loader
menu
© 2024 Eddyburg
Il collettivo perUnaltracittà si consolida all’interno di una lista di cittadinanza attiva, formatasi a Firenze, a inizio millennio, nel clima del Social Forum e del Laboratorio per la democrazia. Tra 2004 e 2014 siamo in consiglio comunale a fianco della consigliera Ornella De Zordo. Due consigliature durante le quali il gruppo avverte la crescente inagibilità del Consiglio.
Preso atto dello svuotamento degli organi consiliari e in generale della natura della rappresentanza, che ha allontanato il corpo elettorale dagli eletti, impedendo qualsiasi partecipazione democratica, abbiamo convenuto di non ripresentarci alle elezioni.
Ci trasformiamo dunque in Laboratorio politico perUnaltracittà.
Il collettivo si trova concorde nel dar vita a una rivista che funzioni da collettore delle voci più flebili, quelle che mai trovano eco sulla stampa padronale. Nel luglio 2014 esce il numero zero de “La Città invisibile”.
La rivista
La rivista – indipendente, autogestita, autofinanziata con l’aiuto dei lettori, autoprodotta – è ideata come strumento utile alla collettivizzazione di pensiero critico a contrasto dell’ideologia liberista (o neoliberista, o neocapitalista); ossia alla diffusione di una postura critica, poliedrica, polifonica, nel solco dell’ecologia politica e dell’anticapitalismo.
Essendo qui oggi a ricordare la figura di Eddy Salzano, mi permetto di segnalare che a Eddy piaceva «moltissimo» la nostra impresa redazionale e non solo per l’impegno che abbiamo profuso nel campo dell’urbanistica.
La redazione infatti lavora su molti livelli tematici per l’allargamento della consapevolezza dei meccanismi (stabilmente occultati nella narrazione dominante) che condizionano gli stili e gli ambienti di vita. Più di una volta, ad esempio, abbiamo proceduto alla “traduzione” dei piani urbanistici e al disvelamento delle caditoie nascoste negli articolati. O allo svisceramento del “modello TAV” e del suo tossico modello si spesa.
Siamo certi infatti che solo il disvelamento di tali meccanismi e quindi la consapevolezza allargata delle politiche liberiste possa innescare la proliferazione e la propagazione di competenze di controprogettare/desiderare/immaginare un altro mondo possibile che consenta l’uscita dalla crisi politica, sociale ed ecosistemica.
Come funziona la rivista
Mettendo in connessione le istanze sociali e guardando a chi sta praticando le lotte (e a chi le praticherà), la rivista dà spazio alle realtà di movimento (femminista, di genere, etnico, legate al diritto alla casa etc.); alle insorgenze delle periferie e al disagio degli esclusi; alle vertenze sul territorio capaci, a loro volta, di produrre prezioso sapere tecnico. Ma essa è anche un luogo di scambio di idee, di teorie e di sperimentazioni.
Il collettivo redazionale de La Città invisibile si è dunque, fin qui, avvalso del contributo di 370 autori&autrici: non professionisti, singoli o soggetti collettivi.
Dal 2014 sono usciti 133 numeri bisettimanali. Quindicimila lettori “unici” ogni mese cercano informazioni su “La Città invisibile”, visitando 20.000 pagine del sito www.perunaltracitta.org che ospita la rivista.
I nostri 370 autori hanno contribuito con 2.196 articoli su molteplici argomenti, tra cui molti interessano direttamente gli urbanisti: dalla mappatura degli edifici abbandonati a Firenze e in Toscana, allo smantellamento delle Poste; dall’inquinamento della Piana Firenze-Prato-Pistoia alla turistificazione della città, alla questione delle grandi opere inutili e imposte sui territori; dalla speculazione immobiliare che mina l’esperienza di Mondeggi, alla solidarietà verso la comunità di Vicofaro (tema, quello delle migrazioni, caro a Eddy e ad Eddyburg); dall’indagine sulle mafie in Toscana ai temi dei diritti e dell’uguaglianza sociale.
Benché la rivista abbia prioritariamente uno sguardo territoriale – cittadino e regionale –, la redazione non trascura la scala nazionale e internazionale: il nostro legame con l’esperienza di Potere al popolo, ad esempio, ci ha – anche qui fin dal primo momento – unito a Eddyburg.
Il nostro sguardo sull’urbanistica
Il “Gruppo Urbanistica”, parte integrante del Laboratorio perUnaltracittà e della redazione, indaga la città nella sua natura di urbs, civitas, polis. Ossia, nella sua necessaria, triplice consistenza, quella fisica, quella sociale e quella politica, mettendole a sistema. A dispetto del riconoscimento unanime da parte di Salzano e di tutti coloro che si ritrovano in Eddyburg, Palazzo Vecchio ci ha recentemente definito, in sede istituzionale: «professionisti da tempo dediti solo a screditare l’operato dell’amministrazione». Parole (scritte) dell’assessore all’Urbanistica, all’Ambiente e al Turismo, in un comunicato stampa pubblicato sul sito del Comune.
Alla pianificazione e all’urbanistica, la nostra rivista dedica una sezione (Urbanistica), cui si legano le altre riferite alle vertenze metropolitane: aeroporto, Tav, ambiente, inceneritore.
Tra le rubriche: Il contravveleno, città oltre il neoliberismo raccoglie argomenti inerenti le pratiche di solidarietà, resistenza e controprogettualità; Urbanistica resistente è una silloge delle testimonianze dei protagonisti della lotta decennale contro la rendita immobiliare e fondiaria (2004-2014); Toscana ribelle ospita le voci collettive dei comitati e delle realtà di resistenza che operano fuori dalla città capoluogo; infine, Pistoia l’altra faccia della Piana, è l’osservatorio sulle dinamiche di spoliazione urbana, politica e sociale in atto nella vicina Pistoia.
Ricordiamo poi la pubblicazione del libro Urbanistica resistente nella Firenze neoliberista: perUnaltracittà. 2004-2014 (da me curato, disponibile anche online). Si tratta del racconto a molte voci dell’esperienza consiliare condotta dai banchi dell’opposizione durante il mandato di tre sindaci che, targati DS poi PD – Leonardo Domenici, Matteo Renzi e, per pochi mesi, Dario Nardella –, hanno fatto di Firenze una miniera a cielo aperto per i profitti dei colossi del cemento e del turismo globale.
Proprio al tema del turismo e della monocoltura economica perseguita in città negli ultimi quindici anni, è dedicato un ebook in uscita nei prossimi giorni: Firenze fabbrica del turismo, a cura di Antonio Fiorentino, Daniele Vannetiello e di chi scrive. L’ebook dà seguito al ciclo di incontri La fabbrica del turismo avviato nell’autunno 2017, in collaborazione con Clash City Workers, presso lo spazio autogestito dell’InKiostro.
Infine, questioni d’attualità nel territorio metropolitano fiorentino sono affrontate in vari dossier. A chi fa gola Firenze? è una guida alle holding che si appropriano della città, composta da dieci schede nelle quali Fiorentino, con una ingente quantità di dati, ricostruisce il quadro dell’esproriazione alla cittadinanza di interi settori urbani. Si possono inoltre trovare sul sito: L’Atlante dei conflitti nella Piana Firenze-Prato-Pistoia; Il cielo sopra Firenze. Trafficato e fuori legge.
Dove andiamo?
Molto è accaduto durante la “rottura” provocata dal virus. Nelle settimane di confinamento ci siamo messi a servizio del tessuto di pratiche di mutualismo dal basso rivolte a coloro che rimanevano esclusi dalle misure emergenziali istituzionali. Questa parentesi, e il risultato elettorale che ha visto la sinistra estromessa dal consiglio regionale, ci porta oggi a fare una riflessione e a chiederci in quale direzione andare, dove guardare, dove ricercare, dove agire. Qualcosa lo abbiamo già scritto nel nostro Manifesto per la riconquista popolare della città, uscito nei primi giorni della “riapertura”. In esso si delinea una riappropriazione urbana attuabile alla scala di “micropolitiche”: una riconquista che procede per conflitti e progetti, provocati da soggetti collettivi e plurali; che avanza per pratiche sperimentali messe in atto da soggettività di movimento. Attivare micropolitiche, mettere al lavoro il desiderio, alimentare l’immaginazione. «Aprirsi alla creatività, promuovere le passioni della jouissance, sperimentare relazioni sociali che vanno oltre la parcellizzazione sociale della famiglia basata sul nucleo eterosessuale a dominanza patriarcale» (G. Pierazzuoli).
Sono questi, a nostro avviso, gli strumenti per uscire dalla passioni tristi dell’austerità, gli attrezzi per indagare a fondo (e praticare) il concetto di felicità, il cui prefisso fe- riconnette la stessa felicità a femmina, fertilità, feracità, e la riporta in un ambito rigenerativo.
Dopo la pandemia, dopo lo scippo della politica istituzionale, credo che il nostro percorso ci porti verso la messa a punto di: situazioni “fuori controllo”, ingovernabili, impreviste, improvvise, immaginative, relazionali, generative di socialità, legate all’autoproduzione, fuori dal mercato, femministe, trans-genere, trans-etniche, trans-discliplinari... Insomma come scrive Franco Berardi Bifo, è opportuno guardare agli «imprevisti felici che vogliamo favorire».

Dall'assemblea dei giovani è emersa una completa piattaforma politica e culturale per una radicale trasformazione di una società in fase di avanzata decomposizione in una società nuova e pienamente umana, all'altezza delle sfide che il pianeta deve affrontare. Qui l'articolo. (e.s.)

Venerdì 15 marzo milioni e milioni di studenti e studentesse, in decine di migliaia di scuole di tutto il mondo, faranno sciopero e riempiranno le strade di cortei. Ad essi si uniranno anche molte altre cittadine e cittadini che ne condividono rabbia e obiettivi. La rabbia è di chi si vede rubato il futuro dall’inerzia e dalla complicità delle classi dirigenti di tutti i paesi del mondo, e soprattutto dai “signori della Terra”: quelli che gestiscono economia e finanza a spese del nostro pianeta e di chi lo abita. L’obiettivo è quello di far mettere la lotta contro i cambiamenti climatici al centro dell’agenda di tutti i centri di potere, dai governi nazionali alle istituzioni internazionali, dalle municipalità alle associazioni imprenditoriali, dai sindacati alle cosiddette “forze politiche”.

E’ questo obiettivo quello che, per ora, nel giro di pochi mesi, ha spinto migliaia di giovani a disertare le lezioni per rispondere all’appello lanciato da Greta Thunberg, la studentessa svedese che, decidendo di andare in piazza invece che a scuola ogni venerdì, per gettare l’allarme, ha cominciato a smuovere molte coscienze: per spingerle a salvaguardare condizioni di esistenza e convivenza decenti non più solo, come si ripete nelle giaculatorie ufficiali, per “le future generazioni”. No. Già per la generazione che si affaccia alla vita ora e che ha capito che con la nostra insipienza e la nostra inerzia le stiamo preparando un vero inferno. Da cui molti sono già stati inghiottiti: non si spiegherebbero altrimenti origini e dimensioni delle migrazioni in corso, che è ormai l’unico problema che preoccupa governi e forze politiche di mezzo mondo, se non si capisce che si tratta di un effetto, non di una causa. Mai uno scontro generazionale si è prospettato più radicale. Se questo movimento di giovani continuerà a crescere in dimensioni, radicalità e capacità di articolarsi in programmi e iniziative, come è giusto e probabile che sia, sarà esso, e non le forze politiche “di opposizione”, che continuano a rimestare sigle, personaggi e programmi, a invertire e rovesciare le tendenze in atto, apparentemente irresistibili, che stanno precipitando il mondo in un abisso di nazionalismi, razzismi, cinismo, ignoranza e rassegnazione. Una deriva che non può essere contrastata solo a livello nazionale, e nemmeno solo a livello europeo ma che ha bisogno del mondo intero come palcoscenico: quello che il movimento messo in moto da Greta Thunberg sta conquistando. Per ora questa “insorgenza” non ha ancora un programma che non sia la mera denuncia. Denuncia che ha riscontri precisi in coloro, soprattutto scienziati, ma anche “militanti” ambientalisti (non tutti; e nemmeno la maggioranza) che si adoperano da decenni per far capire la gravità del problema a Governi, media, imprenditori, manager e, soprattutto, a una parte di “opinione pubblica”, quella raggiungibile attraverso canali associativi, perché la maggioranza dei cittadini, grazie a un vero e proprio tradimento degli addetti all’informazione, è stata spinta a ignorarla, sottovalutarla, dimenticarla. Ma se cause e dinamiche dei cambiamenti climatici sono chiare e accessibili a chiunque se ne voglia informare, le risposte da dare sono ancora avvolte nella nebbia. Perché non c’è solo da abbandonare il più presto possibile tutti i combustibili fossili e passare alle fonti rinnovabili. Quel cambio di rotta – lo ha spiegato Naomi Klein nel suo libro Una rivoluzione ci salverà – richiede una dislocazione radicale del potere dai centri di comando attuali alle comunità, in tutti i principali settori della produzione e della gestione del territorio. Forme di autogoverno ancora in gran parte da costruire o ricostituire, una democratizzazione di tutte le istituzioni, non solo pubbliche, ma anche private: imprese, corporations, finanza; per lo meno quelle al di sopra di una certa soglia dimensionale. Per questo è inutile aspettare la green economy e prospettare la conversione ecologica come un business. Se lo fosse, o lo potesse essere, sarebbe già avvenuta.

Il problema è il “come?”. Come tradurre in programmi, progetti, realizzazioni e gestioni democratiche le indicazioni che derivano dalla dimostrata insostenibilità del modo attuale di condurre gli affari sia economici che di governo? Qui, con la lodevole eccezione di pochi tecnici che vi si cimentano e di moltissime associazioni e comitati che hanno sviluppato esperienze esemplari, soprattutto in campo agricolo e alimentare, gran pare del lavoro è ancora tutto da fare. Ma da oggi si può cercare di farlo, in modo concreto, qui e ora, in un confronto serrato con le giovani generazioni che hanno compreso l’importanza del problema. Questo dà la misura della distanza della “politica”, sia di governo che di opposizione, dai problemi che la nascita di questo movimento mette all’ordine del giorno. Che cosa ha a che fare questa insorgenza con lo schieramento compatto di partiti, giornalisti, industriali, sindacati, ministri e portaborse che invece che di Greta Thunberg si sono messi al seguito delle sette madamine di Torino per spiegarci che dal tunnel del Tav Torino-Lione (che forse entrerà in funzione tra quindici anni, o forse mai) dipende il futuro della nazione, dello “sviluppo”, dell’ambiente, del benessere? C’è forse qualcosa che possa mostrare meglio di questa caduta in un delirio collettivo la distanza che separa l’agenda delle nuove generazioni, e la sua impellenza, dall’ottusità di quelle vecchie? Quelle che stanno trascinando tutti e tutto verso il baratro ambientale, facendolo comunque precedere o accompagnare da un baratro non meno devastante di identitarismo e di razzismo, anche se malamente mascherato?

