cruise-ship access is a touchy one. “You have to know, 5,000 people work with the cruise ships,” says Mar, who notes that the city council has asked the government to move large ships from the San Marco basin. “If we want people to stay in Venice, they have to have jobs.”

And therein lies a hint of what is at stake. Venice has been losing residents for decades, dropping from nearly 175,000 in 1951 to around 55,000 now. The city seems close to uninhabitable in certain areas–its streets too crowded to stroll down, its hardware shops and dentist offices replaced by souvenir stalls. The same cycle threatens Barcelona and Florence; tourism drives locals out of the center, which then leaves even more spaces to be colonized by restaurants and shops that cater to tourists. Annelies van der Vegt understands the sentiment. A musician, she lives in the center of Amsterdam but is tired of finding entire tour groups on her doorstep, gaping at her 17th century house. “I’m thinking of moving to Norway,” she says.

When the residents leave and the visitors take over, what is left behind can lose some of its charm. One day in May, Susana Alzate and Daniel Tobón from Colombia waited on Venice’s Rialto Bridge as first a gaggle of Israeli Orthodox Jews, then a tide of Indian Sufis jostled by. Finally, the couple found a slot on the railing, struck a pose and shot their Instagram story. “It’s beautiful,” said Alzate as she gazed out on the Grand Canal. “But I would never come back. Too many tourists.”

Tratto dalla pagina qui raggiungibile.

Proposta di micro progetto per scoprire il verde nascosto di Venezia, promuovere spazi pubblici per i residenti ed educare sull’importanza del verde per la salute, vivibilità e riduzione CO2. Vota il nostro video per aiutarci realizzarlo!

«Abitare il verde a Venezia» è una la proposta per un microprogetto per il bando «100.000 EURO PER LA SOSTENIBILITÀ», nell’ambito dell’iniziativa NOPLANETB. Sviluppata da eddyburg.it e Zoneonlus in collaborazione con AmbienteVenezia e il circolo culturale Peroni, due associazioni attive a Venezia, l’idea nasce dalla volontà di utilizzare “il verde” come strumento per restituire ai residenti degli spazi pubblici vivibili. I “campi”, gli spazi pubblici per eccellenza di Venezia, si presentano per la maggior parte come distese selciate, privi di verde e sempre di più sacrificati a plateatico a consumo dei turisti, sottraendo spazio vitale agli abitanti, una specie oramai in via di estinzione.

Se nel passato Venezia era circondata interamente da campi verdi e pascoli, nel corso dei secoli queste aree sono state gradualmente ricoperte dalla pavimentazione e le zone verdi sono concentrare nella zona dei Giardini e Sant’Elena, oppurre nelle corti private, inaccessibili ai più e nascoste dietro a muri e cancelli. Con l’aumento dei mezzi acquei a motore, dalle grandi Navi ai motoscafi e vaporetti, l’inquinamento a Venezia sta raggiungendo valori molto alti, nonostante sia una città sostanzialmente priva di automobili. Venezia, è la seconda città del Veneto per numero più alto di sforamenti dei limiti di legge di sostanze inquinanti l’aria e nessun provvedimento è stato ancora considerato. Nell'ambito di questo progetto si vuole anche sensibilizzare la cittadinanza a questo problema, in quanto il verde costituisce un importante deterrente all'inquinamento atmosferico.

Questo progetto vuole contrastare l’idea di una città irrimedialmente destinata al consumo turistico e allo sfruttamento delle risorse ambientali. Attraverso alcune piccole attività, si vuole contribuire a restituire dignità a Venezia, come la grande marcia del 10 giugno scorso invocava, sia con la promozione di spazi pubblici vivibili, sia attraverso incontri per comprendere meglio la città e promuovere azioni che la rendano più a misura di chi la vive e nel rispetto del suo ecosistema.

Queste le attività principali previste:

1. Verde nascosto: un concorso fotografico aperto a tutti per scoprire aree e angoli di vegetazione della città. Gli abitanti sono invitati a documentare con uno scatto fotografico, un luogo verde inacessibile o celato.

2. Campo verde: un laboratorio di progettazione partecipata aperta a residenti veneziani, in cui attraverso una serie di quattro incontri si progetterà la vegetazione di sei “campi” di Venezia, uno per sestiere. Si sperimenteranno diverse tipologie di verde, l’ orto urbano, il giardino verticale, il totem verde, l’ oasi o la foresta in vaso, sotto la guida di agronomi, etologi, ingegneri ambientali, architetti e giardinieri. In campo Santa Margherita, dove una volta di trovava un albero – ora tagliato - verrà realizzato uno piccolo giardino verticale dimostrativo per mettere in pratica le tecniche acquisite.

3. Venezia verde: una festa di primavera che concluderà il progetto e che si terrà in Campo Santa Margherita. In occasione della festa verranno esposti i progetti del laboratorio, verrà inaugurato il verde verticale realizzato in campo, sarà allestita una mostra-istallazione delle fotografie pervenute attraverso il concorso e saranno organizzati alcuni dibattiti sul rapport verde, salute, vivibilità e cambiamenti climatici. L’evento sarà all’insegna della convivialità, aperta a tutti gli abitanti e associazioni locali, che potranno partecipare con banchetti ed esposizioni.

Qui il link al video preparato per concorrere al finanziamento. L'assegnazione del finanziamento dipende in parte dal numero di voti ricevuti dal progetto. Se condividete le nostre idee e proposta votateci!

Internazionale, 29 June 2018. Le contraddizioni dell'Italia: l'indiscussa accoglienza di masse di turisti e il respingimento di coloro che scappano cercando una vita migliore da parte dei nostri governanti e la solidarietà della gente ordinaria. (i.b.)

Durante il mio soggiorno a Chioggia, nell’agosto del 2017, ogni volta che vedevo uno yacht turistico con i passeggeri a bordo che mi salutavano, io rispondevo salutandoli dal balcone che dava sulla laguna. Mentre fumavo e sorseggiavo lentamente il mio caffè – e per un libico un caffè può durare fino a cinque sigarette – mi chiedevo cosa stesse raccontando la guida turistica in quel momento. Forse una cosa così: “E alla vostra sinistra un abitante del posto che fuma una sigaretta. In effetti non somiglia molto a un abitante del posto, e noi non beviamo il caffè in quel modo, ma potete ugualmente scattargli delle foto”.

O forse, se fossimo a Hollywood, avrebbe detto qualcosa tipo: “Alla vostra sinistra potete osservare la casa di Rosa Anna Valtellina, la zia del regista italiano Andrea Segre. Proprio quella con l’uomo dalle fattezze arabe che fuma sul balcone. L’area sotto la casa è il posto in cui Segre ha girato molte scene del film Sono Li. Se percorrete a piedi la stessa strada, troverete il bar in cui lavorava nel film. Durante le riprese hanno cambiato il nome del bar, ma il proprietario ha deciso di mantenerlo anche dopo.

Qualunque cosa stesse raccontando loro la guida turistica, sono sicuro che non era ciò che mi ha detto Pietro la prima volta che sono saltato a bordo della sua barca a Venezia: “Non buttare niente in acqua, soprattutto i mozziconi delle tue sigarette: le spegni e le butti lì”, e ha concluso la frase indicando una piccola pattumiera in un angolo della barca. La seconda cosa che mi ha detto era: “Qualunque cosa succeda, non tenerti al bordo della barca con le mani, se proprio ti devi aggrappare a qualcosa, afferra questa”, e mi ha mostrato una corda.

Mi ha dato quel consiglio come se sapesse che avrei fatto proprio quello. Non avevo nemmeno declamato la mia famosa frase per queste occasioni: “Non sono bravo a nuotare, salvami se cado”. Ho smesso di pronunciarla un po’ di tempo fa, non solo perché era imbarazzante visto che sono nato e cresciuto vicino al mare, a Tripoli, “la sposa del Mediterraneo”, ma anche perché chi è pronto a salvare gli africani che annegano lo farebbe anche senza sentirselo chiedere, e continuerà a farlo anche se qualcuno gli dicessero di non farlo, cosa che sta succedendo adesso; mentre chi non li vuole salvare non lo farebbe nemmeno se gli venisse chiesto.

Pietro non mi ha mai spiegato perché non dovevo tenermi ai bordi della barca, ma mi ha detto che sarebbe necessario un gran talento per annegare in quel canale poco profondo o qualcosa del genere. Il motivo l’ho scoperto poco dopo, e nel modo peggiore, perché per poco non ho perso le dita quando la nostra barca ne ha sfiorato un’altra mentre cercavamo di schivarla. A quel punto lui mi ha sorriso: “Adesso sai perché, e non lo dimenticherai”. In quel momento il dolore alle dita mi ha insegnato due cose: primo, lui aveva ragione, secondo dovrei imparare più parolacce in italiano.

Pietro è per definizione un vero veneziano, pilotava la sua barca come non avevo mai visto fare prima, oscillando e manovrando negli stretti canali affollati come se stesse guidando un’automobile sportiva in un’autostrada vuota. Conosceva la storia di ogni crepa di ogni palazzo, muro o ponte nella città. Era affascinante osservare il modo in cui viveva. Credo che se il mondo dovesse trovarsi davanti a uno scenario da apocalisse, con la terra sommersa dall’acqua, i veneziani sopravviverebbero e dominerebbero il mondo postapocalittico, e forse Pietro sarebbe il presidente del nuovo mondo d’acqua.

