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Maurizio Rovini
Il Futuro della sicurezza climatica
30 Marzo 2019
Invertire la rotta
Bisogna tornare a pianificare, non per il profitto, ma per gestire l'uscita dal fossile e contenere il riscaldamento globale, convertendo l'economia e indirizzando investimenti alle energie e produzioni alternative locali, tassando patrimoni e aziende inquinanti. La risposta non è la green economy o le soluzioni tecnologiche. (i.b.)
Bisogna tornare a pianificare, non per il profitto, ma per gestire l'uscita dal fossile e contenere il riscaldamento globale, convertendo l'economia e indirizzando investimenti alle energie e produzioni alternative locali, tassando patrimoni e aziende inquinanti. La risposta non è la green economy o le soluzioni tecnologiche. (i.b.)


In questo articolo sono bene sintetizzati alcuni principi per affrontare in maniera lungimirante ed equa la questione del surriscaldamento globale e delle sue conseguenze. Cambiare si può, ma occorre una volontà politica che invece continua a sostenere gli interessi del mercato, dei poteri economici del profitto basato sullo sfruttamento ambientale e del lavoro. Questo mese abbiamo visto, con due manifestazioni nazionali - quella del 15 marzo e del 23 marzo - come movimenti studenteschi ed ambientalisti di giovani e meno giovani siano preparati a rivendicare una giustizia ambientale necessaria per dare futuro alle prossime generazioni. (i.b.)

I giovani di tutto il mondo si stanno muovendo. Il sorprendente intervento della giovane Greta Thunberg a Davos, sedicenne svedese piombata nel salotto buono dei pescecani della finanza mondiale, ha scosso le coscienze di centinaia di migliaia di giovani in Europa, chiedendo che si faccia qualcosa adesso per il loro e il nostro futuro.

L'obbiettivo posto attraverso il rapporto dell'IPCC (il tavolo scientifico intergovernativo dell'Onu sui cambiamenti climatici) alla comunità internazionale parla chiaro: occorre interrompere subito le emissioni di gas serra in particolare CO2 e metano, più Cfc e biossido d'azoto, pena una catastrofe ambientale di proporzioni tali da mettere in discussione non solo la fine della civiltà umana, ma la stessa sopravvivenza della vita sulla terra.

Se le emissioni attuali rimarranno nell'atmosfera questo produrrà dei cambiamenti climatici strutturali, riducendo terre fertili, foreste, modificando le coste e sommergendo grandi città.

Le dispendiose e penose conferenze internazionali come L'Accordo di Parigi del 2015 e l'incontro di Katowice del dicembre scorso sono stati piuttosto deboli nella determinazione e nelle decisioni sulla riduzione delle emissioni, lasciando alla buona volontà dei governi sia gli obbiettivi che il controllo delle tabelle di marcia. L'ostacolo principale sono ovviamente l'uso dei combustibili fossili, non solo il petrolio, ma anche metano e lignite per produrre energia elettrica e trasporti. Ormai sappiamo che le fonti di energia rinnovabile potrebbero essere la soluzione solo se gli ingenti investimenti in infrastrutture iniziassero a modificare la mobilità, ma anche il modo di produrre in agricoltura e industria.

Purtroppo le grandi corporation finanziarie hanno già rinunciato al "tutto elettrico" : lo dicono le conclusioni del rapporto presentato nell'aprile 2018 dalla JPMorgan, che si chiama “Pascal's Weger”, la scommessa di Pascal, ovvero se volete credere di poter fermare il cambiamento climatico potrebbe essere come credere in Dio, razionalmente non è possibile dimostrarne l'esistenza, ma aiuta a vivere pensare che sia possibile cambiare il nostro modello di produzione. Le corporations finanziarie mondiali punteranno solo sulla creazione di barriere di diversi metri di altezza intorno a New York, Calcutta, Los Angeles e altre grandi città costiere, contro l'innalzamento del livello del mare e per proteggere le infrastrutture. Una lunga gettata di cemento sulle coste, enormi Mose, che non è difficile immaginare inefficaci di fronte a uragani sempre più violenti e ad un innalzamento degli oceani inarrestabile.

Di fronte a questa sensazione di inadeguatezza della politica e della finanza internazionale stiamo assistendo invece ad una presa in carico delle responsabilità solamente da parte delle nuove generazioni: le manifestazioni belghe, ma anche quelle francesi, nei primi giorni di febbraio 2019 organizzate da una coalizione piuttosto giovane #generationclimatic (che si stanno diffondendo anche in Italia) hanno posto attenzione alla questione ambientale e alla decarbonizzazione dell'economia, con alcuni spunti originali.

Intanto far pagare ai ricchi i costi della transizione. Troppo vicina è la scottatura del popolo francese, che di fronte alla Carbon Tax di Macron sui carburanti diesel, ha rotto gli argini ed è scoppiata nella rivolta dei Gilets jaunes.