Articolo tratto dalla pagina qui raggiungibile.

Qui la pagina web e quella facebook di Fridays for Future.

A Bologna un Laboratorio sul Diritto alla Città per contrastare l'idea della città come spazio di profitto, piuttosto che come luogo della condivisione, dell’incontro e di realizzazione collettiva, con contributi di accademici, esperti, forze sociali e politiche che in Italia e in Europa hanno deciso di muoversi nella direzione opposta. Primo appuntamento il 22 febbraio. Qui i dettagli. (i.b.)

Contropiano, 27 novembre 2018. Anche Potere al Popolo l'8 dicembre scende in piazza per sostenere la mobilizzazione nazionale contro le grandi opere e per la giustizia ambientale, organizzata dai comitati e movimenti ambientalisti di tutta Italia. Con riferimenti (i.b.)

Come già anticipato in una segnalazione di qualche settimane fa (qui il link) l'8 dicembre prossimo si terranno una serie di manifestazioni ambientaliste in tutta Italia.

Potere al Popolo ha deciso di dare supporto, e sostegno a questa iniziativa (legga qui il comunicato nazionale) e sarà presente in tre piazze italiane:

A Torino con i NO TAV;
a Niscemi con i NO MUOS;
e a Padova con "Siamo Ancora in tempo": raccogliendo l'invito dei collettivi dei cittadini francesi per il clima a una mobilitazione internazionale durante i negoziati sui cambiamenti climatici COP24 (Polonia 3-14 dicembre 2018) i comitati e movimenti del veneto hanno indetto una giornata per dire che "siamo ancora in tempo a cambiare rotta".

Si legga qui il comunicato di Potere al Popolo Veneto "Contro veleni e grandi opere", che l'8 parteciperà alla manifestazione sul clima.

Di recente in eddyburg abbiamo aperto una nuova sezione "Invertire la rotta" proprio per seguire questa onda di nuove mobilitazioni per la difesa dell'ambiente e per una giustizia ambientale, che mostrano anche una sempre più acuta consapevolezza dell'assenza di una sintesi politica capace di coniugare il contrasto alla crisi con la proposta di un modello alternativo. In questa sezione, oltre a seguire e dare testimonianza dello svolgersi di queste mobilitazioni (appuntamenti, appelli, contenuti) cercheremo di dare conto dei conflitti ambientali in corso per comprendere meglio la necessità di INVERTIRE LA ROTTA e uscire dal modello di sviluppo corrente. Cercheremo anche di cogliere le alternative che provengono dai territori e dalle varie comunità di sapere che si sono formate attorno a queste importante lotte. (i.b.)

». Il Fatto Quotidiano online, blog "Ambiente e veleni", 3 agosto 2016 (c.m.c.)

Le associazioni ambientaliste della Basilicata finiscono nella ‘lista nera’ di Angelino Alfano, ossia la relazione annuale del Viminale sullo stato della sicurezza pubblica e sulla criminalità organizzata per l’anno 2014.

Dopo qualche settimana dalla presentazione, poi, nella sua visita a Potenza il ministro non fa affatto dietrofront, ma rincara la dose, collegando i sodalizi citati nel rapporto a questioni di ordine pubblico. Il tutto non in una regione qualsiasi, ma quella in cui sono in corso varie inchieste (anche della Procura antimafia di Potenza) che cercano di far luce su condotte e anomalie spesso denunciate proprio da queste associazioni.

La Basilicata è la regione considerata il Texas dell’Italia, dove è nata anche l’indagine che ha portato a vari arresti e coinvolto esponenti del Pd lucano e il governo Renzi, provocando le dimissioni dell’ex ministro dello Sviluppo Federica Guidi. Lo sa bene Angelino Alfano, che a Potenza ha dichiarato: «Non parliamo certo di fenomeni pacifici di protesta, ma dell’ordine pubblico, che è quello tracciato e monitorato nella relazione».

Un testo che aveva già suscitato le preoccupazioni dei consiglieri regionali del Movimento 5 Stelle, Gianni Leggieri e Gianni Perrino. Questa volta, dopo le dichiarazioni di Alfano, a intervenire è Piernicola Pedicini, eurodeputato M5s:
« È incredibile che delle libere associazioni vengano trattate alla pari di fenomeni malavitosi che nulla hanno a che vedere con la partecipazione dei cittadini – spiega Pedicini a ilfattoquotidiano.it – e la possibilità di protestare ed esprimere il proprio pensiero così come sancito dalla Costituzione italiana».

LA RELAZIONE SOTTO ACCUSA - A pagina 931 del testo si approfondisce la questione dell’ordine pubblico, facendo riferimento a particolari situazioni di tensione. Per intenderci: dalle vertenze occupazionali fino alle manifestazioni ambientaliste. «È stata attenzionata – si legge nella relazione – la campagna contro le trivellazioni in Basilicata, da tempo al centro dell’impegno di sodalizi d’area ecologista, più volte scesi in piazza con manifestazioni di protesta e iniziative volte a stigmatizzare i conseguenti danni alle falde acquifere e alla salute pubblica».

Tra le associazioni che hanno mostrato maggiore dinamismo si citano ‘NoscorieTrisaia’, ‘Scanziamo le scorie’ e ‘Ola -Organizzazione Lucana Ambientalista’, quest’ultima «particolarmente attiva – si scrive – nel contrastare l’asserito tentativo da parte di Total di estendere il perimetro delle concessioni estrattive anche ad aree del materano».

Il testo spiega, poi, come la mobilitazione abbia trovato nuovo impulso «a seguito delle misure governative emanate nel decreto Sblocca Italia» in tema di ricerca gestione e stoccaggio di idrocarburi «ritenute oltremodo penalizzanti per il territorio e, pertanto, osteggiate anche attraverso la pressante richiesta rivolta alle Istituzioni locali di impugnare davanti alla Corte Costituzionale gli articoli 35, 36, 37 e 38 del provvedimento normativo».

LE REAZIONI - Il testo ha scatenato una scia di polemiche. ‘Noscorie Trisaia’ ha chiesto un incontro con Alfano e con i presidenti di Senato e Camera. A far arrabbiare le associazioni è stato anche il riferimento a «minacce chiaramente ricollegabili alla vertenza» ricevute dal presidente della Regione Basilicata Marcello Pittella il 27 novembre del 2014, sollecitato a intervenire dalle associazioni con «una campagna di sensibilizzazione sul web» tesa a ribadire l’incostituzionalità dello Sblocca Italia.

‘Scanziamo le scorie’ ha scritto al ministro: «Noi siamo quelli della marcia dei centomila del 23 novembre 2003 (contro il cimitero atomico di Terzo Cavone), altro che inserimento nel Rapporto sullo stato della sicurezza pubblica e sulla criminalità organizzata 2014!».

Il 20 giugno scorso, poi, dopo 10 anni di attività, ha invece annunciato la sospensione delle pubblicazioni e di ogni attività informativa la terza associazione citata nel rapporto, l’Organizzazione Lucana Ambientalista che parla di «una scelta libera, senza condizionamento alcuno». Le ragioni, però, si possono leggere sulla homepage del sito ufficiale: «Assistiamo da più fronti a costante criminalizzazione e isolamento di chi ha sempre esercitato ed esercita democraticamente il diritto ad informare, nel pieno rispetto dei principi sanciti dalla Costituzione».

ALFANO: “E’ ORDINE PUBBLICO, NON PROTESTA PACIFICA – «Rispettiamo la scelta della ‘Ola’, ma non possiamo che dolerci della grave perdita subìta dal panorama dell’informazione lucana: tanto e bene ha fatto l’organizzazione nelle sue attività di sensibilizzazione sulle tematiche ambientali della Basilicata» hanno subito detto i consiglieri M5s Leggieri e Perrino.

Poi è arrivata la relazione sullo stato della sicurezza pubblica e sulla criminalità e, qualche giorno fa, la visita istituzionale del ministro nel capoluogo lucano. Dove ha ribadito la sua posizione su quanto contenuto nel documento: «Non parliamo certo di fenomeni pacifici di protesta, che sono tutelati dall’articolo della Costituzione sulla libertà di espressione del pensiero e riconosciuti dalle leggi di pubblica sicurezza, tanto che vengono concessi spazi per le manifestazioni».

Per Alfano, però, quest’ambito è diverso da quello «dell’ordine pubblico, che è quello tracciato e monitorato nella relazione». «Non permetteremo che le associazioni ambientaliste lucane vengano intimorite da Alfano e Renzi» ha replicato Piernicola Pedicini, secondo cui «ha dell’incredibile ed è gravissima e preoccupante la vicenda delle associazioni attenzionate dal ministero dell’Interno per la loro sacrosanta e democratica attività di denuncia e di informazione sulle estrazioni petrolifere, sulla tutela dell’ambiente e della salute pubblica in Basilicata».

Le parole del titolare del Viminale, a sentire l’eurodeputato M5s, hanno «il solo scopo di criminalizzare, discreditare e intimorire l’azione delle associazioni e dei cittadini lucani che non accettano le scelte scellerate che da anni vengono attuate in Basilicata per le estrazioni petrolifere, la gestione dei rifiuti e l’annientamento del territorio per puri calcoli economici e affaristici legati agli interessi delle lobby e della cattiva politica».


Una strana e, per certi versi, suggestiva congiunzione astrale ha voluto che lo scorso sabato 14 maggio si svolgessero (quasi in contemporanea) due fondamentali iniziative nazionali a tutela dei territori toscani. La prima, riuscita, colorata e popolare, nelle forme classiche del corteo, convocata dalle vivaci “mamme no inceneritore” contro tutte le nocività che minacciano la Piana (il nuovo aeroporto, il nuovo impianto di Case Passerini, il nodo TAV di Firenze). La seconda, più convegnistica, ma non meno riuscita, indetta dal Coordinamento Apuano, a Pietrasanta a tutela delle Alpi Apuane.

Le associazioni ambientaliste e i comitati locali, ovviamente, hanno partecipato con entusiasmo ad entrambe le manifestazioni. In un momento storico in cui i corpi intermedi paiono dichiaratamente sotto attacco, una straordinaria prova di forza e una vera festa della partecipazione e della cittadinanza attiva! In ogni caso, da qualsiasi punto di vista si guardi a quella giornata, un memento fragoroso per una classe dirigente ormai troppo sensibile alle sirene della finanza e, ahinoi, sempre meno concentrata sui bisogni reali della comunità che pretenderebbe “rappresentare”.

Nel caso della Piana, un enorme surplus di carico. Una soglia di sostenibilità già ampiamente superata nello status quo, che s’intenderebbe “stiracchiare” all’infinito purché le grandi opere (aeroporto, nodo TAV, inceneritore d’area vasta) siano varate. Costi quel che costi, ci verrebbe da dire, con profonda amarezza. Nel caso delle Apuane, in modo del tutto speculare e non meno eclatante, un enorme caso a togliere. Un prelievo del carbonato di calcio che, col tempo e con l’affinarsi delle tecniche estrattive, è diventato una minaccia per la sopravvivenza stessa della “nostra montagna”.

Per questo, parlare oggi di Apuane, dei sintomi evidenti della loro incipiente distruzione è, a nostro avviso, tutt’uno col parlare del nostro martoriato Belpaese. Dotato di bellezze naturali e culturali uniche al mondo, eppure spesso incauto o maldestro nel porre in essere misure di tutela ad esse adeguate. Per questo, è nato il Coordinamento Apuano, grande contenitore politico che raccoglie tutte le maggiori associazioni ambientaliste italiane (Legambiente, Italia Nostra, WWF, FAI, CAI), la Rete dei Comitati a difesa del Territorio, la Società dei Territorialisti e i vivacissimi nodi social di Salviamo le Apuane e Salviamo le Alpi Apuane.

Sulla base della grande vertenza, che ha portato finalmente alla copianificazione Stato/Regione e alla definitiva approvazione del Piano Paesaggistico Regionale della Toscana (avvenuta il 27 marzo 2015), abbiamo infatti preso atto che “uniti si vince”. E che uniti avremmo potuto incassare altri importanti risultati, in termini di attuazione e messa in opera del Piano, sui territori. Perché di tutta evidenza ci paiono, in questa fase, due cose. La prima è che dal Piano Paesaggistico incontrovertibilmente si parte. La seconda è che il Manifesto per le Alpi Apuane (che qui alleghiamo come prodotto di questa imponente elaborazione collettiva) può rappresentare per tutti un’ottima bussola per una serena e condivisa navigazione.

Qui per scaricare il Manifesto per le Alpi apuane

Il manifesto, 15 maggio 2016 (m.p.r.)

Il 15 maggio è Global Debout, la prima «notte in piedi» globale. In centinaia di città si scende in piazza per riappropriarsi della parola e dello spazio pubblico rispondendo «alla competizione e all’egoismo con la solidarietà, la riflessione e l’azione collettiva».

Nuit Debout lancia una giornata di mobilitazione globale nel quinto anniversario del movimento spagnolo 15-M, invitando a occupare simultaneamente le piazze di paesi, città e metropoli. Londra, Berlino, Vienna, Madrid, Barcellona, Lisbona, Atene e diverse città italiane tra cui Roma, Napoli e Milano hanno aderito all’iniziativa. La manifestazione prevede lo svolgimento di assemblee di cittadini, dirette live tra le diverse località internazionali e alcune azioni comuni, come il lancio di una campagna di boicottaggio.

Global Debout, che punta a essere il laboratorio per una nuova Internazionale di movimenti e cittadini contro «la precarietà, i diktat dei mercati finanziari, la distruzione dell’ambiente, le guerre e il degrado delle condizioni di vita », è stato concertato durante i dibattiti del 7 e 8 maggio a place de la République, cui hanno partecipato centinaia di attivisti provenienti da Europa, Turchia e Stati uniti.

«Le battaglie ambientali, per il lavoro e la scuola hanno una causa comune: l’oligarchia finanziaria. E fintanto che saremo divisi perderemo». Così scriveva il giornale francese Fakir a febbraio, poco prima che attorno alle proteste contro la Loi Travail e alla convergenza delle lotte si coagulasse il movimento Nuit Debout.