Prima di conoscere Pietro a Venezia avevo trascorso qualche giorno a Chioggia, la versione meno turistica di Venezia, e quando non me ne stavo sul balcone a fumare e salutare i turisti mi godevo la compagnia di Rosa. Avevo portato ad Andrea un abito tradizionale libico, e mentre se lo stava misurando lei ha detto che le ricordava un elegante signore libico che aveva conosciuto in Libia e che le aveva detto con gentilezza che avrebbe dovuto aspettare un po’ perché il suo volo era stato cancellato. Quando ormai stava per arrendersi e andarsene, lui le ha parlato in italiano e si è offerto volontario per tradurle ciò che non capiva.

Questa storia mi ha incuriosito. Le ho chiesto quando avesse visitato la Libia, e lei mi ha risposto che il suo viaggio risaliva al 2003, quando era andata a fare visita a sua sorella Franca (la madre di Andrea). Le ho chiesto se avesse qualche foto della Libia e lei mi ha portato tante scatole con decine di foto e mi ha invitato a scavarci dentro.

Ci ho messo diverse ore per guardare tutte le foto. Ho scoperto che Rosa era un’avventuriera di prima classe che ha cominciato a viaggiare attorno alla metà degli anni sessanta, prima in Italia e poi in Europa, Africa e America. Si è accampata nel deserto con i beduini e li ha accompagnati sul dorso di un cammello in luoghi in cui le automobili non potevano arrivare con facilità, ha percorso a piedi le montagne nevose dell’Europa orientale e la sua ultima destinazione è stata Cuba, dove era stata pochi mesi prima che la conoscessi. Non parlava inglese, ma questo non le ha impedito di viaggiare. Ha raccontato che all’inizio usava il latino per comunicare: in ogni parte del mondo c’è sempre un prete e loro parlano tutti latino. “Anzi, in Norvegia parlano latino molto meglio di me”, ha raccontato.

Ho guardato le foto che aveva scattato in Libia, le strade di Tripoli, i mercati, la piazza dei Martiri, l’ingresso della città vecchia, Sabratha e le rovine greche e romane della Cirenaica. Ho provato invidia per lei, perché nei suoi ricordi quei luoghi resteranno per sempre belli, mentre oggi faticano a sopravvivere. Il caos fa dimenticare la ricca storia della Libia e di Tripoli, in pochi hanno voglia di preservare i suoi siti storici. Una di queste persone è Hiba Shalabi, una fotografa libica che ha lanciato sui social network la campagna #SaveTheOldCityTripoli.

Hiba ha cominciato a condividere foto che documentavano la distruzione degli edifici storici e ha chiesto alla gente di Tripoli di unirsi a lei. Ultimamente ad aggravare il livello di distruzione sono intervenuti i progetti edilizi deregolamentati avallati dalle autorità libiche che non solo non si curano della manutenzione di questi edifici, ma hanno cominciato a legalizzare questa distruzione concedendo ai costruttori il permesso di raderli al suolo a prescindere dal loro valore storico. All’inizio non sono stati in molti a sostenere Hiba. Poi l’ambasciata italiana in Libia ha sostenuto la sua campagna e nel giro di poco tempo diverse televisioni e giornali europei hanno condiviso la sua storia e a quel punto finalmente anche i giornali locali se ne sono occupati.

Mentre la città vecchia di Tripoli, come tante altre città storiche in Libia, sta morendo, trascurata e dimenticata dal resto del mondo, Venezia affronta il problema opposto. “Venezia è una vera città”: questa frase era scritta su striscioni verdi attaccati ai balconi delle case che si affacciavano sui canali.

Gli striscioni facevano parte di una campagna lanciata in occasione della Regata storica del 2017 e “ideata per contrastare la tendenza prevalente dei politici locali, regionali e nazionali a rendere prioritario il turismo a Venezia, come se la città non fosse altro che un limone da spremere. Sostenendo i residenti, le loro necessità e la loro qualità di vita con strategie di lungo periodo, Venezia potrà essere invece conservata e nutrita in quanto città viva, ed essere attraente per i turisti senza le tossine del turismo di massa”.

Accoglienze diverse
Nei giorni del festival il Lido di Venezia è affollatissimo. Come a Tripoli le persone fanno lunghissime file, in questo caso non davanti alle banche ma davanti agli alberghi di lusso e al palazzo del cinema, nella speranza di potere scattare una foto a una celebrità. Era assurdo vedere come su poche isole ci fossero migliaia e migliaia di turisti che maltrattavano tutto e si lasciavano alle spalle montagne di rifiuti mentre altre erano quasi vuote, anche se c’erano comunque abbastanza turisti da costringere Pietro a fermarsi diverse volte con la sua barca per raccogliere le cose che gettavano in acqua, per esempio le bottiglie.

L’altra cosa che al Lido mi ha fatto tornare in mente Tripoli erano i posti di blocco. Il primo giorno del festival e prima di ricevere le mie credenziali sono stato fermato da ogni poliziotto a ogni posto di blocco e controllo di sicurezza. Questo mi ha fatto sentire a casa, con la differenza che ai posti di blocco di Tripoli i miliziani a volte indossano passamontagna neri e alcuni calzano sandali infradito. Controllavano il mio zaino, facevano tripli controlli sul mio passaporto.

La cosa divertente era che alcuni si ostinavano a volermi fermare sebbene avessero chiaramente visto che ero stato controllato al posto di blocco precedente, che si trovava lì vicino. Avevano qualche difficoltà ad accettare l’idea di un libico invitato al festival, forse a causa della dichiarazione del sindaco di Venezia che aveva detto che in cima agli edifici ci sarebbero stati dei cecchini pronti ad abbattere chiunque avesse gridato Allah akbar.

Quando stavo con Pietro non avevo bisogno di tirare fuori di continuo il mio passaporto. Di giorno lavorava in un bar e io me ne stavo seduto lì cercando di non dare fastidio. La mattina non è per me il momento migliore per fare conversazione, soprattutto con lui. Per qualche ragione mi capiva meglio di sera quando, dopo un paio di bicchieri di vino, il suo inglese diventava fluente. Stavo per lasciare il bar dopo un caffè e più o meno cinque sigarette quando è entrata una donna africana. Sembrava in difficoltà e parlava un italiano stentato. Lui le ha offerto una sedia, un caffè e due orecchie disposte ad ascoltarla. Ha capito che per qualche ragione aveva dovuto lasciare casa sua. Pietro ha telefonato alla polizia e ha fatto da traduttore. Le hanno dato qualche indirizzo dove avrebbe potuto alloggiare un po’ prima di capire cosa fare. Finita la telefonata, le ha disegnato una mappa e le ha spiegato come poterci arrivare.

Non gliel’ho detto subito, ma ho pensato a cosa potrebbe succedere se si estendesse l’accoglienza dimostrata ai turisti a tutte quelle persone per le quali lasciare le loro case è l’unica scelta possibile. E se addirittura queste persone avessero il permesso di viaggiare non finirebbero per diventare migranti irregolari, come vengono definiti. Mi chiedo cosa dicono loro quando li fanno salire a bordo delle imbarcazioni sulle coste libiche.

Forse qualcosa del tipo: “Tenetevi stretti ai bordi della barca, se il viaggio procede senza infiltrazioni d’acqua e guasti al motore, e se il tempo sarà abbastanza clemente, qualcuno di voi potrebbe avere davvero la possibilità di arrivare. Ma non vi ingannate, questo non è il purgatorio, perché anche se alcuni di voi vengono da posti peggiori dell’inferno, la destinazione verso la quale siete diretti non è il paradiso”.

Se fossi uno di loro, di sicuro non direi “Non sono bravo a nuotare, salvatemi se cado”, non solo perché chi è disposto a salvare gli africani che annegano lo farebbe anche senza sentirselo chiedere, ma anche perché preferirei annegare piuttosto che essere salvato dalla guardia costiera libica.

(Traduzione di Giusy Muzzopappa).

Tratto dalla pagina qui raggiungibile.

FB Poveglia per tutti, FB Antico Teatro di Anatomia, 4 maggio 2018. Di conflitti i nostri territori sono pieni. Odiosi quelli che hanno come controparte la pubblica amministrazione, che dovrebbe amministrare i beni comuni nell'interesse di tutti. 2 casi a Venezia (m.p.r.)

Poveglia per tutti

«Da domani anche San Secondo, grazie al ruolo nefasto del Bando Fari dell'agenzia del Demanio, diventerà parte del turistificio lagunare. Invitiamo tutti a condividere la loro indignazione in questa pagina, nelle pagine associative, nei siti del Demanio e nei social network con hashtag #demanio, oppure presso l'indirizzo mail del demanio - dre.Veneto@agenziademanio.it. Vi aspettiamo in associazione per evitare questo destino non solo a Poveglia e alle altre isole della laguna, ma a tutto il territorio».

Come nei peggiori incubi d'ogni thriller che si rispetti, i segnali anticipatori che vengono dallo Stato liquidatore si confermano immancabilmente nello svolgersi della trama di questa sceneggiatura, e in ogni azione di chi mette meccanicamente all'asta pezzi sempre più vasti delle nostre città. Il Demanio dello Stato, rinunciando ad ogni ruolo di direzione dello sviluppo economico, rinunciando a farsi calmiere delle bolle speculative del mercato, si mette ancora una volta completamente al servizio dell'unica economia che rovinosamente trionfa, l'economia della monocultura turistica, ovvero quella che sta trasformando la nostra città nel "turistodromo" o "luna-park per cretini" come l'ha impietosamente chiamato Philippe Daverio.