Per questo un documento belga, scritto a ridosso delle manifestazioni popolari dal Partie du Travail de Belgique, pone degli obbiettivi chiari. Riduzione del 60% di emissioni entro il 2030 (l'UE chiede agli stati membri una riduzione del 32%).

Costituire un solo ministero per clima, trasporti, energia, una banca per gli investimenti climatici finanziata con tasse sui grandi patrimoni e le aziende più inquinanti (centrali a carbone, cementifici e acciaierie). L'abolizione dell' ETS ovvero dei certificati "verdi". Il loro fallimento a livello europeo certifica in realtà l'impossibilità del sistema capitalistico di trasformarsi e preoccuparsi dell'interesse collettivo. La ricerca del profitto, ma anche l'aumento del prodotto interno lordo, sono incompatibili con l'ambiente e la sopravvivenza della civiltà umana.

Per questo occorre tornare ad una pianificazione forzata, che tenga conto anche della produzione locale e del controllo da parte dei municipi, delle comunità e delle cooperative: le energie alternative strutturalmente si prestano molto più facilmente all'auto consumo locale e al km0.

Meno convincenti sono le "soluzioni tecnologiche". Ogni proposta che va in quella direzione (riconversione dei trasporti col vettore idrogeno oppure mobilità tutta elettrica, piante OGM che catturano CO2, reti intelligenti, materiali riciclabili per l'isolamento termico in bio-edilizia, e recentemente la fusione nucleare) in se non sono idee sbagliate, ma non tengono conto della complessità intrinseca dei sistemi umani e naturali e delle ripercussioni che centralità produttiva e gigantismo tecnologico possono rivelarsi un boomerang, se isolate dai contesti locali.

Poi esiste la complessità della società umana: un esempio sono le auto a metano. Potenzialmente meno climalteranti, ad un costo al chilometrico più basso, si sono rivelate più climalteranti proprio perché vengono usate di più, proprio perché più ecologiche e perché hanno ricevuto incentivi cospicui producendo un numero di chilometri di percorrenza maggiore degli altri modelli. Stessa cosa avverrà, quando qualcuno ci spiegherà dove finiranno le batterie, con le auto elettriche, oppure se consideriamo il bilancio energetico complessivo dell'impronta ecologica nell'uso dei server che mettono in rete computer e telefonini. Il raffreddamento delle centrali di server ha superato il consumo di energia mondiale per autotrazione. La "Green economy", ovvero la tecnologia verde, nasconde bene i suoi problemi.

Proprio i rapporti scientifici sui gas serra ci raccontano che il bando di produzioni nocive in realtà ha spostato macchinari in Asia o America latina dove le leggi ambientali sono meno rigorose, rendendo difficile ridurre l'emissione climalterante a livello globale : recente il caso del Cfc, i gas killer dell'ozono, che nel 2010 hanno ricominciato a crescere .

Non possiamo fare niente allora? non possiamo salvarci dai cambiamenti climatici se dobbiamo combattere anche un modello di sviluppo che con grandi sofferenze ci ha portato fin qui? Oppure dobbiamo abbandonare tutto e gettarsi nel panico più assoluto?

Stime parlano di migrazioni di 1 miliardo e mezzo di persone che fuggiranno nei prossimi 100 anni dalla siccità, dalla fame e dalla sete, dai paesi più poveri e popolosi ai paesi del Nord Europa e Canada. La " rottura metabolica" tra uomo e natura raccontata da Marx e prodotta dal capitalismo e dall'industrialismo, dalla crescita e dal produttivismo, sta producendo un conto salato, che nessuno vuole pagare, meno che mai i giovani che erediteranno questa terra.

Essi chiedono invece alla politica di cambiare strada adesso, prima che sia troppo tardi, chiedono che la politica si trasformi in una grande operazione di soccorso, una protezione civile globale che agisca per mitigare da subito i bisogni immediati delle popolazioni che verranno colpite e che contemporaneamente porti avanti operazioni di riduzione forzata delle emissioni climalteranti, abbandonando le grandi opere inutili e grandi impianti a carbone : tra i primi 10 impianti industriali più inquinanti in Europa ci sono le centrali a carbone, di cui 7 tedesche, due polacche e una estone, ma l'undicesima è italiana, Torrevaldalica nord di Civitavecchia.

Per questo tutti i movimenti che si battono contro le grandi opere e per un cambiamento delle politiche energetiche ha lanciato un appuntamento il 23 Marzo a Roma, contro le Grandi Opere e i Cambiamenti climatici: iniziamo da qui. Iniziamo a chiudere.
Questo articolo é in uscita sulla rivista Grandevetro, trimestrale di immagini, politica e cultura.

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