Da allora sono passati tre mesi e oggi la piazza parigina guarda oltre i confini nazionali: «La riforma del codice del Lavoro francese fa eco a numerose altre leggi adottate all’estero - scrivono gli organizzatori- che hanno diffuso precarietà e miseria. Al crescere delle disuguaglianze su scala globale, la nostra risposta deve essere globale.»

E la risposta è la coesione sociale e la partecipazione alla vita civile. Nelle piazze che hanno risposto all’appello di #globaldebout, come è stato rilanciato sui social media, si svolgeranno assemblee di cittadini con presa di parola libera. Collegamenti telefonici e tramite Periscope, applicazione di Twitter per la trasmissione di riprese in diretta, faciliteranno il dialogo tra le diverse piazze internazionali. Alle 20 (ora locale parigina), un minuto di silenzio, al termine del quale gli attivisti scatteranno in piedi con un urlo di gioia (debout significa «in piedi»). Il 15 maggio è anche un’occasione per lanciare un’azione di protesta comune: una campagna di boicottaggio internazionale. Il primo obiettivo è Coca Cola. Ma l’idea è creare una piattaforma globale su cui i cittadini possano confrontarsi e indicare ogni mese nuove multinazionali da ostacolare.

Poche linee guida e tanto spazio alle proposte locali: «L’obiettivo di Global Debout - spiegano i promotori- non è esportare il movimento di place de la République, ma creare mobilitazioni autonome che rilancino la partecipazione politica e il dibattito cittadino su questioni di comune interesse come il lavoro, le frontiere, l’austerità, il libero mercato». Le ambizioni di Global Debout vanno infatti ben oltre l’impatto mediatico ed estemporaneo di un’azione dimostrativa internazionale. L’intento è creare una rete permanente di movimenti che declini nei diversi contesti locali le medesime battaglie globali e proponga un nuovo modello sociale.

L’appello lanciato da Nuit Debout ha dunque destato l’interesse di chi da anni si muove negli spazi interstiziali della politica istituzionale, sperimentando nuove forme di democrazia dal basso. Il 7 e 8 maggio duecento attivisti internazionali, tra cui collettivi italiani di Venezia, Padova, Milano, Parma, Bologna, Pisa, Roma, Napoli, si sono ritrovati a place de la République «per condividere le pratiche di resistenza alle politiche neoliberiste, imparare dalle diverse esperienze di attivismo e trovare un terreno di lotta comune». Tra loro, c’è chi si batte per la riappropriazione dello spazio pubblico, chi per i beni comuni. Chi si oppone al precariato e alle frontiere.

E chi cerca di concertare le diverse lotte. Come l’atelier Esc di Roma, dove gli sportelli Clap (Camere del lavoro autonomo e precario) assistono i lavoratori tirocinanti, intermittenti e disoccupati, e dove il progetto «Decide Roma» ha portato alla stesura collettiva della Carta dei beni comuni, contro lo smantellamento del patrimonio pubblico: «Come Nuit Debout, cerchiamo di ricostruire uno spazio fisico di partecipazione politica secondo i principi di autonomia, autogestione e autogoverno», spiega Giansandro, arrivato a Parigi per condividere i progetti dello spazio romano. Isabella e Simone di Connessioni Precarie di Bologna raccontano l’esperienza dello sciopero sociale italiano contro il Jobs Act nel novembre 2014, e il tentativo di estenderlo oltre le frontiere nazionali attraverso la piattaforma Transnational Social Strike «per toccare tutte le forme di precariato, anche quelle che colpiscono i lavoratori migranti».

I temi della riappropriazione dello spazio pubblico, del rapporto tra precarietà, frontiere e libero mercato rimbalzano da un intervento all’altro. Martin, di Nuit Debout Londra, racconta che il movimento inglese, in mancanza di spazi pubblici, ha stabilito il proprio quartier generale sul marciapiede di Downing Street, di fronte alla residenza di David Cameron.

Dietro di lui, lo striscione appeso al monumento alla Repubblica recita: «Lo spazio pubblico non è in vendita». Alcuni francesi intervengono per denunciare «l’ipocrisia istituzionale sul tema dei rifugiati» e condividere le lotte a fianco dei migranti messi sul lastrico dagli sgomberi. Secondo Alex, di Bruxelles, «la convergenza europea deve avvenire sul lavoro e le frontiere, due temi caposaldo della società che, se rimessi in discussione, fanno crollare il modello attuale di Europa». Il dibattito è proseguito all’interno di gruppi di lavoro, in cui si è discusso di progetti a lungo termine, come il rigetto del Ttip, dei modi di produzione e consumo a danno dell’ambiente e delle persone, dell’Europa fortezza; e altri a breve termine, come l’organizzazione di scioperi sociali, occupazioni di siti emblematici, proteste simultanee, cortei silenziosi. «Il 15 maggio sarà un’opportunità per discuterne in tutte le piazze interessate.»

Lo slogan è stato adottato per accompagnare Global Debout, a ricordare la contrapposizione tra il 99% e l’1% che detiene il potere. Ma la convergenza è un processo complesso e tra gli attivisti internazionali c’è anche chi si dice scettico riguardo alla presa del movimento al di fuori della Francia: «Il 15 sarà un atto simbolico e importante, ma dubito che in Italia possa trasformarsi in qualcosa di continuativo ed efficace», sostiene un attivista di Pisa. Héctor, del movimento Barcelona en Comù e membro della Commissione Internazionale di Nuit Debout la pensa diversamente: «Far salire chi sta in basso e scendere chi sta in alto è un’utopia. Ma sapete una cosa? I have a dream».

«Beni Comuni. Le prospettive della nuova stagione referendaria: costituzione, legge elettorale, trivelle, inceneritori, acqua pubblica e diritto allo studio. L'attesa per i quesiti della Cgil contro il Jobs Act. I movimenti: "Manteniamo la nostra autonomia di giudizio e di iniziativa". Il progetto di costruire un' alleanza sociale e le incognite» . Il manifesto, 15 marzo 2016

Un «no» per fermare la controriforma della Costituzione, un «sì» ai quesiti per correggere l’Italicum nel referendum previsto a ottobre. A rafforzare la campagna referendaria in corso contro il governo Renzi, il movimento per la scuola pubblica (Cobas, Unicobas, Flc-Cgil, Lip, Uds, Gilda e altri), il forum italiano per l’acqua, la campagna «Stop devastazioni» e il comitato «Blocca Inceneritori» depositeranno giovedì 17 marzo i quesiti referendari contro alcune parti della «Buona scuola»; per l’opzione «Trivelle zero» in terraferma e oltre le 12 miglia in mare; sull’articolo 35 del decreto «Sblocca Italia» che eleva gli inceneritori a «interesse strategico», promuovendone la realizzazione in diverse regioni.

È in preparazione un quesito per difendere l’acqua pubblica dopo che i governi hanno disatteso il referendum del 2011. Sarà lanciata una petizione nazionale contro il decreto attuativo della legge Madia sui servizi pubblici. Nel frattempo il Coordinamento universitario Link raccoglierà le firme per una legge di iniziativa popolare sul diritto allo studio universitario.

La campagna partirà il 9 e il 10 aprile, quasi in coincidenza con il referendum «anti-trivelle» previsto il 17 aprile, e si chiuderà il 9 luglio. La mobilitazione aspira a rappresentare una risposta generale contro Renzi e il Pd. Se la legislatura fosse sciolta anticipatamente – in caso di sconfitta di Renzi o in caso di vittoria al referendum costituzionale di ottobre – il paese voterà su scuola, acqua, trivelle e inceneritori nel 2018, e non nel 2017.

Si resta in attesa della Cgil che concluderà il 19 marzo la consultazione degli iscritti sulla «Carta dei diritti universali del lavoro» e sta valutando la presentazione di alcuni quesiti referendari contro il Jobs Act. In questa cornice è stata annunciata la raccolta delle firme per una legge di iniziativa popolare per un «nuovo statuto del lavoratori». «Per quanto ci riguarda – sostengono i promotori dei «referendum sociali» – non rinunciamo alla possibilità di costruire un intreccio tra le nostre questioni e il tema del lavoro, né alla nostra autonomia di giudizio e di iniziativa, una volta conosciuti gli eventuali quesiti promossi dalla Cgil». In altre parole: non è detto che con il sindacato si trovi un accordo sul referendum anti-Jobs Act. La partita è aperta.

Un quadro politico si va delineando a dispetto della macchinosità dei rapporti tra politica, associazioni e sindacati. I movimenti cresciuti in autonomia e su istanze specifiche hanno scelto di condividere una prospettiva generale, unendo le forze nella raccolta delle firme e puntando su una visione comune della democrazia e di un’economia liberata da energie fossili e capitalismo estrattivo. Si vuole lanciare un’«alleanza sociale dei movimenti» sui «beni comuni».

Il modello evocato dalla nuova campagna è la stagione referendaria 2010-2011 quando i comitati promotori furono composti dai movimenti territoriali e da soggetti politici differenti. Da allora sembra essere passato un secolo: Berlusconi era al governo, il Pd all’opposizione e non c’erano i Cinque Stelle. I referendum sono l’ultima arma in una stagione dove le alternative politiche sono timide o assenti. Resta da capire se ci sarà un governo intenzionato a rispettare la volontà popolare.


Riferimenti

Vedi qui su eddyburg alcune informazioni sull'assemblea dei comitati che rivendicano i diritti ambientali e i diritti sociali , svolta a Roma il 13 marzo per il lancio della campagna per una stagione referendaria, e il testo integrale del documento approvato dell'iniziativa

Un'affollata assemblea ha riunito i rappresentati di centinaia di comitati in lotta per i diritti del territorio e dell'ambiente delle persone e della società, Pubblichiamo qui il documento, preparato attraverso un percorso d'incontri durato molti mesi, su cui si è svolta l'assemblea romana.

Premessa

La vicenda è iniziata a Roma, nell’ottobre 2014, quando un nutrito gruppo dei comitati per i diritti ambientali ha organizzato un animato sit in di protesta, in piazza Montecitorio, contro lo Sblocca Italia. Più o meno nello stesso periodo cominciavano le proteste contro la riforma della scuola del Governo. Da lí, promossa dai comitati per la difesa dell’ambiente, della scuola, della salute e degli altri diritti sociali e ambientali calpestati, è nata un’iniziativa ambiziosa: cercare di dare una visione unitaria alle decine di proteste e iniziative in atto in ogni regione d’Italia ciascuna su temi diversi, ma tutti ugualmente derivanti da una politica del territorio e della società che sta provocando devastazioni sull'uno e sull’altro versante.


A quel punto si è scelto un percorso che permettesse di allargare il discorso e di aggregare, attorno a una piattaforma comune, il maggior numero possibile di gruppi, di temi e d’iniziative. Con una serie di assemblee a Roma, Pescara, Ancona, Termoli, Bologna, Napoli e in altre citta, con un lavoro durato una decina di mesi si è giunti a predisporre un documento e a sottoporlo, discuterlo e approvarlo in un’affollata assemblea svoltasi a Roma, nella sala del cinema Palazzo il 13 marzo scorso.

La sala era affollatissima almeno un paio di centinaia di persone hanno seguito i lavori, in rappresentanza di comitati v da ogni regione d’Italia. Una quarantina di interventi hanno testimoniato sulle intenzioni e le azione in atto e motivato l’adesione alla piattaforma proposta; esprimevano tutti la volontà di non limitarsi a protestare ma di agire per impedire ulteriori devastazioni. Lo strumento principale che si e deciso d’impiegare e quello del referendum, come concreta possibilità d’intervento popolare sulle decisioni governative.

La decisione assunta dall’assemblea è di lanciare la campagna per la stagione referendaria, che durerà tre mesi per la raccolta delle 500.000 firme necessarie per ogni quesito. L'avvio della campagna è prevista per il 9 e 10 aprile, in cui in duecento piazze italiane si costruiscano momenti di discussione e mobilitazione, si raccolgano le firme per tutti i quesiti, invitando al contempo di votare il referendum sulle proroghe delle concessioni esistenti in mare entro le 12 miglia del 17 aprile, si riprenda un rapporto largo con tante persone e soggetti interessati ad uscire dalla crisi affermando un’altra idea di modello sociale e di democrazia.

PER UNA STAGIONE DI REFERENDUM SOCIALI

1. In due anni di governo Renzi, abbiamo visto applicare nei fatti la famosa lettera del luglio 2011 alla BCE, ispirata da una ferrea logica neoliberista. Su questa base, si è attaccato il ruolo della scuola pubblica, privatizzati i beni comuni e i servizi pubblici, aggredito l’ambiente, a partire dalle trivellazioni e dal moltiplicarsi degli inceneritori, abbattuti i diritti del lavoro. Con la controriforma costituzionale, poi, si progetta di rendere permanete quest’impostazione, passando attraverso la riduzione degli spazio di democrazia e il primato del potere esecutivo e dell’”uomo solo al comando”

2. Queste scelte sono passate anche perchè si è fatto pesare il ricatto della crisi e si è costruita una narrazione populista sul nuovismo; e tutto ciò in un quadro di debolezza della politica e di frammentazione, anche volutamente costruita, delle mobilitazione e dei soggetti che hanno provato a contrastarle.

3. Vogliamo provare ad invertire questa tendenza, in primo luogo rilanciando il conflitto e la mobilitazione diffusa contro quelle scelte. E anche avanzando controproposte. Soprattutto iniziando a dare gambe ad un processo di connessione e costruzione di legami tra i soggetti che hanno animato l’opposizione a quelle politiche. Da qui, pur con la consapevolezza della nostra parzialità, nasce la nostra idea di fondo di lanciare un’alleanza sociale dei movimenti per la scuola pubblica, di quello per l’acqua, della campagna contro la devastazione ambientale che si oppone alle trivellazioni e dal movimento che si batte contro il piano nazionale inceneritori. Vogliamo contrastare lo stravolgimento del ruolo della scuola pubblica, la privatizzazione dell’acqua e dei beni comuni, il ricorso alle trivellazioni e la costruzione di nuovi inceneritori facendo emergere una discussione di merito su ciascuno di questi temi e anche parlando del modello sociale e dell’idea di democrazia, che costituiscono la base di fondo da cui dipartono quelle intenzioni o, al contrario, la messa in campo di impostazioni alternative.