Oggi ci viene riconfermato che, come da due anni denuncia l'associazione, il Bando Fari del Demanio dello Stato è uno strumento, o meglio una cortina fumogena, per trasformare in albergo ogni luogo scientemente trascurato dall'amministrazione. Lo stesso Demanio che ignora le sentenze dei tribunali (il Tar nel nostro caso), che trascura progetti virtuosi o meno impattanti, oggi preferisce chiudere un occhio su canoni che verranno pagati a regime solo tra trent'anni da questi novelli albergatori, ignora cioè ogni ragionevolezza amministrativa che risponda ai bisogni reali di questa città in disgregazione, al solo fine di ossequiare l'ideologia totalizzante della turistificazione, della mercificazione totale del nostro suolo.

Ignorando ogni ragionevole alternativa, il Demanio favorisce nei fatti, ovunque, una subdola privatizzazione. Chi si ricorderà tra cinquant’anni che quegli edifici, terre e luoghi sono state opportunità sottratte a ben due generazioni, che appartenevano alla collettività?

Ebbene si, lo ricordiamo ancora, anche in questa occasione: dedicare l'intero paese ad un'unica attività economica, oltre ad essere palesemente miope e fragilizzante, deperirà le ricchezze plurime delle nostre città, impoverirà il tessuto culturale e relazionale, inaridirà le conoscenze ritenute non funzionali, e alla fine collasserà economicamente. Ogni monocultura erode infatti come un tarlo il terreno sul quale gravita deperendolo nella sua biodiversità, e a fronte di una apparente agiatezza superficiale, di breve periodo, questo tipo di processi produce immancabilmente -e presto- un conto da saldare. Lo strumento del Bando Fari, in 22 casi su 24, e da oggi con San Secondo, tristemente, in 23 casi su 25, si è rivelato solo un rullo compressore sulle economie non turistico-ricettive. Dobbiamo organizzarci ed agire insieme per impedire che sia ancora così.

La Vida

A due mesi dalla chiusura dell'Antico Teatro Anatomico, le attività, gli incontri e le relazioni sono rifiorite in campo, in quella che chiamiamo la Vida [Accanto]. Un gazebo che raccoglie i materiali un tempo all'interno dello spazio e che rappresenta una forma di presidio per ribadire che l'immobile non può diventare un ristorante. Non solo perchè non è necessaria l'ennesima attività commerciale in campo, ma perchè il Piano Regolatore parla chiaro: l'immobile é classificato di tipologia SU (Unità edilizia speciale preottocentesca a struttura unitaria).

A Venezia solo pochi edifici sono classificati SU: le chiese, le scuole grandi e piccole, come ad esempio la Scuola di San Rocco o quella dei Calegheri, la “casa del boia” di Santa Margherita: insomma, edifici con caratteristiche specifiche e funzioni pubbliche. Per questa tipologia, gli usi compatibili sono: Musei; sedi espositive; biblioteche; archivi; attrezzature associative; teatri; sale di ritrovo; attrezzature religiose. Proprio l'uso che ne era stato fatto nel periodo di riapertura..
Una classificazione di questo tipo non prevede che l’edificio venga utilizzato né come ristorante, né con altra destinazione commerciale.
Se, per trasformare il Teatro Anatomico in un ristorante, si volesse al limite procedere ad una variante al Piano Regolatore, con tutto l’iter che questo implica e comporta, questa dovrebbe riguardare l’intera tipologia di tipo SU. La classificazione catastale (di tipo commerciale) che spesso viene evocata non ha alcun valore legittimante, nel caso, rappresenta una irregolarità rispetto alla destinazione d’uso riconosciuta dal Piano Regolatore e che semmai la Regione avrebbe dovuto allineare. Non viceversa. A tal proposito è stata inviata in data 4-04-18 un istanza che sottolinea questo aspetto e che invita gli uffici comunali competenti a considerare la comunità parte attiva del procedimento.
Se la fase di riapertura dello spazio è finita, si apre ora una fase di lavoro sul piano giuridico e urbanistico, parallelamente continua quella iniziata con il Convegno del 14 e 15 aprile 2018 sull'uso civico dei beni promosso assieme all'associazione Poveglia. Una tappa importante per un confronto nazionale sui beni comuni.
Continuiamo quindi a ribadire che la Vida deve restare pubblica e che dove essere affidata ad una gestione collettiva. Assieme e uniti siamo una forza, una comunità che rivendica il diritto a vivere in città non da ospiti indesiderati ma da abitanti attenti e attivi per il bene collettivo e delle generazioni future. Per sostenere, supportare questo percorso...è possibile prendere parte ai lavori dei tavoli tematici (urbanistica, arte&cultura, usi civici, comunicazione), proporre e organizzare attivitá tenere aperto il presidio, promuovere le iniziative della Vida, partecipare!
L'articolo su La Vida è tratto dalla pagina qui raggiungibile
L'articolo originale de La Vida è qui raggiungibile

Riferimenti
Le due vicende sono state ampiamente documentate su eddyburg. Gli articoli sono facilmente raggiungibili utilizzando il "cerca"

il Fatto Quotidiano, 5 marzo 2018. Un'inchesta di Fanpage su Porto Marghera, uno dei pestiferi prodotti dello sviluppismo del XIX secolo), e dell'opaco tessuto di corruzione che ne garantiscono l'inquinante presenza

Più permeabile delle ecoballe. Questa è l’impressione che lascia il sistema dello smaltimento dei rifiuti in Italia alla luce dell’inchiesta di Fanpage, qualunque cosa si pensi dei metodi con cui è stata realizzata.
La quarta puntata ha abbandonato la Campania dei De Luca per dedicarsi al Veneto, regione in cui da molti anni si moltiplicano i capannoni misteriosamente bruciati, le speculazioni sospette, i palesi atti di intimidazione, soprattutto nel settore dei rifiuti ma non solo: nonostante le molte inchieste sulla ’ndrangheta a Nord-est, nonostante i recenti allarmi della Commissione parlamentare antimafia, i veneti, più ancora dei lombardi e degli emiliani, faticano a riconoscere – a fronte della retorica, anche referendaria, del “padroni a casa nostra” – che il famoso “territorio” è sempre più in mano a consorterie armate di altra provenienza.

Nel video di Fanpage rimane sconcertante e controverso il ruolo della principale interlocutrice dell’agente provocatore, ovvero l’architetto
56enne Maria Grazia Canuto, Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana (2002), già componente del Comitato Tecnico-Scientifico dell'Osservatorio Nazionale sull’Amianto, già candidata alle comunali di Treviso con una lista civica di centrodestra (2013), vicepresidente (ora sospesa) dei Centri per l’Ascolto del Disagio, nonché presentata in diversi dibattiti pubblici come docente di Criminologia ambientale dell’Università di Padova (dove non risulta però aver avuto alcun incarico) e come consulente del ministero dell’Ambiente, dove pure smentiscono l’affiliazione. Resta allora da spiegare come mai nell’inchiesta ella venga indicata da più soggetti come il vero legame con la politica nazionale dei rifiuti e come mai tratti con familiarità tanto imprenditori di dubbia onestà quanto il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro equanto lo stesso ministro dell'Ambiente Galletti.

Uno dei momenti-clou del filmato
di Fanpage è proprio il breve colloquio con Galletti, propiziato dalla 
Canuto e avvenuto il 26 gennaio
scorso a margine della presentazione del nuovo piano di bonifica del sito di Porto Marghera In quell’incontro contro l’agente provocatore e l’imprenditore coinvolto nell’affare,
proprietario di un’area presso Fusina, limitrofa a quella del Comune,
presentano al ministro – ovviamente inconsapevole – un sistema “tombale” e innovativo per bonificare un milione di metri cubi di terreno, seppellendo tutto entro calcestruzzo munito di apposite guaine: dagli accordi presi in precedenza, si comprende che si tratta in realtà di un sistema per riciclare denaro di provenienza camorristica. La Canuto sostiene ora, sbandierando pregresse battaglie contro le ecomafie nella Terra dei Fuochi, di aver seguito il consiglio dei suoi avvocati e di aver dato corda alla proposta nell'attesa di denunciarla, anche quando ella garantiva apertamente il “lavaggio” dei soldi camorristici senza mostrare disagio verso i metodi spicci della criminalità, e anche quando riceveva una valigetta che pensava piena di contanti per 2,8 milioni di euro (in realtà c’erano dentro paccheri napoletani). Se è davvero così (lo stabilirà la magistratura), si può dire che la sua recita è stata estremamente credibile.

Porto Marghera, ancora oggi

Ma al di là del caso singolo, rimane la realtà di Porto Marghera, un sito tutt’oggi gravemente inquinato, per il quale proprio nell’incontro di gennaio è stata costituita una “cabina di regia” tra il governo (un governo in scadenza, le cui promesse – molti temono – rischiano di essere scritte sull’acqua), la Regione e la Città metropolitana: si sono sbandierate le consuete agevolazioni alle imprese che vengano a investire in questa “area di crisi complessa”. In verità nessuno sa di preciso come verranno usati gli ingenti investimenti pubblici promessi (80 milioni stanziati; nel 2015 la Commissione ecomafie aveva denunciato lo sperpero di ben 785 milioni in bonifiche rivelatesi poi inutili, anzi dannose). Secondo alcuni sindacati (anzitutto Filctem) nella gestione privatistica che viene disegnata si annida il rischio di infiltrazioni criminose e di affari incontrollati mossi da società opache. I comitati civici di Marghera denunciano il rischio che tutta l’area diventi pian piano – tentativi in tal senso sono stati già sventati negli ultimi anni – un territorio di inceneritori e trattamento rifiuti, in mano al business delle ecomafie.