In questo quadro, collochiamo anche l’opzione di ricorrere allo strumento referendario e alla raccolta di firme per contrastare la legge 107 sulla scuola, i processi di privatizzazione dell’acqua e dei beni comuni, la legislazione che consente le trivellazioni in mare e in terraferma, quanto prevede lo Sblocca Italia rispetto ad un piano strategico per nuovi inceneritori (questa parte andrà rimodulata sia rimandando alle singole comunicazione sui temi specifici, sia in relazione a quanto emergerà dalla riunione del Movimento rifiuti e del Forum acqua di sabato). E’ questa un’iniziativa e un percorso che muove dall’autonomia dei movimenti e dei soggetti sociali e, dunque, prevede, come fatto a suo tempo nel 2010-2011 con il referendum sull’acqua, che si costituiscano comitati promotori referendari composti da movimenti e soggetti sociali e comitati di sostegno in cui trovano posto anche i soggetti politici che concordano con tale iniziativa. Così come, per sottolineare il carattere unitario di questa campagna, si formerà un coordinamento dei comitati promotori (al di là del loro numero), che sarà il luogo politico di discussione e gestione di tutta la campagna dei referendum e della raccolta firme.

4. Avremmo voluto che in questa campagna unitaria di referendum sociali fosse a pieno titolo inserita anche la questione del lavoro e dei diritti dei lavoratori. La CGIL ha scelto di costruire un proprio percorso, sganciato dagli altri soggetti che intendono promuovere iniziative referendarie, e ha in corso una consultazione degli iscritti che terminerà il 19 marzo e nella quale si valuta anche la possibilità di costruire quesiti referendari contro il Jobs Act e l’attuale legislazione del lavoro. Per quanto ci riguarda, non rinunciamo né all’idea che, progressivamente, si possa costruire un intreccio sempre più stretto tra le questioni che oggi sono al centro dell’iniziativa e il tema del lavoro, né alla nostra autonomia di giudizio e di iniziativa anche su questo tema, una volta conosciuti gli eventuali quesiti referendari promossi dalla CGIL.

5. Con la nostra iniziativa, incrociamo anche il tema della democrazia e della sua espansione, che altro non è se non il rovescio della medaglia dell’affermazione dei diritti fondamentali. La nostra stagione dei referendum (e della raccolta firme) sociali, pur nella sua dimensione autonoma, vuole contribuire anche alla campagna per il NO alla controriforma istituzionale nel referendum confermativo che si dovrebbe tenere in autunno, con la convinzione che parlare di democrazia non significa ragionare puramente di architettura istituzionale ma del potere che hanno le persone di decidere sulle scelte di fondo che riguardano gli assetti della società. Mentre, in presenza di opinioni diverse tra noi in tema di ricorso referendario contro l’attuale legge elettorale, riteniamo utile che siano i singoli territori a scegliere se impegnarsi o meno fattivamente su ciò.

6. Proprio perchè non pensiamo che la nostra iniziativa sia autosufficiente e esaustiva delle battaglie in corso, ma anzi serva a dare spinta a processi di connessione con movimenti e soggetti sociali più ampi di quelli oggi presenti, pensiamo e ci sentiamo fortemente impegnati per l’affermazione del Sì al referendum contro la prosecuzione indefinita delle trivellazioni in mare entro le 12 miglia del prossimo 17 aprile, così come nella preparazione e nella buona riuscita della manifestazione nazionale contro il TTIP prevista per il 7 maggio.

7. Si apre una stagione di grande impegno, che necessita della mobilitazione e dell’intelligenza diffusa di tante persone nei territori. Intendiamo iniziare la raccolta delle firme contro la legge sulla scuola, contro le privatizzazioni dei beni comuni e dei servizi pubblici, contro tutte le trivellazioni in mare e in terra e contro gli inceneritori il prossimo 9 e 10 aprile, dopo aver depositato i quesiti referendari giovedì 17 marzo, e a seguito dello svolgimento di assemblee in tutti i territori e le Regioni che costituiscano i comitati unitari territoriali per i referendum (e la raccolta firme). Il 9 e il 10 aprile può e deve diventare il primo fine settimana di questa forte stagione di iniziativa, con l’idea che in 200 piazze italiane si raccolgano le firme, si costruiscano momenti di discussione e mobilitazione, si riprenda un rapporto largo con tante persone e soggetti interessati ad uscire dalla crisi affermando un’altra idea di modello sociale e di democrazia.

Il manifesto, 18 gennaio 2015 (m.p.r.)

La chiu­sura dell’Università Sta­tale di Milano per impe­dire un’assemblea ha fun­zio­nato alla grande. Si chiama auto­gol, e in rove­sciata. La Rete Atti­tu­dine No Expo non avrebbe saputo fare di meglio per “recla­miz­zare” l’appuntamento nazio­nale con­vo­cato per pre­pa­rare le mobi­li­ta­zioni in vista dell’esposizione universale. Una dop­pia pagina sul Cor­riere della Sera, pole­mi­che che con­ti­nuano ai ver­tici delle isti­tu­zioni mila­nesi, insomma una visi­bi­lità mai otte­nuta prima. Ma sem­bra acqua pas­sata ormai, com­prese le pre­ci­sa­zioni del ret­tore Gian­luca Vago che difende la sua scelta pun­tando il dito con­tro gruppi aggres­sivi e vio­lenti, e il cer­chio­bot­ti­smo del sin­daco Giu­liano Pisa­pia secondo cui la libertà di opi­nione è fon­da­men­tale così come il rispetto delle regole. Amen.

Il pro­blema ormai è un altro. Lo sanno bene le cen­ti­naia di per­sone che hanno riem­pito per ore le stanze di via Masca­gni 6. La que­stione sem­brerà banale ma è que­sta: l’Expo ci sarà, e adesso che si fa? Facile dire mobi­li­ta­zione ad oltranza, per­ché una par­te­ci­pa­zione demo­cra­tica e oriz­zon­tale la si può garan­tire solo dopo un lungo per­corso di con­fronto (e cri­tica) tra i diversi sog­getti che hanno deciso di gio­carsi la par­tita fino in fondo. Insieme. Si comin­cia il primo mag­gio, ma non basta ragio­nare su quella data. L’Expo durerà sei mesi e il dopo Expo, con la sua coda di spe­cu­la­zioni e imman­ca­bili scan­dali, potrebbe durare anni. Si deve ragio­nare sul futuro. Per il momento si sa con cer­tezza che mag­gio comin­cerà con tre o quat­tro giorni di mobi­li­ta­zione, se sarà May Day è ancora pre­sto per dirlo. Ma sicu­ra­mente sarà molto più.

Come mobi­li­tarsi? In quali forme? E con quali prio­rità? E ancora. Come è pos­si­bile tenere le fila di un movi­mento che vuole carat­te­riz­zarsi per la sua por­tata inter­na­zio­nale, pur sapendo che a volte ci sono realtà diverse che fati­cano anche solo a con­di­vi­dere un pezzo di mar­cia­piede? I nodi si scio­glie­ranno strada facendo, ma la sen­sa­zione è che il “movi­mento” abbia comin­ciato nel modo migliore. Guar­darsi in fac­cia è il primo passo. I mila­nesi hanno dovuto fare gli onori di casa a sog­getti pro­ve­nienti da tutta Ita­lia: Torino, Napoli, Roma, Abruzzo. E com­pren­dere anche altri lin­guaggi: c’erano mili­tanti dalla Gre­cia, dalla Spa­gna, dalla Fran­cia e della Ger­ma­nia. Forse la prima pic­cola avan­guar­dia internazionalista.

Ci sono tre o quat­tro que­stioni diri­menti che pos­sono reg­gere l’impalcatura di un nuovo sog­getto ancora da defi­nire. L’Expo è un inve­sti­mento che usa soldi pub­blici in piena crisi eco­no­mica strut­tu­rale; è un espe­ri­mento dal punto di vista delle poli­ti­che del lavoro, con­si­de­rando che migliaia di finti lavo­ra­tori pre­ste­ranno la loro mano­do­pera gra­tis; è, o potrebbe essere, il cavallo di Troia delle mul­ti­na­zio­nali che cer­che­ranno di imporre gli Ogm; e, più in gene­rale, è la “madre” di tutti i grandi eventi, con il suo ine­vi­ta­bile corol­la­rio di malaf­fare e pes­sima gestione del territorio.

Gli inter­venti e le assem­blee sono stati decine. Impos­si­bile darne conto con com­ple­tezza. Si è par­lato anche di Expo al fem­mi­nile, sma­sche­rando la reto­rica poli­ti­ca­mente cor­retta di “Women for Expo” per met­tere l’accento sulle migliaia di pro­sti­tute che sod­di­sfe­ranno i milioni di visi­ta­tori. “Io non lavoro gra­tis per Expo” invece è una cam­pa­gna già avviata per con­te­stare quei finti 18 mila posti di lavoro magni­fi­cati dall’evento. Quasi ovvia la par­te­ci­pa­zione del movi­mento No Tav della Val di Susa, che per vici­nanza geo­gra­fica ben cono­sce l’esito delle Olim­piadi di Torino 2006. E ancora. Ci sono i movi­menti di soste­gno all’agricoltura con­ta­dina che con­te­stano l’agrobusiness.

E poi la testi­mo­nianza di tante espe­rienze già attive nei ter­ri­tori, come La For­nace di Rho, dove si stanno costruendo i padi­glioni del luna­park pla­ne­ta­rio per ali­men­tare il pia­neta. Ancora, il movi­mento per il diritto alla casa, che dà voce alla dispe­ra­zione di chi è desti­nato a non rac­co­gliere nem­meno le bri­ciole dell’evento. Il tutto con l’obiettivo di smon­tare non solo l’esposizione uni­ver­sale in sé ma soprat­tutto la sua reto­rica di rilan­cio e rina­scita di un paese mori­bondo: la nuova Milano da sgra­noc­chiare, la crea­zione di posti di lavoro che non ci sono o chissà quale il pre­sti­gio inter­na­zio­nale. Forse già adesso non ci crede nes­suno, ma è bene che ci sia qual­cuno che si sta attrez­zando a dirlo ad alta voce.

COMUNICATO STAMPA OPZIONE ZERO 13 gennaio 2015

Grande soddisfazione per Opzione Zero che insieme ad altri comitati da anni si batte contro la superstrada a pagamento prevista a sud della Riviera del Brenta lungo il tracciato dell’Idrovia. E’ di oggi la notizia che la società GRAP spa, vorrebbe portare avanti il progetto del Raccordo Anulare di Padova (GRA) rinunciando però alla realizzazione della sua appendice, la famigerata “camionabile”.

Per Rebecca Rovoletto e Lisa Causin, portavoce di Opzione Zero, lo stralcio della “camionabile” è un fatto di grande importanza perché a questo punto viene a mancare uno degli assi di sviluppo più importanti del cosiddetto “Bilanciere del Veneto”, il progetto strategico regionale che tra autostrade e gigantesche urbanizzazioni speculative voleva stringere la Riviera del Brenta in un groviglio di cemento e asfalto. Un risultato raggiunto grazie soprattutto all’azione di denuncia e alla lotta ostinata di comitati, associazioni, cittadini e amministrazioni locali.

Furono infatti i comitati della Riviera del Brenta, tra cui anche Opzione Zero, a svelare nel 2009 legravi irregolarità nell’iter di approvazione del progetto “camionabile” ritardandone così l’approvazione per almeno 2 anni e costringendo il Governatore Luca Zaia e l’allora assessore Renato Chisso a una dura trattativa per ottenere dal Governo l’inserimento in Legge Obiettivo. Le numerose e puntuali osservazioni presentate poi dai comitati in sede di Valutazione di Impatto Ambientale, in particolare quelle depositate dai gruppi padovani in difesa del “Tavello”, costrinsero la Commissione VIA nazionale a esprimere nel 2011 un parere favorevole condizionato da pesanti prescrizioni, tanto pesanti da imporre la revisione dell’intero progetto.

Di lì a poco comparivano le prime crepe nella cricca veneta del cemento: nel gennaio 2012 veniva arrestato Lino Brentan, uomo vicino al PD presente in numerosi consigli di amministrazione di società autostradali, compresa la GRAP spa di cui era amministratore delegato. Poi nel 2013 lo scandalo MOSE, con l’arresto di Piergiorgio Baita uomo chiave della Mantovani spa, tra i principali sponsor della camionabile e a seguire il crollo di Galan e di Chisso e del modello truffaldino del “project financing” in salsa veneta. Infine, importante è stata la pressione di varie organizzazioni per ottenere il completamento dell’Idrovia.

Il Presidente di Opzione Zero Mattia Donadel commenta: «Finalmente, una picconata dopo l’altra, è crollato il castello di menzogne e anche i proponenti e la Regione hanno dovuto arrendersi all’evidenza. La camionabile lungo l’idrovia era inutile e insostenibile sotto ogni punto di vista; i volumi inconsistenti di traffico previsto non sarebbero mai stati sufficienti per ripagare l’investimento, e alla fine centinaia di milioni di debito sarebbero ricaduti sulla collettività, esattamente come sta accadendo in questi giorni per l’autostrada BREBEMI in Lombardia. Questa superstrada, così come la Orte-Mestre e le altre numerose autostrade in project financing, puzzava di marcio fin dall’inizio: quest’opera è stata pensata e voluta ad uso e consumo dei proponenti, Mantovani spa in testa, e dei politici della cricca Veneta a cominciare da Galan, Chisso e Brentan. I comitati hanno denunciato fin da subito gli impatti e il rischio di malaffare legato a quest’opera, ora Zaia non ha più scuse: stralci definitivamente la camionabile e anche il GRA dalla pianificazione regionale».

Per Opzione Zero questa vicenda dimostra che la lotta portata avanti dai comitati in questi anni è stata decisiva per salvare la Riviera dal cemento e dall’asfalto: perché infatti oltre alla camionabile sono ormai “impantanati” anche Polo Logistico, Veneto City, Città della Moda, elettrodotto Terna e Parco Commerciale di Calcroci.

Rimane un ultimo mostro da abbattere: la Orte-Mestre. Una sfida assai difficile da vincere, ma per Opzione Zero certamente non impossibile.

Il Comitato "Opzione Zero" Riviera del Brentaaderisce alla Rete nazionale Stop Orte-Mestre

Il Fatto Quotidiano, 3 novembre 2014

Subito dopo un’esondazione o una frana, che provoca morti e dispersi, le dirette televisive e gli editoriali sui principali quotidiani si sprecano. Si intervistano esperti, direttori della protezione civile, sindaci, cittadini con il badile, volontari sporchi di fango. Ma poi, passate solo poche settimane, gli “strascichi" degli episodi di dissesto idrogeologico trovano spazio a pagina 27. Così, di alluvione in alluvione e di frana in frana, ci trasciniamo una situazione che ormai è considerata facente parte dell’arredamento di “Casa Italia”.