Qualunque sia la retorica governativa di Marghera come “esempio di rigenerazione complessiva del territorio all’insegna della sostenibilità ambientale», a molti resta l’impressione, certificata dagli studiosi, di una notevole permeabilità al crimine organizzato. In questo contesto grida vendetta lo smantellamento, a opera dell’amministrazione Brugnaro, dell’Osservatorio ambiente e legalità creato in collaborazione con Legambiente dall’ex assessore Gianfranco Bettin: sin dal 2013 questo istituto diretto da Gianni Belloni ha redatto preziosi rapporti sulle infiltrazioni nell’edilizia, nella logistica, nelle rinnovabili, e ha mostrato come il Veneto si collochi al primo posto in Italia per il traffico illegale dei rifiuti, con particolare riferimento proprio al caso di Porto Marghera.

Sono i dettagli a essere rivelatori. L’incontro con Galletti e Brugnaro, il 26 gennaio scorso, si è tenuto in fondo al Padiglione Antares del Vega (lo si vede nel filmato di Fanpage). Il Vega è un grande parco scientifico e tecnologico, dalle alterne fortune, costruito 25 anni fa come prima prospettiva di rilancio di Porto Marghera (oggi, analoghe aspettative riguardano la bioraffineria “verde” dell’Eni, che però funziona con olio di palma, e il futuribile terminal delle Grandi navi, che comporterebbe però un’ulteriore devastazione della Laguna). Ebbene, nello stesso Padiglione Antares, in uno spazio adiacente alla sala convegni, è montata fino a maggio una mostra per il centenario di Porto Marghera (1917-2017), dal nome Industriae: non la mostra, magniloquente e un po’ pretenziosa, ospitata per poche settimane al Palazzo Ducale di Venezia, bensì una raccolta potente e curatissima degli strumenti di lavoro, delle tute degli operai, delle produzioni e delle materie prime trattate dalle tante industrie (chimiche, petrolchimiche, meccaniche, cantieristiche, cerealicole...) ospitate in cent’anni su questi terreni ora per lo più abbandonati al loro destino di morte.

I pannelli esplicativi chiariscono la nascita delle singole aziende, i loro momenti di gloria e di declino, le fusioni e i passaggi di proprietà: un pezzo, per lo più sconfortante, di storia industriale del nostro Paese, dal conte Volpi alla Montedison, dalla Vetrocoke all’Eni. In alto, degli schermi obliqui presentano interviste a operai e impiegati che ricordano le loro esperienze di fabbrica: manca la dimensione politica delle lotte operaie, ma quella è in fondo un’altra storia. Frutto di una ricerca che interessa l’appassionato di storia, di chimica e di scienza, questa piccola mostra schiude senza retorica il senso di un impegno umano che credeva nello sviluppo industriale del Paese, e che è stato travolto prima dai terribili veleni del petrolchimico e poi dalla crisi indotta dal mercato globale. C’è da sperare che le conferenze stampa e i più discreti pourparler che avvengono a pochi metri da quelle sacre reliquie, non abbiano a mostrarsi ancora troppo indegni di quel patrimonio di lavoro e di speranza cui sono chiamati a dare un futuro.

Venezia, 16 febbraio ore 17.30., Sala S. Leonardo. Assemblea pubblica organizzata da Potere al Popolo per discutere le lotte sui territori e le loro ragioni.

La questione ambientale è al centro di continue vertenze. È amplificata da un modello sviluppista predatorio, che impoverisce le generazioni future mettendo a rischio il pianeta.

L’avidità, la bramosia compulsiva dei più ricchi e dei loro interessi, alimenta la megamacchina produttiva termo-industriale. Per aumentare a dismisura inutili consumi stiamo condannando gli ecosistemi alla morte. Si susseguono decisioni scellerate che impattano con i fragili equilibri dei territori senza produrre occupazione e noi a Venezia rischiamo di essere la cavia da sperimentazione.
Logiche insensate polverizzano la socialità delle città rendendo difficile abitarle e viverle. Vengono private di quelle opere di rinnovamento e manutentorie così necessarie a un buon vivere, per privilegiare le grandi opere che si realizzano senza una verifica collettiva di utilità sociale e compatibilità ambientale. Questa è stata la logica che ha prodotto a Venezia il MoSE e che sostiene le GRANDI NAVI all’interno della laguna.

Nel generale contesto politico, desolante perché simile nei metodi con il quale si autoripropone e spesso anche nei contenuti, Potere al Popolo è la proposta di chi ha deciso che è giunto il momento di sfidare le Istituzioni.
Movimenti, associazioni, comitati sono i veri protagonisti delle lotte per la tutela dell’ambiente e del territorio e a favore delle vite di coloro che vi abitano. In questi anni, hanno accumulato saperi e capacità di progettazione.
Potere al popolo Venezia invita a portare le istanze di comitati, movimenti e associazioni.

Venezia, 15 Febbraio 2018 alle 17,30 in sala San Leonardo, un incontro sul tema della difesa del patrimonio pubblico e dei beni collettivi e la loro massiccia privatizzazione in corso. Organizzata da Poveglia per Tutti, l'Antico Teatro Anatomico di Anatomia-Vida, e il gruppo formatosi a partire dall'istanza dell'area ex-gasometri.

Questa iniziativa pubblica partecipata dalle varie realtà associativa della città segna l'inizio di un percorso di riunificazione del ricchissimo tessuto collettivo e sociale di Venezia intorno a temi di urgente rilevanza per la città tutta. Un primo passo, con l'obiettivo di costruire un sentire comune, sarà perciò una riflessione collettiva sul massiccio processo di privatizzazione del patrimonio pubblico, in ogni sua possibile forma: spazi acquei, isole, suolo pubblico, beni immobili, spazi comuni.

il Manifesto - Alias, 16 dicembre 2017. Un elogio al lavoro e un commovente ricordo di Marina Zanazzo, fondatrice della casa editrice Corte del Fontego e della collana Occhi aperti su Venezia, che ripartirà sotto la direzione di Lidia Fersuoch. (i.b.)
Una casa editrice militante, capace di portare al grande pubblico tematiche specialistiche. Un laboratorio di cittadinanza, che dà spazio a pratiche alternative, a modi diversi di raccontare e vivere una città bellissima e fragile, Venezia. Rappresenta questo e molto altro Corte del Fontego, l’editore fondato da Marina Zanazzo nel 2005, storica e archivista, scomparsa lo scorso luglio dopo una lunga malattia. Che ha espresso con questo mezzo il suo grande amore per la città che l’ha adottata, lei che veniva dalla terraferma, e che in laguna ha deciso di stabilirsi. E combattere. Perché Venezia, ecosistema delicatissimo e luogo dal fascino unico al mondo, è perennemente preda degli appetiti insaziabili di gruppi di interesse potenti e pervasivi, che la svendono, la rovinano, ne causano abbandono e spopolamento.

Da qui l’esigenza di pubblicare saggi e pamphlet, inchieste, ricerche documentate e riflessioni su una città che non vuole morire e che, per ritrovarsi, deve partire dal conoscere se stessa. Ad accompagnare Marina in quest’impresa coraggiosa e un po’ folle, l’amica di una vita Lidia Fersuoch, oggi presidente della sezione veneziana di Italia Nostra, e Edoardo Salzano, gigante dell’urbanistica italiana, da sempre schierato contro gli interessi di palazzinari e speculatori. «Sono convinto» spiega Salzano, «che qui ci siano molto piccole isole di resistenza, affogate però da un mare di ignoranza. Bisogna aiutarle a sopravvivere, a espandersi, cercando al contempo di superare la mancanza di consapevolezza su quello che Venezia è realmente. Una città cioè ineguagliabile, unica perché viva e abitata da gente comune. In questo consiste la grande modernità di Venezia».

Assieme ai fondatori i molti autori, specialisti in vari campi, dall’architettura alla filosofia, dalla storia all’economia, sono stati coinvolti nell’opera di divulgazione intelligente e con un occhio costante all’attualità. Argomenti come le grandi navi, il Mose (ben prima dello shock del processo), il turismo fugace e di massa che va adattato ai limiti della città e ripensato qualitativamente, scempi deliberati come il Fontego dei Tedeschi (diventato un centro del lusso, con un progetto che stravolge completamente l’identità di un palazzo storico). Libretti agili, densi, alla portata di tutte le tasche. E dai titoli geniali e accattivanti: A che ora chiude Venezia?, Il ponte di debole Costituzione, sul progetto dall’archistar Calatrava, Benettown, sulla «conquista» della città da parte della famiglia di imprenditori trevigiani. O come in Lezioni di piano, testo che racconta la nascita del piano paesaggistico voluto da Soru, considerato un esempio da seguire e la cui pubblicazione Marina Zanazzo ha seguito in prima persona, recandosi per un periodo in Sardegna, viaggiando in camper con i suoi cani, per realizzare interviste e ricerche. Alcuni di questi testi sono stati pubblicati anche in inglese e tedesco, per far sì che queste voci arrivino anche a turisti e viaggiatori meno distratti, che vogliano approfondire aspetti di Venezia poco trattati dalle guide tradizionali.

L’avventura della Corte del Fontego, ora che Marina non c’è più, è nelle mani dell’amica Lidia Fersuoch, che porterà avanti la casa editrice con l’aiuto degli amici che hanno sostenuto il progetto in questi anni. «L’ultimo regalo che mi ha fatto Marina è stato aiutarmi a finire un libro cui lavoravo da venticinque anni, una storia della laguna ricostruita attraverso l’uso di documenti processuali. Marina mi ha spinto a concluderlo e ho potuto così pubblicarlo» racconta la Fersuoch. «Ora siamo pronti a ripartire. E il primo titolo potrebbe essere dedicato alla vicenda di Poveglia, un’isola da tempo abbandonata rinata grazie al lavoro di un’associazione che ha deciso di rimetterla a disposizione di tutti. Marina si era appassionata a questa storia, ovviamente, e aveva deciso di farne un libro. Impegno che onorerò al più presto. Mancheranno il suo spirito battagliero e il suo estro, ma ci proveremo».


Articolo tratto dal supplemento Alias de il Manifesto, qui reperibile in originale

la Nuova Venezia, 30 novembre 2017. «Venezia. Il professor D’Alpaos: il livello del mare nei prossimi 30 anni crescerà di 50 centimetri: il porto sarà a lungo fuori uso

VENEZIA. «L’idea di mettere le grandi navi a Marghera è morta in partenza. È una soluzione impossibile. Perché fra vent’anni il porto non sarà più agibile, per l’aumento del livello del mare e le chiusure del Mose. Dunque per non penalizzare la portualità, le crociere devono andare fuori. Come anche il traffico commerciale».

Il professor Luigi D’Alpaos, 74 anni, ingegnere idraulico di chiara fama, stronca sul nascere l’ipotesi di una nuova Marittima dentro la laguna. Da anni si batte da tecnico per dimostrare quali danni irreversibili gli interventi dell’uomo stanno provocando all’equilibrio lagunare. Oggi pomeriggio sarà alle 18 in sala San Leonardo, per spiegare in un dibattito pubblico organizzato dalla Municipalità, la sua idea su cosa si intenda per salvaguardia.

Professor D’Alpaos, perché Marghera non va bene?
«Marghera, come la Marittima e il Vittorio Emanuele, sono interventi che non tengono conto di come sarà lo scenario nei prossimi vent’anni. Il porto non sarà più agibile. Dunque bisogna portare all’esterno della laguna non solo le crociere, ma anche il traffico commerciale. Di questi fattori mi pare non si sia tenuto conto nella scelta annunciata».

Lei è d’accordo con l’off-shore.
«Non si può dire che io sia un amico dell’ex sindaco e presidente del Porto Paolo Costa. Ma quella mi sembra un’idea che guarda al futuro. È stata scartata con troppa fretta».

Perché, lei dice, il porto non sarà più agibile?
«Per l’innalzamento del livello medio del mare, che nei prossimi trent’anni aumenterà di almeno 50 centimetri».

Tra gli scienziati ci sono sfumature diverse sulle previsioni.
«Sì, ma ormai è certo che l’aumento sarà di quell’ordine di grandezza. Il Consorzio Venezia Nuova e il Corila avevano vergognosamente sottovalutato questo aumento quando hanno progettato il Mose. Non tenendo conto tra l’altro del vento di bora che aumenta il livello dell’acqua in laguna centrale anche a bocche di porto chiuse.

Dunque?
«Ho fatto uno studio sulle maree degli ultimi dieci anni. Con l’aumento del livello del mare di 50 centimetri la laguna sarebbe chiusa per 4500 ore, senza contare l’anticipo e i falsi allarmi. Dunque, per metà anno. Impossibile».

Poi c’è l’aspetto ambientale.
«Lo ripeto da troppo tempo ormai. L’ho detto e scritto in tutte le salse. Ma la politica non sempre ascolta la scienza. Quando in laguna passa una nave da 150 mila tonnellate, il suo dislocamento induce fenomeni indotti secondari come l’erosione e la perdita di sedimenti di una laguna già al collasso. Più grandi sono le navi, più grande è il danno. Per fare arrivare le navi a Marghera bisognerebbe anche raddoppiare il canale dei Petroli. Non bastano i danni che ha già fatto così»?

Allora qual è la soluzione?
«Il porto turistico deve stare fuori della laguna. Al Lido, a Pellestrina. Con limitazioni alla grandezza delle navi».

Le compagnie armatrici non saranno d’accordo.«Pazienza. Io proporrei anche di fare dei corsi per i turisti che vengono a Venezia. Insegnare loro la storia, la particolarità di una laguna unica al mondo che vogliono visitare. Finché non imparano, devono restare in quarantena»

l'articolo è tratto da la Nuova Venezia online, e l'originale è accessibile qui:Le mega navi solo fuori della Laguna

postilla
Se per mega navi s'intendono quelle che, insieme ai treni e agli aerei, portano masse sterminate di turisti a Venezia allora ogni soluzione (anche quella proposta dal prof D'Alpaos) è inutile, ai fini della tutela di ciò che rimane della città. L'Urbs rimane, ricorda D'Alpaos, ma senza Civitas, e Polis è andata a remengo, finendo con un clown di nome Brugnaro.

la Nuova Venezia, 4 novembre 2017. Ciò che resta della città storica si sfalda come una nocciolina schiacciata tra due potenti ganasce: le Grandi Navi dall'acqua, i Grandi Alberghi dalla terra. Intanto, la Laguna, con postilla

«Mestre. AO avvia i lavori per il secondo edificio per 300 camere. Gru alte fino a 45 metri di altezza e accordo per il nuovo porticato»

MESTRE. Cinque grandi gru svettano in via Ca’ Marcello nella grande area di espansione dei nuovi alberghi di Mestre. Due grandi braccia metalliche, la più alta arriva a 45 metri, sono arrivate nel “cratere” a fianco dell’ostello della AO per sancire il via al cantiere del raddoppio della struttura alberghiera che nascerà con un nuovo edificio, dalle ceneri dell’ex agenzia delle Entrate, demolita nei mesi scorsi. Come promesso, i cantieri sono veloci: i lavori di costruzione del nuovo complesso alberghiero in via Ca’ Marcello hanno mosso i primi passi con l’arrivo delle grandi gru. Dall’altra parte ce ne sono tre, la più alta arriva a 40 metri, nella grande area ex Demont dove gli austriaci del fondo Mtk corrono per costruire altri 4 alberghi, di fasce differenti.

L’ostello AO è stato aperto alla fine di luglio con 300 camere e un migliaio di posti letto. Dopo la demolizione dell’ex palazzo dell’Agenzia delle Entrate, attiguo al nuovo ostello che attrarre turisti, soprattutto giovani e famiglie del Nord Europa, si va al raddoppio. Richiamati al lavoro gli operai della stessa impresa impegnati a realizzare l’edificio “gemello” per altre 300 camere. Un tunnel sopraelevato, spiega il progettista, l’architetto Sandro Bisà, collegerà i due edifici ma il nuovo ampliamento avrà una propria reception ed uno stile architettonico del tutto identico a quello del primo edificio, nato anch’esso da una demolizione: quella dell’ex officina Vempa.

I due edifici “gemelli”, spiega ancora Bisà, avranno in comune anche il porticato. L’obiettivo di AO è quello di realizzare un porticato in continuità tra i due edifici, che crei un percorso coperto dalla stazione verso l’ostello.

Ma il sedime dell’ex Agenzia delle Entrate, demolita, è arretrato rispetto a quello del vicino ostello in piena attività e di conseguenza la società sta discutendo con il Comune di Venezia per ottenere la disponibilità di una striscia di terreno, di proprietà comunale, per portare il porticato in linea con quello esistente e allungare il percorso coperto in direzione della stazione. A quanto è dato sapere, l’accordo in sostanza c’è già ma mancano una serie di adempimenti burocratici.

Nel frattempo il cantiere comincia a mettersi in moto dopo il rilascio da parte del Comune del permesso a costruire lo scorso mese di agosto e dopo che l’area di cantiere è stata interamente liberata dai detriti della demolizione dell’ex Agenzia delle Entrate, chiusa da anni. Il conto alla rovescia è iniziato: l’obiettivo della AO Hostels è quello di aprire il raddoppio, con altre 300 camere, «entro la primavera del 2019». Dall’altra parte della strada c’è grande fermento anche nel cantiere degli austriaci di Mtk che hanno, con un investimento di 70 milioni di euro, avviato i lavori per costruire quattro nuovi alberghi con due silos parcheggi per 745 nuove camere d’albergo e 1.900 posti letto. Gli edifici cominciano a prendere lentamente forma. I contratti con i nuovi alberghi sono siglati.

Arriveranno in via Ca’ Marcello la anglo-irlandese “Stay City” specializzata nei rent apartment; l’albergo a 4 stelle della catena tedesca “Leonardo Hotels” , del gruppo israeliano Fattal; l’ ostello “Wombat’s” del gruppo City Hostels. E i cinesi della Plateno, gigante alberghiero a cinque stelle che sbarca a Nordest per la prima volta. Aperture in calendario per aprile 2019, ribadusce l’architetto Luciano Parenti.

Via Ca’ Marcello, vista dal cavalcavia di Mestre, cambia ogni settimana. Gli edifici crescono in un’area degradata che sta vivendo un fermento edilizio e di presenze: grazie all’ostello tedesco in due mesi sono passate di qui già 50 mila persone. Un via vai di viaggiatori che si porta dietro l’apertura, verso la stazione, di nuovi bar e pizze al taglio.

postilla

Il Moloch che divora tutto è il turismo. Le Grandi Navi da un lato, adesso si aggiungono i Grandi Alberghi dall'altro. Il movimento di resistenza non si è ancora accorto del parallelismo dei fini e degli effetti: forse la comune lotta contra gli uni e gli altri è una dei possibili legami tra i cittadini dell'una e l'altra parte della città per combattere contro il vecchio che avanza.
Intanto la Laguna (senza la quale Venezia è impensabile) vacilla contro i colpi menati col maglio dell'approfondimento del Canale dei petroli, che vorrebbero consolidare costruendo due argini in c.a. per consentire alle Gransi navi di raggiungere Porto Marghera: quel devastante Canale dei petroli che Parlamenti avveduti avevano imposto dagli anni 1970 di eliminare, per ricostituire l'unitarietà della Laguna.