Tra alluvioni e frane negli ultimi 50 anni sono state quasi 7000 mila le vittime mentre dal dopoguerra ad oggi i danni sono stati quantificati in oltre 60 miliardi di euro. I comuni ad elevata criticità idrogeologica sono 6.631, per una popolazione potenzialmente a rischio pari a 5,8 milioni di persone. Numeri che, da soli e senza ulteriori commenti, studi o approfondimenti, dovrebbero incollare la politica alle proprie responsabilità. E invece la politica, dopo essersi recata ai funerali delle vittime per piangere lacrime di coccodrillo, una volta uscita dalle chiese e terminato il solito balletto dello scaricabarile, entra puntualmente nei consigli comunali, regionali o dei ministri, per approvare cementificazioni di ogni genere, porti, grandi opere, trafori.

Interventi contro il dissesto idrogeologico? Sempre in fondo alla lista delle priorità.

Ma la goccia ha oggi fatto davvero traboccare il vaso. Ed i cittadini, i comitati, gli alluvionati, hanno deciso di passare dalla denuncia del giorno dopo alla proposta attiva, all’autorganizzazione dal basso. Stanchi di essere malsopportati, trattati come un problema, ciascuno isolato nel proprio territorio dissestato, hanno deciso di unirsi e di costituirsi in “massa critica”, per obbligare le istituzioni a fare concretamente il proprio dovere e soprattutto a farlo con giustizia e correttezza, mettendo fuori gioco le politiche di intervento legate a logiche discrezionali che spesso creano danni ulteriori e corruzione.

La rete nazionale si chiama “Mai più”, mai più bombe d'acqua e disastri ambientali – Movimento e rete delle comunità dei fiumi e del popolo degli alluvionati” ed ha le idee molto chiare: ricostruire il rapporto fra le comunità e i territori attraversati da corsi d'acqua; cambiare il modello economico e di gestione del territorio concausa del dissesto idrogeologico; ottenere trasparenza ed equità degli interventi.

In poche parole, rimuovere lo spesso strato di fango accumulato in tutti questi anni lungo tutto lo stivale. Alluvione dopo alluvione.

Il Fatto Quotidiano, 15 ottobre 2014

Ieri, dodici associazioni (Italia Nostra, Fai, Salviamo il Paesaggio, WWF...) hanno presentato le loro osservazioni e i loro rilievi allo Sblocca Italia, “che si configura come un attacco all'integrità del nostro territorio, del nostro paesaggio e dei Centri Storici nel loro insieme”. Per oggi e per domani queste e molte altre associazioni organizzano un presidio davanti alla Camera dei Deputati, una mobilitazione nazionale il cui titolo è eloquente: “Blocca lo Sblocca Italia”. Sempre domani, io ed altri autori (Salvatore Settis, Paolo Maddalena, Carlo Petrini, Vezio De Lucia, Sergio Staino, Elle-Kappa e molti altri) presenteremo alla Camera l'instant e-book Rottama Italia. Perché lo Sblocca Italia è una minaccia la democrazia e il nostro futuro”, che si scarica gratuitamente dal sito di Altreconomia.

Anche più che per l'articolo 18, la vicenda parlamentare dello Sblocca Italia sarà la vera cartina di tornasole della possibilità di un'alternativa al blocco Renzi-Berlusconi. Noi chiederemo con forza che il governo non ponga, per l'ennesima volta, la questione di fiducia: perché non può costringere i suoi parlamentari a scegliere tra la fedeltà al partito e la salute dei propri figli e nipoti. Non può ridurre a una questione disciplinare il futuro stesso dell'ambiente in cui vivremo. Se lo farà, capiremo chi antepone la religione del partito (e l'attaccamento alla propria poltrona) alla libertà di mandato che la Costituzione garantisce ai parlamentari. E sarà un punto di non ritorno: chi vota lo Sblocca Italia non può avere diritto di cittadinanza in uno schieramento progressista, comunque lo si intenda. Anche perché, come è successo sul diritto all'acqua, intorno a un referendum sul territorio e sull'ambiente si può ricostruire una Sinistra che ambisca a riportare alle urne la metà dell'Italia che da tempo non vota. Ma andiamo con ordine: ora si tratta di bloccare in aula lo Sblocca Italia, e la colata di corruzione e cemento che sta per rovesciare sulle nostre vite.

Comune.info, 7 ottobre 2014

1.100 eventi in 22 Paesi, e oltre 50 città mobilitate in tutta Italia: dalla Valtellina a Monopoli, poi Firenze, Torino, Roma, Napoli e Milano, dove membri del parlamento europeo, di quelli di molti Paesi asiatici, insieme ad un centinaio di attivisti, sindacalisti, contadini e cittadini che partecipavano al Forum dei Popoli di Asia ed Europa hanno dato vita ad un flash mob di protesta. La Giornata Europea d’azione contro T-tip, il Trattato transatlantico di liberalizzazione di commercio e investimenti tra Usa e Ue ha riscosso un grande successo in tutta Europa e deve suonare come un segnale d’allarme alla Commissaria europea designata al commercio Cecilia Malmström, che condurrà a breve le trattative, ma anche per il governo italiano, tra i più zelanti sostenitori del trattato come presidenti di turno dell’Unione.

Per questo la Campagna Stop T-tip Italia ha convocato il 14 ottobre a Roma, alle 15,30 in piazza Madonna di Loreto, un presidio di contestazione al seminario cui Renzi ha invitato i ministri al Commercio d’Europa e i negoziatori d’Europa e Usa, a discutere con Marcegaglia, Marchionne e imprese varie le sorti meravigliose e progressive legate al T-tip.

Da Helsinki a Granada, da Brest a Bucharest, migliaia di persone hanno protestato contro le liberalizzazioni selvagge previste dal T-tip ma anche dai suoi omologhi Ceta (negoziato e pressoché concluso tra Ue e Canada), TiSA (la liberalizzazione globale dei servizi lanciata in chiave anti Paesi emergenti) e T-tip (l’attacco Usa ai mercati del Pacifico). A Londra un lungo striscione è stato tirato giù da Westminster Bridge, a Parigi lo “squalo” delle privatizzazioni ha attraversato le vie del centro seguito da migliaia di attivisti, e iniziative simili si sono moltiplicate a vista d’occhio fino alle ultime ore, confermando che un numero crescente di cittadini e organizzazioni è pronto a una resistenza ostinata contro questa operazione di trasferimento di potere politico dalle mani dei cittadini a quelle di un gruppo ristrette d’imprese e di élites di potere per via commerciale.

La diretta sui social network è stata martellante: in questa pagina del sito europeo si possono trovare un gran numero dei twitter postati ieri dai diversi presidi, e ricostruire la convulsa giornata dell’11 Ottobre raccontata anche sul sito della Campagna italiana www.stop-ttip-italia.net e sul suo profilo facebook. A partecipare al flash mob italiano molti parlamentari europei, tra i quali Eleonora Forenza, Lola Sanchez ed Helmut Scholz, il loro capogruppo al Gue-Ngl, ma anche parlamentari asiatici come il grande economista filippino altermondialista Walden Bello, oggi protagonista della battaglia istituzionale nel suo Paese. «Tutti questi trattai sono diversi ma hanno lo stesso obiettivo – ha sottolineato intervenendo all’iniziativa -: istituzionalizzare i diritti delle corporations facendoli prevalere su quelli degli Stati e dei loro cittadini. Sono azioni animate da un atteggiamento ideologico, quasi di fede nei confronti del progetto neoliberista come massima espressione dei valori, e non solo degli interessi, dell’Occidente. Il neoliberismo è come un vampiro – ha concluso Bello – pensavamo che fosse completamente screditato e sepolto dalla crisi del 2009, e invece è risorto perché è resiliente. Ma siamo pronti a colpirlo lungo tutte le sue reincarnazioni: subordinare il mercato alla società e all’ambiente, è quello che chiediamo, per cui lotteremo, senza arrenderci mai».

Coraggio e Terra!, 6 agosto 2014

Ricorrere alla vendita di beni pubblici con il pretesto di “fare cassa” è come dichiarare di non essere in grado di amministrare o di far amministrare il patrimonio agricolo del Paese.

Come sigle, associzioni e cittadini attivi nella difesa e per la valorizzazione delle #TerrePubbliche nel contesto romano e laziale, siamo tenuti ora ad un salto di qualità: adesso sono di tutta Italia le terre pubbliche concretamente minacciate di vendita. Sulla vendita delle terre pubbliche, infatti, si chiude una porta e si apre un portone.

Mentre molte Regioni vanno nella direzione di regolamentare affitti e bandi per la gestione virtuosa del patrimonio pubblico – escludendo l’ipotesi di alienazione – nel panorama nazionale il Ministero delle Politiche Agricole (ministro Maurizio Martina), di concerto con quello di Economia e Finanze (ministro Padoan), firma il decreto dal titolo“Terrevive” … vive ancora per poco!

Perché oltre a proporre la vendita dell’80 per cento del patrimonio agricolo finora censito tra i beni del Demanio e degli Enti pubblici, ne garantisce un vincolo d’uso di soli vent’anni.Un piatto ghiotto, quindi, per chi voglia fare speculazione (di natura anche non agricola) su terre vendute sotto costo, e dovendo aspettare solo 20 anni per il cambio di destinazione d’uso.

Si dice che la decisione sia in favore anche del ricambio genrazionale e delle nuove generazioni, ma i terreni di valore superiore ai 100.000 euro saranno venduti con asta pubblica, sbaragliando ogni possibilità di accesso a giovani agricoltori, dando altre terre (inoltre pubbliche) a chi terre ed imprese già ne ha, avendo la capacità di fare acquisti di così grande valore. Un favore ai soliti noti, alle grandi famiglie d’Italia e ai loro rampolli. Nessun impegno sull’agricoltura e nessuna convenienza economica reale per il Paese.

Una istituzione che vende beni pubblici, perde le sue garanzie di credibilità finanziaria, perde patrimonio non recuperabile in altro modo, perde risorse su cui costruire uno sviluppo trasparente per il bene comune. Nelle manifestazioni di ormai due anni fa sotto il Ministero chiedevamo di pubblicare gli elenchi dei terreni del Demanio e degli Enti, ma non per favorirne la vendita. Ora più di 5000 ettari rischiano per l’80% l’alienazione, in attuazione dell’articolo 66 del decreto 1/2012.

Manteniamo l’attenzione sul tema: pianificheremo operazioni comunicative, concrete e coordinate, valutando insieme proposte. Fate girare questo appello, se pensate sia utile.

omune.info, 1 ottobre 2014 (m.p.r.)

All’inizio dell’estate 2009, quindi a circa un anno dal manifestarsi dei primi segnali della crisi, l’allora presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, invocò a gran voce un provvedimento in grado di far “ripartire l’economia” garantendo allelobbies economiche e finanziarie l’apertura di nuove fette di mercato. Veniva individuata, come soluzione più efficace, la definitiva privatizzazione della gestione dei servizi pubblici locali. Il governo in carica non si fece attendere e, già nel primo consiglio dei ministri dopo la pausa estiva, licenziò il cosiddetto“Decreto Ronchi” tramite il quale si obbligavano di fatto gli enti locali a mettere a gara il servizio del trasporto pubblico locale, la gestione dei rifiuti e il servizio idrico integrato o comunque a rendere minoritaria la partecipazione pubblica nelle aziende.

Il movimento per l’acqua per tutto l’autunno portò avanti la campagna “Salva l’acqua” raggiungendo l’importante risultato di mettere al centro del dibattito pubblico il tema della privatizzazione dell’acqua e dei beni comuni. Nonostante ciò il decreto divenne legge. Quei mesi di mobilitazione risultarono, però, utili alla costruzione della campagna referendaria avviata con la raccolta firme nella primavera del 2010 e proseguita fino al voto del 12 e 13 giugno 2011 con lo straordinario risultato di 27 milioni di italiane e italiani che decisero di schierarsi a difesa dell’acqua e dei beni comuni.

La rilevanza di quel risultato, tra le altre cose, sta nell’aver messo in discussione alla radice le politiche neoliberiste ponendo un argine al dilagare del mercato. Proprio per questo, sin dalle prime settimane, l’esito referendario fu messo sotto attacco. Le istituzioni europee sono state le prime ad accorgersene. E quando c’è da difendere gli interessi dei capitali finanziari le risposte non si fanno attendere. Il 5 agosto Trichet e Draghi, a capo della Bce, inviarono una lettera al governo in cui si ribadiva l’esigenza di rilanciare “una complessiva, radicale e credibile strategia di riforme, (…) attraverso privatizzazioni su larga scala“. Ovvero, è necessario dare immediatamente un segnale forte per cui le formule liberiste alla base delle politiche economiche europee non possono subire rallentamenti, a maggior ragione se questi derivano dall’espressione della volontà popolare tramite strumenti di democrazia diretta come il referendum.

Il governo Berlusconi già traballante, non ci mise più di una settimana a dare un segnale incontrovertibile di sudditanza alla Bce e ai suoi diktat. Il 13 agosto varò la cosiddetta manovra economica bis, uno dei provvedimenti più irrispettosi delle regole democratiche che il nostro paese abbia conosciuto. L’articolo 4 era, di fatto, uno schiaffo ai 27 milioni di votanti al referendum. Infatti veniva riproposta la stessa normativa abrogata dai referendum, pur con la foglia di fico di tenerne fuori l’acqua. Solo un anno dopo la Corte costituzionale, sollecitata da diverse regioni, censurò nettamente quell’articolo proprio perché in contraddizione con l’esito referendario.

Oggi, a distanza di tre anni, ci troviamo in una situazione molto simile. La novità più pesante, però, è l’approfondimento della crisi economica e sociale. Nonostante ciò al governo italiano vengono imposte le solite ricette che passano attraverso riforme strutturali. Riforme che si basano sempre sugli stessi principi: deregolamentazione, riduzione dei diritti, privatizzazioni e in generale allargamento della sfera d’intervento del privato a scapito di quella pubblica. Da ciò deriva che il governo attuale, entro il termine dei sei mesi di presidenza di turno dell’Ue, quindi entro fine anno, deve necessariamente portare qualcosa al tavolo della trattativa europea. Per questo sta accelerando sulle riforme istituzionali, su quelle che riguardano il mondo del lavoro, la scuola, il rilancio delle privatizzazioni e più in generale una rinnovata mercificazione del territorio e dei beni comuni.

Ed ecco che la storia si ripete, anche questa volta per garantire gli interessi dei mercati e delle lobbies finanziarie. Come nel 2011, al rientro dalla pausa estiva, il consiglio dei ministri vara un decreto, lo “Sblocca Italia”, che segnala un deciso cambio di fase nelle politiche governative costruendo un piano complessivo di aggressione ai beni comuni tramite il rilancio delle grandi opere, misure per favorire la dismissione del patrimonio pubblico, l’incenerimento dei rifiuti, nuove perforazioni per la ricerca di idrocarburi e la costruzione di gasdotti, oltre a semplificare e deregolamentare le bonifiche.

Ma la continuità con il passato appena descritto si apprezza nel fatto che questo provvedimento mira di nuovo alla privatizzazione del servizio idrico. Infatti, si modifica profondamente la disciplina riguardante la gestione dell’acqua arrivando ad imporre un unico gestore in ciascun ambito territoriale e individuando, sostanzialmente, nelle grandi aziende e multiutilities, di cui diverse già quotate in borsa, i poli aggregativi.

Ciò si configura come un primo passaggio propedeutico alla piena realizzazione del piano di privatizzazione e finanziarizzazione dell’acqua e dei beni comuni che il governo sembra voler definire compiutamente con la Legge di Stabilità. In questo provvedimento, probabilmente, verranno inserite quelle norme, in parte già presenti nelle prime versioni del decreto circolate all’indomani del consiglio dei minsitri di fine agosto, volte a imporre agli Enti Locali la collocazione in borsa delle azioni delle aziende che gestiscono servizi pubblici, oltre a quelle che costringono alla loro fusione e accorpamento secondo le prescrizioni previste dal piano sulla “spending review”. Si arriverebbe, addirittura, a costruire un vero e proprio ricatto nei confronti degli Enti Locali i quali, oramai strangolati dai tagli, sarebbero spinti alla cessione delle loro quote al mercato azionario per poter usufruire delle somme derivanti dalla vendita, che il governo pensa bene di sottrarre alle tenaglie del patto di stabilità.

Con il decreto “Sblocca Italia” si svelano, dunque, le reali intenzioni del governo, ovvero la diretta consegna dell’acqua e degli altri servizi pubblici locali agli interessi dei grandi capitali finanziari. Infatti, la strategia governativa, pur ammantandosi della propaganda di riduzione degli sprechi e dei costi della politica mediante lo slogan “riduzione delle aziende da 8.000 a 1.000”, non garantirà certamente l’interesse collettivo ma solo quello economico e di massimizzazione dei profitti delle grandi aziende multiutilities che già gestiscono acqua, rifiuti e trasporto pubblico locale.

La battaglia per il diritto all’acqua, che il Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua porta avanti da quasi dieci anni, si inserisce esattamente in questo contesto e finora ne ha saputo cogliere i limiti e le debolezze, riuscendo ad ottenere diverse vittorie, a partire da quella referendaria. E’ evidente, però, che oggi si rischia di essere costretti ad una posizione difensiva, dovuta ad un nuovo, profondo e determinato attacco, che il governo intende mettere in campo in questo autunno.

Da una parte risulta fondamentale riattivare l’interlocuzione, dove possibile, con gli enti locali che continuano a perdere la loro autonomia decisionale ed economica, attraverso i vincoli del patto di stabilità e la riorganizzazione conseguente alla legge Del Rio sulle Provincie e città metropolitane. Dall’altra bisogna ripartire dalla ricchezza di quello che il movimento per l’acqua ha saputo mettere in campo negli ultimi tre anni, per rilanciare una prospettiva nazionaleper il diritto all’acqua e per la difesa dei beni comuni.

Più in generale per opporsi a questa strategia governativa che, in perfetta sintonia con i governi precedenti, punta alla piena attuazione delle politiche liberiste, diviene determinante rilanciare visioni alternative, costruire un’alleanza sociale per i beni comuni che, a partire dalla valorizzazione delle singole lotte, dia vita ad una mobilitazione sociale diffusa e ampia.

Paolo Carsetti è membro del Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua



Il cosiddetto decreto “Sblocca-Italia” e - in itinere - il ddl Lupi rappresentano un attacco scomposto all'integrità del nostro territorio e quindi del nostro Paesaggio e dei Centri Storici nel loro insieme. In queste ultime settimane lo stesso MIBACT è stato investito da una vera controriforma che stravolge sostanzialmente la sua stessa ragione d’essere e che rischia di provocare la dissoluzione del nostro sistema di tutela.

Ispirati al mantra della "semplificazione" e della “lotta alla burocrazia”, i due provvedimenti rispondono alla medesima logica che si può sintetizzare nell'abolizione/riduzione generalizzata di procedure di controllo. Con il pretesto della rapidità, ogni decisione converge su un decisore unico, si annullano le verifiche democratiche (processi partecipativi), si opacizzano i passaggi e, più in generale, si abbandonano le pratiche di pianificazione di ogni tipo, a partire da quella territoriale.

Nello “Sblocca Italia” si ricorre alla costante rimozione di ogni verifica e controllo giungendo ad introdurre, in modo generalizzato, il silenzio assenso del MIBACT, annullando anche di fatto l’archeologia preventiva riducendo la funzione del Ministero a quella di mero osservatore. Il sospetto è che la cosiddetta “riforma del MIBACT” risulti come attestazione di una radicale trasformazione del Ministero confinato ad occuparsi, con poche risorse, solo di musei e monumenti considerati più rappresentativi, con esclusive finalità ludico-turistiche.

Di fronte alla gravità della minaccia rappresentata dallo “Sblocca-Italia” e dal ddl Lupi, Italia Nostra si rivolge al Presidente della Repubblica, al Parlamento, al Ministro dei Beni Culturali e al Ministro dell’Ambiente, a tutti gli uomini di cultura e soprattutto a tutti i cittadini che hanno a cuore le sorti del territorio in cui vivono, affinché tali provvedimenti siano cancellati e sostituiti con leggi ispirate alla tutela integrale del paesaggio e che rilancino l'occupazione anche e soprattutto attraverso quell'opera - urgentissima e indispensabile - di manutenzione territoriale e riqualificazione urbana da troppo temporimandata e la cui mancanza è causa di gravissimi danni economici e sociali, oltre che ambientali e culturali.

Roma. Solo venerdì è stato pubblicato il testo del cosiddetto decreto "Sblocca Italia". Ci sono voluti quasi 15 giorni prima che venisse alla luce essendo stato licenziato nel Consiglio dei Ministri del 29 Agosto scorso. Un lungo travaglio che, però, non è servito per migliorarne il contenuto. Anzi si tratta di un provvedimento che segnala un deciso cambio di fase nelle politiche governative costruendo un piano complessivo di aggressione ai beni comuni tramite il rilancio delle grandi opere, misure per favorire la dismissione del patrimonio pubblico, l'incenerimento dei rifiuti, nuove perforazioni per la ricerca di idrocarburi e la costruzione di gasdotti, oltre a semplificare e deregolamentare le bonifiche.

Ma ciò che, come Forum dei Movimenti per l'Acqua, c'interessa maggiormente evidenziare è la gravità di quelle norme che, celandosi dietro la foglia di fico della mitigazione del dissesto idrogeologico (Capo III, art. 7), mirano di fatto alla privatizzazione del servizio idrico.
Infatti, con questo decreto si modifica profondamente la disciplina riguardante la gestione del bene acqua arrivando ad imporre un unico gestore in ciascun ambito territoriale e individuando, sostanzialmente, nelle grandi aziende e multiutilities, di cui diverse già quotate in borsa, i poli aggregativi.

Ciò si configura come un primo passaggio propedeutico alla piena realizzazione del piano di privatizzazione e finanziarizzazione dell'acqua e dei beni comuni che il Governo sembra voler definire compiutamente con la Legge di Stabilità. In questo provvedimento, probabilmente, verranno inserite quelle norme, in parte già presenti nelle prime versioni del decreto circolate all'indomani del Consiglio dei Ministri di fine agosto, volte a imporre agli Enti Locali la collocazione in borsa delle azioni delle aziende che gestiscono servizi pubblici, oltre a quelle che costringono alla loro fusione e accorpamento secondo le prescrizioni previste dal piano sulla “spending review”. Si arriverebbe, addirittura, a costruire un vero e proprio ricatto nei confronti degli Enti Locali i quali, oramai strangolati dai tagli, sarebbero spinti alla cessione delle loro quote al mercato azionario per poter usufruire delle somme derivanti dalla vendita, che il Governo pensa bene di sottrarre alle tenaglie del patto di stabilità.

Con il decreto “Sblocca Italia” si svelano, dunque, le reali intenzioni del Governo, ovvero la diretta consegna dell'acqua e degli altri servizi pubblici locali agli interessi dei grandi capitali finanziari. Infatti, la strategia governativa, pur ammantandosi della propaganda di riduzione degli sprechi e dei costi della politica mediante lo slogan “riduzione delle aziende da 8.000 a 1.000”, non garantirà certamente l'interesse collettivo ma solo quello economico e di massimizzazione dei profitti delle grandi aziende multiutilities che già gestiscono acqua, rifiuti e trasporto pubblico locale.

Come Forum dei Movimenti per l'Acqua intendiamo denunciare con forza la gravità di questo provvedimento che si pone esplicitamente in contrasto con la volontà popolare espressa con il referendum del 2011 e dichiariamo sin da subito che ci mobiliteremo per contrastare il tentativo di privatizzazione dell'acqua e dei beni comuni, anche rilanciando un nuovo modello di pubblico che guardi alla partecipazione diretta della cittadinanza alla gestione come elemento qualificante e realmente innovativo.

Il Fatto Quotidiano, 18 agosto 2014

Roma. “Palazzinaro amaro sei un palazzinaro baro per tutto il male fatto a Roma adesso paghi caro al funerale del tuo centro commerciale è bellissimo vedere il nostro lago naturale”.

Cantano così gli “Assalti Frontali” con “Il Muro del canto”, insieme a migliaia di attivisti, cittadini e comitati. I Comitatini di tutta Italia, tanto cari a Renzi e ad i suoi predecessori, sbeffeggiati, derisi e spesso manganellati.

Cosa c’entra l’underground con le buone pratiche? C’entra. C’entra molto. Perché le buone pratiche, spesso, nascono dal basso, dai movimenti, da chi spinge per migliorare la qualità della vita senza ricoprire cariche amministrative o politiche. Da chi scrive canzoni come Militant A, voce degli Assalti Frontali.

Sull’area dismessa della ex fabbrica tessile Snia Viscosa,10 mila metri quadri dove hanno lavorato negli anni migliaia di persone, si erano posate le mire della solita speculazione edilizia. Capirai! Pieno centro di Roma! Tra Termini e Porta Maggiore! Rendita Urbana. Quella che un tempo si definiva “parassitaria”. Una prassi consolidata. Protagonista indisturbato: il partito del cemento.

Ma ironia della sorte, “in mezzo ai mostri de cemento” è spuntato un lago naturale, di acqua minerale. E sono state proprio le ruspe che iniziarono a scavare a provocare la formazione del lago. Volevano gettare le fondamenta di un bel centro commerciale ed invece hanno liberato l’acqua con le bollicine. I proprietari dell’area hanno cercato di rimediare, pompare l’acqua, nascondere. Ma ormai quel lago era già diventato un bene comune. Una risorsa della città, di Tor Pignattara.

Così sono iniziate vent’anni di battaglie. Ambientalisti, comitato di quartiere e Centro Sociale Ex Snia si sono opposti con tenacia alla realizzazione dell’ennesima colata di cemento ed in difesa del nuovo ecosistema. Mobilitazioni, manifestazioni, gite con canotto e canoa in mezzo ai pilastri dell’ex fabbrica, con cormorani e martin pescatori. La richiesta incessante ed insistente: lago per tutti e cemento per nessuno .
Il Comune si è mosso. Il proprietario si è opposto. Ma questa volta la battaglia la vincono i cittadini, i comitati, i cantanti. Il Campidoglio ha aperto il varco sulla via Prenestina avviando di fatto l’esproprio del terreno e del lago. E come canta Daniele Coccia, “In mezzo ai mostri de cemento st’acqua mò riflette er cielo, È la natura che combatte, e sto quartiere è meno nero, In mezzo ai mostri de cemento il lago è ‘n sogno che s’avvera, È la natura che resiste, stanotte Roma è meno nera”

omune-info.net, 16 maggio 2014

Tre anni fa, nel giugno 2011, la maggioranza assoluta del popolo italiano votò un referendum per dire che l’acqua e i beni comuni, in quanto essenziali alla vita delle persone e garanzia di diritti universali, dovevano essere sottratti alle regole del mercato e riconsegnati alla gestione partecipativa delle comunità locali. Si è trattato di una cesura storica contro la favola, da decenni imperante, del pensiero unico dal mercato e della promessa di ricchezza collettiva prodotta dal suo libero dispiegarsi, senza vincoli di sorta.

Venne allora decretata la fine del consenso all’ideologia del “privato è bello”, mentre la miriade di conflittualità sociali aperte sulla difesa dei beni comuni e dei territori suggerì la possibilità e l’urgenza di un altro modello sociale. Fu allora che, complice la crisi, artificialmente costruita attorno alla trappola del debito pubblico -in realtà una crisi del sistema bancario, scaricata sugli Stati e fatta pagare ai cittadini- venne proposto, con rinnovata forza e ferocia, il paradigma del “privato” che, anche se non più bello, va comunque accettato come “obbligatorio e ineluttabile”.

L’obiettivo, tuttora in campo, è la consegna della società, della vita delle persone e della natura ai grandi capitali accumulatisi in trent’anni di speculazioni finanziarie, che, per uscire dal circolo vizioso di bolle che preparano altre bolle, necessitano di investimenti su asset nuovi e altamente profittevoli, beni comuni in primis.

Ed è esattamente nella facilitazione del raggiungimento di questo obiettivo che si colloca la strategia delle elite politico-finanziarie al comando dell’Unione Europea e l’azione compulsiva del governo Renzi: privatizzazione di tutti i beni pubblici, siano essi patrimonio o servizi, deregolamentazione totale delle condizioni di lavoro, messa a valorizzazione finanziaria del territorio e della natura, piena libertà di movimento per i capitali finanziari e messa a disposizione degli stessi della ricchezza sociale e delle risorse a disposizione.

In attesa che, con il Partenariato Transatlantico sul Commercio e gli Investimenti (Ttip), in piena e segreta negoziazione fra Ue e Usa, si crei la più grande area di libero scambio del pianeta realizzando l’utopia delle multinazionali.