I veneziani? Gran parte di essi si accontenta di raccogliere con lingue servizievoli le briciole che il Moloch lasca cadere; gli altri, i sopravvissuti, si approssimano a chiedere il regime di "riserva indiana". Potranno così sperare in ottenere una parte della spesa che pagano per far ingrassare il Moloch: sapete che un contribuente veneziano paga, per la sola eliminazione dei rifiuti, 355 € all'anno, contro i 222 dei milanesi, i 212 dei bolognesi, i 160 dei trentini e dei triestini (vedi Repubblica online, AF del 3 novembre)

la Nuova Venezia, 17 settembre 2017 Ecco in mano a chi è questa disgraziata città. Ma questi sgovernanti, se si sono arresi perché non se ne vanno?

«Il Comune? E cosa può fare il Comune? Qui siamo di fronte alla liberalizzazione, non abbiamo strumenti per intervenire contro le leggi nazionali e il codice civile. Piuttosto bisognerebbe che ai veneziani tornasse la voglia di lavorare». Di fronte all'emergenza turismo che sta trasformando la città e il suo tessuto abitativo e commerciale, l'assessore all'Urbanistica e all'Edilizia privata Massimiliano De Martin allarga le braccia. Anche l'ultimo decreto che velocizza le procedure per gli interventi edilizi in aree vincolate viene salutato come un intervento dovuto, per semplificare gli iter.

Assessore, non la preoccupa questa novità?
«Intanto non è una novità, è in vigore da mesi. Poi si interviene solo sulla parte paesaggistica, con procedure semplificate per gli interventi secondari: i serramenti, le tende».
In una città come Venezia potrebbe avere una conseguenza.
«Adesso faremo insieme alla Soprintendenza un abaco per dire quali sono gli interventi ammessi da velocizzare».
La Soprintendenza dovrà rispondere entro 20 giorni, se no scatta il silenzio assenso. Anche questo sarà un problema.
«Beh bisogna anche dare certezze e lavoro. Non si può aspettare un permesso per mesi e mesi».
La trasformazione è evidente. Il Comune cosa fa?
«Non abbiamo strumenti. Ripeto, c'è una liberalizzazione in corso, la direttiva Bolkenstein dice chiaramente che bisogna aprire alla concorrenza. Non possiamo essere noi a dire cosa si può fare e non si può fare in una bottega. C'è il codice civile di mezzo».

Ma il Comune può fare dei regolamenti. Non crede si sia perso un po' il controllo?
«Sta cambiando l'economia della città, come in tutte le città del mondo. Non possiamo pensare di far venire opere d'arte e artigianato quando il tipo di turismo che viene qui ha bisogno di mangiare, bere e dormire».
Bandiera bianca allora?
«Io dico che proviamo a riportare qui iniziative diverse. Ma i primi devono essere i veneziani. Se sono loro i primi ad affittare un negozio a 17 mila euro al mese è difficile che ci vada il calzolaio».
Ma se saltano le regole e non c'è un meccanismo, ognuno fa quello che vuole. Deregulation.
«Ci sono leggi dello Stato che non possiamo contrastare e poi c'è il codice civile, la proprietà. Un sistema giuridico centrale che prima ha introdotto la liberalizzazione, poi va sempre più in direzione di non creare concorrenza».
E dunque di lasciar fare agli imprenditori, qualche volta speculatori.
«Quello che possiamo fare proviamo a farlo. Ad esempio abbiamo fatto molte riunioni con geometri e architetti. Ma il controllo sulle attività, non lo possiamo più fare».

la Nuova Venezia, 14 ottobre 2017. Dall'autorità centrale una norma per semplificare le trasformazioni dei negozi in attività turistiche, come era già successo per le abitazioni da adibire ad uso turistico. La stessa autorità che si è impegnata, a parole, con l'Unesco a controllare i flussi turistici. (m.p.r.)

Venezia. Meno vincoli e meno «burocrazia». Ma nel nome della «semplificazione» e degli aiuti alle imprese, il legislatore spalanca ancora di più, se ce n'era bisogno, la porta delle autorizzazioni per le attività di tipo turistico in luoghi vincolati. È il caso del Decreto del Presidente della Repubblica numero 31, emanato nel febbraio scorso e entrato in vigore il 6 aprile. Una riforma che riduce i casi in cui è necessaria l'autorizzazione paesaggistica. Declassandone altri alla procedura «semplificata». Significa che per molti interventi edilizi adesso non è più necessaria l'autorizzazione della Soprintendenza. Per altri, anche di importanza notevole, c'è il declassamento al «procedimento autorizzatorio semplificato». Dove la Soprintendenza ha solo 20 giorni per rispondere prima che scatti il silenzio-assenso.

Una vera rivoluzione, passata abbastanza sotto silenzio. Che adesso preoccupa gli uffici amministrativi e della tutela. Quello che per il resto d'Italia può essere un vantaggio, per una città d'arte già minacciata dal turismo e dalle trasformazioni edilizie è un rischio. Dunque adesso i lavori di ristrutturazione di edifici e attività commerciali non hanno bisogno più di alcun parere. L'elenco degli «interventi e opere in aree vincolate esclusi dall'autorizzazione paesaggistica» è contenuto nell'allegato A del decreto. E comprende 31 tipologie diverse. Dalle opere interne «che non alterano l'aspetto esteriore degli edifici», alla sostituzione di vetrine, dalle rampe esterne ai servoscala, i condizionatori ma anche le tende e gli «elementi ombreggianti», i manufatti ornamentali. Fino alle «pedane e altri elementi posti a corredo di attività economiche o turistico ricettive.
«È così», allarga le braccia un funzionario di Palazzo Ducale, «a Venezia il contesto è più difficile, perché si tratta di una città sottoposta al vincolo generale per gli edifici costruiti prima del 1946. Ma con il nuovo decreto alcuni interventi si possono realizzare senza bisogno dell'autorizzazione». Altri, quelli inseriti adesso nelle procedure semplificate, dovranno attendere soltanto 20 giorni, in caso contrario scatterà il silenzio assenso. Una corsa contro il tempo, visti gli organici delle Soprintendenze. Che hanno anche da esaminare, dopo la riforma della legge, tutte le autorizzazioni dei plateatici e dei banchi del commercio ambulante in base alla direttiva Bolkestein.
Un decreto che arriva dal governo. E che non prevede per Venezia alcuna deroga. Sarà così ancora più facile aprire attività legate al turismo, che abbiano bisogno di restauri e lavori di ristrutturazione. Anche per la demolizione di interni non serve l'autorizzazione. Così, a meno che non si tratti di un edificio sottoposto a vincolo - palazzo o edificio di pregio - chi compra o affitta un locale può liberamente farne all'interno ciò che vuole.Ecco in qualche modo spiegato il proliferare degli interventi di restauro che interessano da qualche mese a questa parte locali commerciali e di Pubblici esercizi, in particolare quelli posti lungo la principale direttrice turistica. Da piazzale Roma a San Marco, passando per Lista di Spagna, Strada Nuova e San Bartolomeo. Da piazzale Roma a San Polo-San Bartolomeo. E attraverso il ponte dell'Accademia.
Qualche protesta sommessa arriva anche dagli stessi titolari di licenza di Pubblico esercizio. In alcuni luoghi sono decine i bar aperti uno accanto all'altro. Lavori in tempio di record e nessun permesso particolare. Una dichiarazione del professionista (geometra o architetto) e poi si apre. Senza licenza e senza permessi. Adesso la nuova norma toglie anche il «vincolo» del parere della Soprintendenza. Modificare un interno di un negozio per trasformarlo in attività turistica è dunque più facile. Come lo è stato in questi anni sul fronte ricettivo, realizzando i bagni con una semplice richiesta e poi le stanze per adibirle a locazioni turistiche. A mollare le redini è lo stesso governo che davanti all'Unesco si è impegnato a fare di Venezia un «caso pilota» per il controllo dei flussi turistici.

la Nuova Venezia, 15 settembre 2017. «Alienazioni o cessioni in affitto, la necessità di fare cassa non conosce deroghe». Senza nessun disegno si cancella la città pubblica e vengono sottratti spazi, servizi e residenze. (m.p.r.)

Venezia. Vederle tutte in fila, fa un certo effetto. E il rischio vero é di dimenticarsene persino qualcuna, tante sono: 20 operazioni immobiliari, solo in questo 2017. Parliamo di alienazioni: pezzi di città venduti (o in vendita) che cambiano proprietà e anima, passando da destinazioni pubbliche a private. Hotel, per lo più. Palazzi, isole, caserme vendute; canoniche e case di riposo affittate; altri pezzi di patrimonio pubblico che cercano disperatamente un acquirente, per ripianare "una tantum" le casse di qualche ente: con buona pace di una trasformazione ad uso turistico della città senza più argine. Tanto che anche la recente delibera del Comune sul "blocco" delle destinazioni d'uso, tra le tante deroghe, ne prevede una per autorizzare le valorizzazioni degli edifici messi in vendita dagli enti pubblici.

Non è certo una novità il grande affare immobiliare che ruota attorno a Venezia e alla sua trasformazione in hotel diffuso, ma fa una certa impressione "fare il punto" su quanto avvenuto solo nel 2017: l'insieme è di grande impatto.
Venduti.

L'ultimo affare è quello che ha tolto a Venezia la sede della Camera di Commercio di via XXII Marzo, traslocata in un nuovo edificio da 22 milioni di euro (con relativo mutuo) in via Torino: il Palazzo della Borsa è stato venduto dalla Ccia per oltre 64 milioni di euro alla Marzo Hotel Srl, società con riferimenti franco-lussemburghesi creata per l'occasione. Le impalcature in campo Santa Maria Formosa stanno, invece, segnando i lavori in corso per la trasformazione alberghiera di Palazzo Donà: già sede dei Servizi sociali della Municipalità e dello sportello rifugiati (l'uno trasferito in un locale più piccolo, che era sede di associaizioni cittadine; l'altro a Mestre), è stato venduto dal Comune alla sua immobiliare Ive per 4 milioni di euro, "valorizzato" dopo il cambio d'uso e rivenduto per oltre 6 milioni.
Tutti fanno cassa: un patrimonio che si volatilizzerà nei mille rivoli del bilancio. Così la Regione ha ceduto per 6,335 milioni di euro Palazzetto Balbi, ex sede del Genio civile a due passi da San Marco (destinato a residenze turistiche) e per 911 mila euro l'ex trattoria Vida in campo San Giacomo, ora "occupata" dai cittadini (facciamo il punto nell'articolo a fianco) che il proprietario Alberto Bastianello vorrebbe riportare all'antico ristorante. Da parte sua, l'Usl 12 ha formalizzato la vendita di Palazzo Stern a Ca' Rezzonico sul Canal Grande (12,6 milioni di euro), da molti anni hotel di proprietà di Elio Dazzo.
Poi c'è l'infinita partita dell'ospedale al Mare, che pare finalmente giunta a un termine dopo quasi 10 anni di liti giudiziarie, mobilitazioni popolari, progetti bocciati: Club Med e Th Resorts hanno presentato al Comune un progetto per la trasformazione in resort di lusso, ma con l'impegno a mantenere ad uso pubblico il Teatrino liberty Marinoni e l'ex chiesetta e, soprattutto, a ricostruire dall'altro lato della strada il nuovo Monoblocco dell'Asl 3, con pronto soccorso, ambulatori, un presidio chirurgico con rianimazione. Cassa Depositi e Prestiti riceverà così 120 milioni dalla vendita.
Il Demanio ha infine trovato un acquirente per il magnifico Golf Club del Lido, con forte annesso: l'ennesima asta scade il 24 novembre, ma nel cassetto Real Estate Discount (che tratta la vendita) ha già una irrevocabile offerta di acquisto per 1,885 milioni di euro: la metà di quanto inizialmente lo Stato sperava di incassare.
In vendita.

C'è di tutto, senza più tabù. La Regione vuole vendere la sua storica, splendida sede di palazzo Balbi: ha anche abbassato il prezzo a 30 milioni, qualcuno arriverà. Sul mercato per 13,5 milioni anche Palazzo Gussoni: oggi sede del Tar Veneto sul Canal Grande. Poi gli immobili che non riesce a vendere da tempo, come l'Hotel Bella Venezia (9 milioni) e il complesso Cereri-Briati. Il colpo grosso vorrebbe farlo il ministero della Difesa, trasformando l'ex carema di lagunari Miraglia e l'Idroscalo in piena laguna in un resort di lusso: si cercano privati pronti a pagare 100 milioni di euro. Il Comune di Venezia, da parte sua, ha già messo all'asta la sede del comando della Polizia locale a Palazzo Poerio Papadopoli, Villa Herion alla Giudecca, l'ex convento di San Mattia a Murano.
Affitti.

Sul mercato l'Ottagono di Ca' Roman e, soprattutto, l'Isola di San Secondo, per la quale l'Agenzia del Demanio è pronta a valutare "offerte libere" per una concessione cinquantennale. Destinazione d'uso ricreativa, culturale, educativa, ma con foresteria. La strada alberghiera è aperta. All'Arsenale, è un cantiere aperto l'ex casa di Riposo che l'Ire ha affittato per 1,3 milioni l'anno, pronta a divenire albergo con tanto di piscina privata. Stessa decisione per Poste Italiane e la magnifica sede di rappresentanza di Palazzo Querini Dubois. Finendo con il contratto che ha fatto il giro dei media internazionali: quello dell'ex canonica di Santa Fosca, che la Curia ha affittato alla Tintoretto Srl autorizzandola a farne hotel, con lavori (privati) che il Comune ha ora bloccato perché abusivi.

la Nuova Venezia, 8 ottobre 2017. Italia Nostra contro il progetto di Chipperfield chiede l’intervento della Soprintendenza: «Evitare un altro Fontego - si domanda Lidia Fersuoch - Chissà se i tutori statali dei beni culturali questa volta avranno un po' di coraggio. Con postilla

«Non regaliamo la Piazza ai privati. Con la “mega-terrazza” per i loro “eventi” e vista su San Marco». La presidente di Italia Nostra Venezia Lidia Fersuoch lancia l’allarme sul ventilato progetto delle Generali di costruire sopra le Procuratie vecchie - le abitazioni dei procuratori di San Marco che risalgono al Cinquecento - una nuova grande terrazza panoramica. Richiesta già presentata, che vede la Soprintendenza dubbiosa.

Italia Nostra ricorda il precedente della terrazza del Fontego, realizzata per conto di Benetton da un altro architetto di fama, l’olandese Rem Koolhaas. Intervento all’epoca contestato, realizzato utilizzando una parte del tetto dietro le merlature cinquecentesche dell’antico Fontego. «Al coronamento gotico in pietra», continua l’esponente di Italia Nostra, «si è sostituito il coronamento contemporaneo - dicendola alla Fantozzi - in teste umane, con relativo immancabile sfavillio di flash nelle ore tarde. Tutti alla ricerca del selfie e della foto di Venezia dall’alto. Come diceva Salvatore Settis, una mega-nave piombata nel cuore di Venezia».

Per l’associazione che tutela il patrimonio artistico si tratta di un modo di fruire la città «poco rispettoso della sua storia». «Quale enorme valore aggiunto regaleremmo alle Generali con la terrazzona sulla Piazza? Privando nel contempo la cittadinanza del diritto sacrosanto di veder tutelato il suo patrimonio culturale».


Italia Nostra ricorda anche come le Generali siano state la prima grande azienda a trasferire quasi tutti gli uffici in terraferma, a Mogliano, «in anni in cui il turismo era ancora contenuto e c’era bisogno di mantenere attività economiche in laguna». «Tornano adesso con l’aureola dei santi, avendo trasformato la sede storica in sede di rappresentanza».

Infine, Italia Nostra si rivolge alla Soprintendenza: «Non vorremmo essere nei panni dei tecnici veneziani. Un bel dilemma li attanaglierà in questi giorni. Rifiutare alle Generali una terrazza “mozzafiato” in Piazza, come sarebbe ovvio in un paese che tuteli le eredità culturali, o accondiscendere alla nuova moda della contaminazione, per cui un monumento conservatosi per secoli diventa ora opera di un architetto contemporaneo in cerca di eternità a scapito della storia? Contrastare i potenti, anche con ottimi argomenti, è sempre pericoloso».

postilla

La colonizzazione di Piazza San Marco da parte della potenza finanziaria delle Assicurazioni Generali era stata già iniziata con la vicenda "restauro" dei Giardini reali, raccontata e denunciata su questo sito da Paola Somma, nell'articolo Generali diventa “mecenate di mecenati” e conquista un altro pezzo dell’area marciana. Del resto, finché un poderoso ribaltone non muterà la cultura del "popolo bue" e la cacca del Fontego dal poker d'assi Benetton-Orsoni-Codello-Koolhaas continuerà ad avere più visitatori del Palazzo Ducale non c'è da aspettarsi nulla di meglio.
Sul precedente scandaloso della distruzione dell'ex Fòntego dei tedeschi vedi su eddyburg, tra gli altri, gli articoli della nostra Paola Somma e di Francesco Erbani.

la Nuova Venezia, 6 ottobre 2017, Dalla Repubblica Serenissima, a Napoleone Bonaparte, a Luigi Brugnaro. Dalla pietas a Mammona. Piccola storia edilizia di una decadenza, con postilla

Da Ca’ di Dio a casa dei turisti. Aprirà alla fine del prossimo anno, in quella che è stata per molti anni una residenza per anziani dell’Ire, un nuovo albergo di lusso a gestione spagnola. Si chiamerà Gran Melià Ca’ di Dio. La Meliá Hotels International è una catena di alberghi spagnola fondata nel 1956 a Palma di Maiorca.

La compagnia è il principale operatore mondiale di resort e la tredicesima catena alberghiera più grande del mondo, con più di 300 alberghi in 30 Paesi. Con questo nuovo hotel in riva dei Sette Martiri, di fronte al Bacino di San Marco, sbarca per la prima volta in Italia, con la previsione di aprire nel 2019 un secondo albergo a Roma. Il nuovo albergo gestito Melià e ricavato nella casa di riposo avrà 79 camere e suite.

La Ca' di Dio oggi

Prevista anche una piscina privata - una rarità per gli hotel veneziani - un ristorante aperto tutto il giorno e sale meeting per convegni e incontri. I lavori dovrebbero iniziare tra qualche mese. Il gruppo spagnolo ha raggiunto un accordo per l’apertura dell’albergo con il Salute Hospitality Group, società di gestione alberghiera italiana che si era aggiudicata nella gara bandita dall’Ire la concessione per la realizzazione dell’hotel. Previsto a favore dell’Istituto di ricovero ed educazione un affitto annuale di un milione 350 mila euro, con locazione per 27 anni con lavori di restauro a carico del nuovo gestore.