Che tutto questo necessiti di una drastica riduzione della democrazia, appare evidente da diversi fattori di stretta attualità: le proposte di riforme istituzionali e di una nuova legge elettorale, tese all’azzeramento di ogni ruolo dell’attività parlamentare e al rafforzamento autoritario dei poteri degli esecutivi;l’attacco definitivo alla funzione pubblica e sociale degli enti locali, con l’obbligo, sotto la scure del patto di stabilità, della messa sul mercato di patrimonio, servizi e territorio; la repressione messa in campo contro i movimenti sociali, dalle assurde accuse di terrorismo per gli attivisti No Tav alla sconsiderata gestione dell’ordine pubblico nelle piazze di Roma e Torino.

Siamo di fronte alla crisi sistemica di un modello che, per poter proseguire, è necessitato ad aggredire i diritti sociali e del lavoro e ad impossessarsi dei beni comuni. Le conseguenze di questa perseveranza nelle politiche di austerità sono più che evidenti: un drammatico impoverimento di ampie fasce della popolazione, sottoposte a perdita del lavoro, del reddito, della possibilità di accesso ai servizi, ai danni ambientali e ai conseguenti impatti sulla salute, con preoccupanti segnali di diffusione di disperazione individuale e sociale.

Ma a tutto questo è giunto il momento di dire basta. In questi anni, dentro le conflittualità aperte in questo paese, sono maturate esperienze di lotta molteplici e variegate, tutte accomunate da un comune sentire: non vi sarà alcuna uscita dalla crisi che non passi attraverso una mobilitazione sociale diffusa per la riappropriazione sociale dei beni comuni, della gestione dei territori, della ricchezza sociale prodotta, di una nuova democrazia partecipativa.

Sono esperienze che, mentre producono importantissime resistenze sui temi dell’acqua, dei beni comuni e della difesa del territorio, dell’autodeterminazione alimentare, del diritto all’istruzione, alla salute e all’abitare, del contrasto alla precarietà della vita e alla mercificazione della società, prefigurano la possibilità di una radicale inversione di rotta e la costruzione di un altro modello sociale e di democrazia.

Grazie ad una proposta avanzata dal Forum italiano dei movimenti per l’acqua, tutte queste esperienze si sono incontrate, si sono riconosciute e hanno giudicato maturo il tempo di prendere parola, per riaprire lo spazio pubblico della speranza e dell’alternativa, promuovendo tutte assieme una manifestazione nazionale a Roma per sabato 17 maggio.

Un appuntamento collettivo - radicale nei contenuti, pacifico, colorato e partecipativo nelle pratiche - che chiama le donne e gli uomini di questo paese a dire, tutte e tutti assieme, come non vi sia alcuna uscita possibile dalla crisi, perseguendo le politiche di austerità dell’Unione Europea e del Governo Renzi, fatte di Fiscal Compact, patto di stabilità, pareggio di bilancio, svendita del patrimonio pubblico e dei territori, precarizzazione e privatizzazioni.

Una grande alleanza sociale dal basso, aperta e inclusiva, per riappropriarsi della possibilità di un futuro diverso, e per affermare come, tra la Borsa e la vita, abbiamo scelto la vita. Con l’allegria di chi vede l’orizzonte, con la determinazione di chi conosce l’insopportabilità del presente.

Il Fatto Quotidiano, 2 maggio 2014 (m.p.r)

L’Isola di Poveglia è un pallino di sette ettari nella Laguna Veneta, fino a tre settimane fa non interessava nessuno. Nella cartografia delle follie italiane oggi occupa invece una posizione di prima grandezza. Il fatto è che intorno a questo lembo di terra, abbandonato e buono per storie di fantasmi, succedono cose decisamente paranormali. Dopo anni di disinteresse, lo Stato proprietario ha definitivamente appeso la ragione al chiodo dell’incasso e l’ha messa all’asta, come fosse un quadro. Potrebbe diventare l’ennesimo albergo cinque stelle, accessibile solo a danarosi clienti come avvenuto già nella vicina isola di San Clemente, alle Grazie e all’atollo di Sacca Sessola. Follia pura. Ma ecco che i veneziani meno arresi si sono candidati a sventare l’operazione con un’altra follia: comprarsi tutti un pezzetto dell’isola per impedire la speculazione a favore di pochi, privatizzare un bene pubblico perché resti tale, a disposizione di ciascuno.

L’avventura inizia come una provocazione in una bar della Giudecca. In poche ore l’affare utopico si rivela contagioso e la notizia fa il giro del mondo. Ne parlano il Times, il New York Times, il Guardian, lo Spiegel, la tv francese e tanti altri. Molti mettono mani al portafogli per ricomprare collettivamente qualcosa che era già loro: in meno tre settimane l’associazione “Poveglia per tutti” raccoglie oltre 3mila sottoscrizioni, più alcune donazioni superiori alla quota minima. Ed è una notizia incoraggiante per i suoi promotori. Per essere ammessi alla seconda fase, quella del rilancio, si stima servano circa 350-400mila euro. Grossomodo il valore minimo ipotizzato dal Demanio. Il bando per partecipare scade tra quattro giorni. Migliaia di potenziali micro-proprietari aspettano col fiato sospeso, gli altri dovranno affrettarsi. Il countdown, è ormai iniziato.

Il motto dell’associazione è “99X99″, tanti euro necessari alla sottoscrizione minima quanti gli anni di durata massima della concessione. Funziona così. In caso di vittoria Poveglia sarà trasformata in un giardino lagunare liberamente accessibile a tutti, svincolato da regole di produttività. Tutti gli utili eventuali saranno reinvestiti sull’isola stessa. Sarà poi gestita in modo no-profit ed eco-sostenibile. La quota sottoscritta darà diritto a partecipare equamente alle decisioni sulle sorti di Poveglia, mai a una qualche forma si partecipazione agli utili, né a quote azionarie e né a fonte di privilegio per gli associati. Se viceversa l’aggiudicazione non andrà in porto, al momento del rientro del deposito cauzionale la quota di sottoscrizione straordinaria di 80 euro sarà restituita ai soci mentre i restanti 19 saranno serviti per coprire le spese di registrazione dell’associazione, del conto corrente, di partecipazione al bando. Il comitato e gli altri eventuali compratori avranno tempo fino al 6 maggio. Passeranno alla fase di rilancio solo le cinque migliori offerte economiche.

Comunque vada la sfida è stata in parte già vinta. Almeno come esperimento sociale di riappropriazione della cosa pubblica attraverso l’azionariato e la mobilitazione popolare. Alla prima serata di presentazione dello strano gruppo d’acquisto le adesioni sono state tali da superare i 20mila euro necessari a partecipare alla gara e l’associazione ha raccolto intorno a sé un centinaio di volontari tra professionisti ed esperti in varie materie. Si è scoperto così, grazie al gruppo tecnico, che in realtà il piano regolatore di Venezia prevede che il 30% della superficie delle isole resti ad uso pubblico. Anche di quelle in mano a privati che respingono malamente i veneziani che tentano l’approdo a luoghi da sempre pubblici ma privatizzati di punto in bianco, sempre a favore del miglior offerente.

La corsa al tesseramento è stata un crescendo, grazie a una decina di banchetti di raccolta tra Venezia, Lido e Mestre e al sito “message in a bottle”. Sono arrivate anche adesioni da parte di turisti stranieri e di personalità della cultura, come lo scrittore Giancarlo De Cataldo e l’esperto di storia veneziana e di misteri Alberto Toso. E tra i misteri regna sovrano il disinteresse dello Stato per un luogo che ha un’importante storia alle spalle. L’ottagono fortificato che protegge l’isola è il suo biglietto da visita: risale al 1380 ed è il più antico dei cinque presenti in Laguna. Se ne sono occupati, invece, i format-spettacolo anglossassoni che hanno sfruttato la fama di Poveglia come isola maledetta, abitata da fantasmi, che è poi una suggestione dello stato di abbandono che si salda alle funzioni cui l’isola è stata destinata nel tempo, di lazzaretto prima, cronicario per lungo degenti e sanatorio psichiatrico fino al 1979. Sono approdati qui cameramen, fotografi e giornalisti da tutti i continenti, attratti dall’immagine di struggente decadenza della vegetazione che si riprende a forza le antiche mura, in un groviglio di riflessi romantici e terribili sullo specchio d’acqua. Certo, nessuno avrebbe immaginato che un giorno questo gioiello dimenticato, buono per una cartolina e un pomeriggio a occhi spalancati, sarebbe stato battuto all’asta come un quadro.

Ma la vicenda è apertissima. Da ultimo, quasi fuori tempo massimo, è arrivata l’adesione del sindaco, Giorgio Orsoni. Il Comune di Venezia ha certificato, dopo aver incontrato l’associazione, l’intenzione di sostenere apertamente “Poveglia per tutti”. A ilfattoquotidiano.it Orsoni racconta che sono in corso tentativi di intercettare l’isola a ldilà dell’esito della gara, attraverso il meccanismo del trasferimento di beni storici e architettonici nell’ambito del federalismo demaniale. “Le due strade non sono alternative – spiega Orsoni – hanno l’obiettivo di assicurare l’isola alla città e scongiurare usi impropri che possano derivare dall’aggiudicazione della gara”. Il bando, del resto, prevede che la commissione valuti anche l’interesse pubblico dei progetti. Ma cosa sia esattamente non è poi così chiaro, visto che il primario interesse dello Stato era fare più soldi possibile.

Il direttore generale del patrimonio immobiliare dello Stato, Stefano Maranga, non può che dire: “Bella iniziativa. La valuteremo con tutte le altre”. I manager di Stato si sono affrettati a precisare che “non sarà valutato un progetto d’uso. Solo la migliore offerta: gara telematica senza base d’asta”. Affermare o fare il contrario, del resto, sarebbe rischioso: una forzatura non ben congegnata potrebbe invalidare la gara dando titolo a richieste di risarcimento da parte dei concorrenti esclusi. Perché di paranormale, alla fine della storia, c’è anche questo: è ormai evidente dove l’interesse pubblico alberghi davvero, anche oltre il microcosmo di Venezia e pure fuori dall’Italia. Tocca vedere, a questo punto, se a Roma vorranno e sapranno sbrogliare l’inghippo per raccogliere il messaggio nella bottiglia che galleggia in Laguna. Con un carico di migliaia di sottoscrizioni.

Anche il Fatto Quotidiano ha sottoscritto la sua quota e incidentalmente ha ricevuto la tessera n.666. Un avvertimento per quel diavolo d’un Demanio: perfino i suoi fantasmi difendono Poveglia!

EcoMagazine, osservatorio dei conflitti ambientali, 14 gennaio 2014

Tanti cuori per un solo obiettivo: rilanciare in positivo quello che oramai è stato chiamato “movimento del 30 novembre” e trovare una strada condivisa per imprimere una sterzata ambientalista ad un governo regionale che, anche nelle ultime scelte politiche in tema di viabilità, si riconferma più che mai legato a vecchi schemi di sfruttamento e mercificazione del territorio e dei beni comuni.

L’incontro dei comitati – il primo dopo la manifestazione di fine novembre – si è svolto sabato pomeriggio, nella sede patavina dei Beati Costruttori di Pace. Più di un centinaio i presenti, in rappresentanza del variegato arcipelago ambientalista e movimentista del Veneto. La prima parte dei lavori è stata dedicata ad una valutazione a freddo dell’iniziativa del 30. Valutazione considerata per lo più positiva da tutti. Superata la fase delle polemiche sulla gestione del corteo, è apparso chiaro che il percorso che si vuole intraprendere dovrà essere sì condiviso nei fini, ma rispettare le specificità di ogni singola associazione, i suoi tempi, il suo linguaggio e il suo stare in piazza. Piuttosto il, continuiamo a chiamarlo così , “movimento del 30 novembre” dovrà mostrarsi il più possibile inclusivo, allargando i temi ambientali a quelli del lavoro, considerando che alla fin fine, diritti e ambiente sono due facce della stessa medaglia che un certo tipo di “sviluppo” vorrebbe macinare per ricavare reddito. O meglio. quella famosa “rendita” che, come ha osservato l’architetta Luisa Calimani, portavoce di Città Amica, sta alla base di questo capitalismo predatorio che ha inventato parole come “austerity” e concetti come “crisi”.

E, a proposito di concetti, tanto per ribadirne uno che troppo spesso cercano di farci dimenticare - intendo “la lotta paga” – riportiamo una osservazione di Beppe Caccia. “La manifestazione del 30 ha avuto il merito di riportare al centro del dibattito politico temi che erano nella nostra piattaforma di lotta. Pensiamo solo al problema dei pedaggi autostradali di cui ora si fa un gran discorrere. Sono convinto che sia anche merito delle nostre mobilitazioni se ora due miti che ci erano stati inculcati come quello che il project financing non ci costa nulla e che le autostrade risolvono il nodo della viabilità, hanno mostrato tutta la loro inconsistenza”.

Archiviato quindi il bilancio positivo dell’iniziativa di novembre, resta da decidere quali strumenti utilizzare per buttare ancora una volta il cuore al di là della barricata. Per Oscar Mencini, che ha auspicato uno “svecchiamento” del sindacato sui temi ambientali, non è mai troppo tardi, ha sottolineato la necessità di “diffondere saperi e conoscenze, incrociando saperi sociali con conoscenze scientifiche” allo scopo di allargare la base critica. “E’ importante includere ma anche evitare di radicalizzare lo scontro” ha sostenuto. Una strada interessante, pur se non pare abbia suscitato grandi applausi in sala, è stata quella per così dire “istituzionale” avanzata dall’urbanista Carlo Giacomini che ha proposto ad usare ancora l’arma del referendum regionale e della proposta di legge di iniziativa popolare su tutti i temi sui quali si battono i comitati, dalle cave agli inceneritori, dalla tutela delle acque a quella de paesaggio. Se è vero che tutti quelli che erano in sala possono chiamarsi a buon diritto “figli” della grande battaglia referendaria per l’acqua pubblica, è anche vero che questa strada giuridica a livello regionale potrebbe rivelarsi tecnicamente impervia, costosa e difficile da percorrere. Per ottenere inoltre risultati quantomeno incerti. (Chi scrive ricorda ancora un paio di legge di iniziativa popolare personalmente depositate 4 o 5 anni fa di cui e che sono ancora ad ammuffire in qualche armadio di palazzo Ferro Fine, sempre che l’acqua alta non se li sia ancora mangiati).