Era stato l’allora commissario straordinario Vittorio Zappalorto che aveva approvato una delibera che eliminava lo standard pubblico che vincolava l’uso dell’edificio di origine duecentesca che si affaccia sulla riva dell’Arsenale e apre la strada, dunque alla trasformazione alberghiera. In cambio, erano stati rafforzati gli standard delle altre due case di riposo dell’Ire alle Penitenti e alla Giudecca. Il vincolo posto per concedere la Variante per il cambio di destinazione d’uso da parte del comune, era stato appunto quello che l’Ire non vendesse l’immobile, ma si limitasse ad affittarlo. Ciò non ha impedito però la trasformazione alberghiera, con le nuove aperture che proseguono fitte, nonostante il teorico blocco posto da una recente delibera comunale.

postilla

Una trasformazione edilizia che rispecchia la decadenza di Venezia nei secoli. Nel 13° secolo la Ca’ di Dio è destinata ospizio dei pellegrini per la Terrasanta, più tardi è votata dalla Serenissima a ospitare donne bisognose, a volte con singolari forme di autogoverno delle ospiti. Dagli anni di Napoleone a quelli di Brugnaro il complesso è riservato a residenza di vecchi indigenti. Oggi… quello che ne racconta l’articolo che avete letto. Si può scivolare più in basso? C'è da dubitarne

L'Unesco come brand per campagne di marketing e poi menefreghismo, per non scoraggiare gli speculatori immobiliari. Anche Venezia potrebbe perdere questo marchio, ma ci consoleremo con il "certificato cinese".

Qualche mese fa, il centro storico di Vienna, che nel 2001 era stato incluso dall’Unesco tra i siti patrimonio dell’umanità, è stato declassato a sito a rischio, perché deturpato da un nuovo complesso edilizio alto sessanta sei metri. La notizia non ha destato grande scalpore, né le istituzioni locali sembrano molto preoccupate. Come ha detto il rappresentante dell’ente per la promozione del turismo, “ci dispiace, ma siamo tranquilli, perché la decisione non avrà ripercussioni sul numero di turisti in arrivo”.

Ancora più sprezzanti nei confronti delle valutazionidell’Unesco sembrano le autorità di Liverpool, il cui porto mercantile, che erastato dichiarato patrimonio dell’umanità nel 2004, in quanto “supremo esempiodi porto commerciale ai tempi della più grande influenza globale della Gran Bretagna”,è stato retrocesso nel 2012 nella categoria dei siti a rischio, a causa delprogetto di valorizzazione dei suoi sessanta ettari di superficie con una seriedi enormi costruzioni “ispirate alla architetture di Shanghai”.

Il nostro scopo, è di creare una world classdestination, ha detto il presidente di Peel Group, la società di investimento immobiliare che ha acquisito laproprietà dei terreni. Chi viene a visitare la città, ha aggiunto, “non viene a vedere il certificato dell’Unescoappeso alla parete del mio ufficio... viene a vedere una città dinamica evibrante e… comunque non possiamo sospendere i progetti disviluppo, perché significherebbe inviare un messaggio sbagliato agli investitori,perdere posti di lavoro e metterci a rischio di costose vertenze legali con idevelopers”.
Diversamente da Vienna e Liverpool che, dopo avere usato il brand Unesco per le loro campagne di marketing,sono disposte a rinunciarvi per non scoraggiare gli speculatori finanziari e immobiliari, Venezia è riuscita nell’impresa diconservare il marchio di qualità Unesco e di disattenderne tutte leraccomandazioni.

La risoluzione del luglio 2016, con la quale l’Unescosollecitava il governo italiano e il comune di Venezia ad adottare misureconcrete per mitigare i problemi che attanagliano la città e la laguna e preannunciava che, in assenza di sostanziali progressi entro il 1febbraio 2017, avrebbe considerato l’eventualità di porre Venezia nella listadei siti a rischio, suscitò, oltre chel’attenzione della stampa di tutto il mondo, l’immediata reazione del sindaco Brugnaro chedichiarò “ne abbiamo le scatole piene … siamo stufi di critiche aristocratiche”. Poi, però, il sindaco ci ha ripensato, ed hadeciso di trasformare la minaccia daproblema in opportunità. Ad un anno di distanza, dobbiamo riconoscere chel’operazione gli è riuscita perfettamente: si è fatto dare molti soldi dalgoverno, ha portato avanti una serie diprogetti che vanno nella direzione opposta da quella auspicata dall’Unesco edha ridicolizzato l’organizzazione internazionale.

L’Unesco aveva identificato quattro principali fenomeniche stanno distruggendo la città e la Laguna - turismo, grandi navi, grandiopere, moto ondoso - e per ognuno di essi ci chiedeva concreti interventi,cioè l’adozione di un piano per ridurrela sproporzione tra la quantità di turisti e la popolazione residente; la proibizione per le grandi navi passeggeri e commerciali dell’entratain Laguna; la sospensione dei progetti di nuove grandi opereinfrastrutturali, in primis l’ampliamento dell’aeroporto e il porto offshore; l’introduzione,e l’osservanza, di limiti al traffico acqueo, sia in termini di velocità chedi tipo di scafi.

Su tutti i quattro punti l’amministrazione èintervenuta, come dice il sindaco, “confatti e non chiacchiere”. Per quanto riguarda il turismo, il comune,prendendo atto che la domanda è in crescita costante, da un lato si adopera peraumentarla ulteriormente, ad esempio sollecitando e stipulando accordi con i touroperators cinesi, dall’altro continua ad ampliare l’offerta ricettiva con lacostruzione di migliaia di nuovi posti letto, spalmati in tutto il territoriocomunale secondo una zonizzazione che prevede per ogni tipologia di turista lalocalizzazione adeguata alla sua capacità di spesa. Quindi i molto, moltoricchi andranno nelle isole della laguna privatizzate e sottratte ai cittadini normali;i semplicemente ricchi al Lido e nei palazzi lungo il Canal Grande; i mediamentedotati di denaro nella parti della città più discoste da san Marco e dallegrandi attrazioni; i low budget infine, attorno alla stazione di Mestre e sullagronda lagunare.

E siccome l’Unesco non chiedeva misure scoordinate,ma un piano, il comune ha adottato il DMP, “Destination Management Plan delladestinazione turistica Venezia e Laguna”, per il triennio 2016-2018. Si tratta di uno strumento inventato dallaregione Veneto (che ha individuato nel suo territorio tredici destinazioni turistiche)che, di fatto, altera il sistema pianificatorio.

Da un lato, al DPM, che diventa il principale strumento di“gestione strategica del territorio in funzione dello “sviluppo, gestione emarketing del turismo e della sua economia”, viene demandata” l’individuazione delledecisioni strategiche, organizzative e operative attraverso le quali deveessere gestito il processo di definizione, promozione e commercializzazione deiprodotti turistici espressi dal territorio veneziano al fine di generare flussituristici di incoming equilibrati, sostenibili e adeguati alle esigenzeeconomiche degli attori coinvolti”.

Dall’altro il DPM, essendo adottato dagli “attoripubblici e privati che partecipano all’"Organizzazione di gestione della destinazioneturistica", presieduta dal comune di Venezia e della quale fanno parte affittacameree albergatori, commercianti ed esercenti, artigiani ed industriali, esclude daogni decisione relativa al territorio chiunque non eserciti un’attivitàeconomica legata al turismo. Per i cittadini che non beneficiano del businessturismo (e che potremmo chiamare i “senza turismo”) sono previsti solo aumentidi tasse e tagli di servizi.

“Via le grandi navi dal bacino di San Marco”,mentre la richiesta dell’Unesco era “via le grandi navi dalla laguna”, è poil’astuto slogan al cui riparo il comune continua a promuovere progetti pernuovi scavi e nuovi terminal in laguna e a slogan e annunci pubblicitari, comel’operazione “onda zero”, si riducono anche le misure per contenere il motoondoso.

Su tutti questi fronti, e soprattutto su quellodelle grandi opere infrastrutturali, il sindaco ha anche abilmente negoziatocon il governo Renzi, con il quale ha firmato, il 26 novembre 2016, il cosiddettopatto per Venezia che destina circa quattrocento cinquanta sette milioni dieuro per “il rilancio della città”. Un successo che Brugnaro ha commentato cosi: “ilprogetto per questa città lo abbiamo delineato chiaramente e parla dellosviluppo delle sue infrastrutture: porto, aeroporto, ferrovie, connettività efibra ottica, perché se riparte Venezia possiamo dare il segnale che puòripartire l'Italia. Venezia si è rimessa in moto, adesso ha bisogno di personelungimiranti che vogliano investire”.
Dopo di che il sindaco ha messo tutto in undossier, è andato a Parigi per “dettagliare i progressi per la rivitalizzazionedella città” e l’Unesco, riconoscendo “i progressi ed i risultati raggiunti”,ha rinviato ogni decisione.

Al ritorno dalla vittoriosa spedizione e giustamentefiero del risultato, il sindaco ha annunciato che nel gennaio 2018 Veneziaospiterà in palazzo Ducale un grande evento, per inaugurare l’anno del “turismocinese in Europa”, al quale interverrannole maggiori autorità politiche cinesi ed europee, oltre a delegazioni di touroperator. L’iniziativa ha avuto l’immediatoplauso del presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, che è venuto a Veneziaper congratularsi e, abbracciando Brugnaro, ha detto: vorrei vedere meno acciaio e più turisti cinesi.

Non sappiano se l’Unesco figura tra gli invitatialla cerimonia in palazzo Ducale. Sappiamo però che l’assessore al turismo si è recata in missione promozionale in Cinae che stiamo lavorando per ottenere la cosiddetta “welcome chinesecertification”, cioè il riconoscimento di destinazione chinesetourist friendly. Per i cittadini è una consolazione sapere che semai dovessimo perdere il marchio Unesco ci rimarrebbe il certificato cinese, masiamo fiduciosi che il nostro sindaco smart riuscirà a cumularli.
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