Ma il vero punto dolente di tutta la discussione di sabato è stato il rapporto tra movimenti e partiti che è come parlare di thè col latte: c’è chi non riesce a berlo senza e chi si sente venire la pelle d’oca al solo pensiero di mescolarli. Detto subito che nessuno in sala è schizzato di matto al punto di proporre di costituire un altro partito di sinistra e neppure una sorta di “comitato dei comitati”, il problema di come affrontare le prossime amministrative c’è ed è inutile nascondercelo. Cristiano Gasparetto di Ambiente Venezia, ha messo in guardia l’assemblea dal “continuare a votare gli stessi sindaci e assessori che ci hanno preso in giro e che sono causa del disastro” proponendo di costituirsi in “una lista di partecipazione”. Proposta che non ha sollevato grandi entusiasmi in sala. Gli ha risposto Mattia Donadel di Opzione Zero, ricordandogli che “oramai le decisioni non vengono più prese nei luoghi istituzionali” e che “la questione qui non è sostituire un assessore ma un intero sistema di sfruttamento dei ben comuni”.

Chiudiamo restando sul concreto con la proposta operativa avanzata da Beppe Caccia che sarà, immaginiamo, uno degli argomenti che verranno affrontati nelle prossime assemblee. In sostanza, Caccia ha proposto di organizzare una “due o tre giorni” di lotta e di informazione, che ogni comitato dovrebbe gestire nel proprio territorio con le modalità e i linguaggi che più gli sono consueti: dai gazebi al volantinaggio, dai blocchi ai sit in. Rispettando quindi specificità e sensibilità di ogni associazione. Lo scopo è quello di informare la cittadinanza nelle zone “calde” con l’accortezza di legare sempre e comunque la questione locale ad un più ampio discorso globale. Perché, se c’è una cosa che la manifestazione del 30 novembre ha insegnato a tutti è che la sindrome di Ninby è perdente e si può vincere solo se cominciamo a pensare più in grande dei nostri avversari.

Cliccando sul titolo potete leggere il testo della piattaforma e l'elenco delle 148 associazioni, comitati e altri gruppi che hanno aderito aggiornato al 25 novembre

No grandi opere – No consumo di suolo
per la democrazia e i beni comuni
per il diritto di respirare, lavorare, vivere in Veneto

Giornate di mobilitazione regionale in difesa della qualità della vita
Sabato 16 novembre : iniziative di sensibilizzazione nei Comuni del Veneto
Sabato 30 novembre ore 14 – stazione FS di Santa Lucia – manifestazione regionale a Venezia

La Terra non ce la fa più: ha bisogno di un anno e mezzo per recuperare quello che le viene sottratto in un anno. “Il clima impazzito sconvolgerà il pianeta. Siamo vicini al punto di non ritorno” (Ipcc-Onu 2013). E il Veneto è una delle regioni più inquinanti e inquinate d’Europa.

L’inquinamento atmosferico, prodotto da traffico, inceneritori, cementifici, centrali termoelettriche, industrie nocive, grandi navi, avvelena l’aria: la peggiore d’Europa.
Cementificazione e asfaltatura del suolo impoveriscono le campagne, provocano frane e alluvioni, distruggono il paesaggio e un patrimonio storico ed ambientale di valore inestimabile.
Eccessivi prelievi d’acqua inaridiscono i fiumi, provocando l’avanzamento del cuneo salino, e l’abbassamento delle falde acquifere.
Col sistema del “project financing” banche e grandi imprese succhiano miliardi di risorse pubbliche. Per i cittadini questo significa solo debito, aumenti di tariffe per i servizi e per pedaggi speculativi.
I cittadini e i Comuni non contano più nulla poiché la Regione ha azzerato la pianificazione urbanistica riducendola ad un incredibile delirio di autostrade e “progetti strategici” (mega-poli commerciali direzionali), mentre le verifiche ambientali sono ridotte a pura formalità.

Gli abitanti del Veneto sono da anni impegnati in una moltitudine di vertenze locali, volte a salvaguardare la vivibilità del territorio. Cittadine e cittadini di buona volontà si sono finalmente riuniti per chiedere una urgente inversione di rotta:

- Fermare subito le “grandi opere” inutili e dannose (nuove autostrade e linee TAV, carbone nella centrale di Porto Tolle, MOSE, scavo nuovi canali in laguna, nuove scogliere e false barene-discariche).

- Allontanare definitivamente le “grandi navi” dalla Laguna.

- Liberare il territorio dalle servitù militari.

- Finanziare i Comuni, anche con la Cassa Depositi e Prestiti a tasso agevolato, per manutenzione, messa in sicurezza, riqualificazione energetica di edifici pubblici e territorio – vera grande opera necessaria - dando lavoro alle piccole e medie imprese.

- Riconversione ecologica delle città, delle industrie e dell’agricoltura per creare buona e stabile occupazione.

- Gestione pubblica e partecipata, senza profitti in bolletta, di acqua e servizi pubblici – No allo sfruttamento indiscriminato delle risorse idriche.

- Fermare la privatizzazione della sanità: i “project financing” ospedalieri sottraggono risorse pubbliche alla prevenzione e alle prestazioni sanitarie di cura.

- Stop al consumo di suolo agricolo : cambiare la legge urbanistica regionale e il nuovo PTRC – Piano Territoriale Regionale - per tutelare il patrimonio storico, culturale e paesaggistico, attuando finalmente e per intero il Codice nazionale del Paesaggio.

- Basta con il ricorso alla “legge obiettivo” e ai commissari straordinari .

- Basta con inceneritori, cave e discariche – Incentivare riduzione, riuso e riciclo dei rifiuti.

- Stop a nuove autostrade, strade, raccordi e poli commerciali che desertificano i nostri centri, distruggendone il tessuto sociale e le attività economiche: investire per recuperare aree ed edifici da bonificare e riqualificare (a partire da Porto Marghera) per attività innovative.

- Investire non in autostrade e Alta Velocità, ma in rinnovo e potenziamento delle ferrovie esistenti con un piano integrato di vera intermodalità. Favorire il trasporto pubblico locale e regionale (SFMR). Favorire la mobilità ciclo-pedonale. Spostare il trasporto merci dalla gomma ad acqua e rotaia.

- Ricostruire gli organismi di valutazione e controllo ambientale per renderli indipendenti dai poteri politici ed economici: eliminare i conflitti d’interesse e di competenze e la concentrazione di tutti i poteri (di Piano, progetto, valutazione, attuazione e controllo) in una sola figura.

- Garantire pubblicità e trasparenza ai lavori delle Commissioni d’inchiesta del Consiglio regionale sulla “finanza di progetto” e le aziende regionali, innanzitutto su Veneto Strade SpA.

- Smantellare l’intreccio politica-affari oggi all’attenzione della Magistratura.

- Difesa della Costituzione e delle assemblee elettive, contro ogni tentazione presidenzialistica. - Partecipazione piena dei cittadini alle decisioni e ai controlli.

I comitati e i movimenti, le associazioni e i gruppi di cittadinanza attiva operanti in Veneto invitano tutte e tutti a far sentire la loro voce e a partecipare alle iniziative programmate.
aderiscono:

PROMOTORI
1
Beati i costruttori di pace
2
Amministrazione comunale Marano Vicentino
3
Comitato diritto alla città -rete dei comitati cittadini Rovigo
4
Comitato Opzione Zero
5
Movimento Mira 2030
6
Fondamente
7
8
Mountain Wilderness Italia
9
Coordinamento di Padova "Costituzione, la via maestra"
10
Eco Magazine
11
Ecoistituto del Veneto "Alex Langer"
12
AmicoAlbero - Mestre- Venezia
13
Movimento dei Consumatori - Venezia
14
VeneziAmbiente - Ecomuseo della Laguna Mestre - Malcontenta
15
Assemblea permanente contro il rischio chimico Marghera
16
Associazione AmbienteVenezia
17
Coordinamento veneto pedemontana alternativa CoVePA
18
CAT Comitati ambiente e territorio della Riviera del Brenta e del Miranese
19
Digiuno Territorio
20
Comitato Ambiente e Sviluppo di Cavarzere (VE)
21
Rete Polesana dei Comitati
22
ALBA – Alleanza lavoro Benicomuni Ambiente - Padova
23
No Grandi Navi di Venezia
24
Associazione Arianova - Pederobba
25
Associazione Si Rinnovabili No Nucleare
26
Movimento per la Decrescita Felice di Padova
27
Comitato Difesa Salute e Ambiente Padova Est
28
Coordinamento Zero-Rifiuti Padova
29
Comitato Prov. 2 Si Acqua Bene Comune - Padova
30
Associazione Città Amica
31
Comitato Difesa Alberi e Territorio - Padova
32
Associazione ISDE (medici per l'ambiente) sezione di Padova
33
Legambiente Veneto
34
L'Eco dalle Terre
35
IntercomAmbiente di Trecenta Rovigo
36
Movimento Salvaguardiaambiente di Marano Vicentino
37
Comitati Difesa Salute e Territorio NO PEDEMONTANA
38
Rete dei Comitati Alto Vicentino
39
Coordinamento delle associazioni ambientaliste del Lido di Venezia
40
Comitato Referendario Sarcedo Turistica
41
Forum Naz.le Salviamo il Paesaggio
42
Coordinamento delle Ass.ambientaliste del Parco dei Colli Euganei
43
Comitato No Valdastico Nord
44
Comitato No G.O.L.F. Sarcedo
45
L'acqua e il Bosco della Val Posina
46
Arcadia Ambiente e Territorio
47
Comitati ambiente e territorio della Riviera del Brenta e del Miranese
48
Coordinamento dei Comitati di Vicenza
49
Alternativa - laboratorio politico
50
Comitato per la salute pubblica Bene Comune - Pordenone
51
Comitato sì Treviso mare
52
Comitato Commenda Est di Rovigo
53
Associazione Archeostorica Cayran - Caerano di San Marco (Tv)
54
Agricoltura Biologica FUORI DI CAMPO di GRUPPO POLIS
55
Rete provinciale dei Comitati del Polesine e basso-veneziano
56
Diversamente Bio
57
Movimento della Decrescita Felice Circolo di Venezia
58
Istituto Nazionale di Bioarchitettura sezione di Venezia (INBAR Venezia)
59
Caresà Società Cooperativa Sociale Impresa Sociale
60
Circolo Legambiente Legnago
61
Comitato Antinucleare di Legnago e Basso Veronese
62
Comitato "cittadini liberi - Porto Tolle"
63
Comitato art.9 per la salvaguardia del paesaggio
64
Comitati Ambiente sicuro di Salzano e Noaleambiente di Noale
65
Circolo ACLI Zugliano (VI)
66
Il Ponte del Dolo
67
"Lasciateci respirare" di Monselice
68
I Comitati riuniti per il riciclo totale -Rifiuti Zero - di Treviso e Venezia
69
Associazione per la Decrescita
70
Associazione di Cultura e Iniziativa politica InComune di Venezia
71
Cattolici per la Vita della Valle No Tav
72
Liberinsieme Legnago
73
Salviamo il paesaggio - Bassa Veronese
74
GIT Banca Etica Venezia
75
Comitato interregionale Carnia- Cadore P.A.S. Dolomiti
76
Comitato Bellunese Acqua Bene Comune
77
Gruppo Natura Lentiai
78
Gruppo Coltivare Condividendo
79
Casa dei Beni Comuni Belluno
80
Magazzini Prensili
81
Comitati Prà Gras
82
Cittadinanza e Partecipazione Feltre
83
Associazione Tutela e Valorizzazione dell'Alta Valle del Mis e dell'ex sito minerario di Vallalta
84
Cooperativa Mazarol Guide Naturalistico - Ambientali
85
WWF Altamarca
86
Circolo Wigwan il Presidio sotto il Portico
87
Coordinamento di Salviamo il paesaggio di Asolo Castelfranco Veneto
88
Gruppo di iniziativa di Forte Carpenedo
89
Gruppo Etico Territoriale "El morar" di Valeggio sul Mincio (VR)
90
Comitato Bovolenta aria pulita
91
Comitato di San Pietro in Paerno Rosà - Tezze s/Br ONLUS
92
93
Comitato liberi e pensanti Marghera
94
Asolo Viva
95
Il nodo Trevigiano di Alba
96
Lega Anti Vivisezione Padova
97
Città Amica associazione di architetti-urbanisti
98
Associazione NO ALLA CENTRALE (per lo sviluppo E-ti-co Sostenibile dell’Ovest Vicentino)
99
Associazione Il Pane e le Rose di Isola della Scala Verona
100
APS Movimento Sereno
101
Italia Nostra Veneto
102
Comitato degli Allagati di Favaro
103
Comitato di Liberazione Nazionale dei corsi d'acqua
104
Legambiente Padova
105
Amici della bicicletta
106
Associazione rurale italiana
107
Comitato arsenale di Verona
108
Comitato dei cittadini contro il collegamento autostradale delle Torricelle
109
Comunità cristiane di base di Verona
110
Comitato Fumane Futura
111
Donne in Nero Verona
112
Gastelle
113
Italia Nostra Verona
114
Comitato Mamme della Valpolicella
115
Monastero del Bene Comune - Sezano
116
Movimento Nonviolento
117
Pestrino e Palazzina da Salvare
118
Salvalpolicella
119
Associazione Valpolicella 2000
120
Verona In
121
Comitato spontaneo Verona Inalberata
122
Circolo ambientalista Alex Langer di Valeggio e Verona
ADESIONI DI ORGANIZZAZIONI POLITICHE
1
Fiom Belluno
2
Cobas - Comitati di Base della Scuola del Veneto
3
Federazione di Belluno di Rifondazione Comunista
4
Partito democratico di Meolo
5
Rifondazione Comunista del Veneto
6
Circolo SEL di Mira
7
Uniti per Cambiare di Occhiobello (RO)
8
Sinistra Ambientalista Ponte San Nicolò (Padova)
9
Circolo SEL di Ponte San Nicolò (Padova)
10
Circolo SEL Enrico Berlinguer di Dolo VE
11
Associazione Cavarzere 5 Stelle
12
Circolo Sel di Venezia
13
Circolo Sel di Mestre
14
Circolo Sel di Marghera
15
Federazione Provinciale di Sinistra Ecologia Libertà - Venezia
16
Movimento 5 stelle di Castelfranco Veneto
17
Padova 2020
18
Italia dei Valori Regione Veneto
19
Movimento 5 stelle Veneto
20
Io scelgo Mirano
21
Federazione polesana di Rifondazione Comunista
22
Rifondazione Comunista Verona
ADESIONI PERSONALI
1
Andrea Zanoni Europarlamentare
2
Umberto Curi, Filosofo
3
Fabrizio Baldan
4
Gianni Buganza
© 2024 Eddyburg