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Alberto Zorzi
MoSE: ripristinata la legalità, nuovi fondi e tutto come prima
21 Settembre 2017
MoSE
Concluso il processo, che non ha coinvolto i veri corrotti e corruttori, ci si appresta ora a completare l'opera. Come? Alla solita maniera, i soldi ce li mettiamo noi, e a decidere saranno le imprese o gli amici del CVN. Articoli di Alberto Vitucci e Alberto Zorzi,

Concluso il processo, che non ha coinvolto i veri corrotti e corruttori, ci si appresta ora a completare l'opera. Come? Alla solita maniera, i soldi ce li mettiamo noi, e a decidere saranno le imprese o gli amici del CVN. Articoli di Alberto Vitucci e Alberto Zorzi, la Nuova Venezia e Corriere del Veneto, 19-20-21 settembre (m.p.r.)

la Nuova Venezia 21 settembre
MOSE, LA CARICA
DEGLI ASPIRANTI DIRETTORI

di Alberto Vitucci

Storie e legami politici e professionali dei candidati che puntano alla direzione generale del Consorzio Venezia Nuova

Un colloquio di lavoro come tanti altri. Per capire le caratteristiche e le capacità dei candidati. Ma l'incarico non è uno qualunque. Cominciano in questi giorni gli "esami" per il posto di direttore generale del Consorzio Venezia Nuova. Una decina di candidati saranno ascoltati dai due commissari straordinari Giuseppe Fiengo e Francesco Ossola, sui circa trenta che hanno aderito al bando. A lavori quasi ultimati, problemi e criticità che spuntano ogni giorno, il direttore avrà l'arduo compito di portare a termine la grande opera dello scandalo. Avviata da altri e gestita oggi dai commissari straordinari. 220 milioni lo stipendio (ai tempi di Mazzacurati arrivava fino a sei milioni di euro) per un ruolo che dovrebbe rilanciare i lavori e le aspettative delle imprese bloccate dal grande scandalo.

Che non sia un incarico qualunque lo si vede dalla caratura dei candidati. Tra cui spiccano anche nomi noti della politica "prima" dello scandalo. Uno è Tommaso Riccoboni, ex Forza Italia, già assessore all'Urbanistica della giunta di Giustina Destro a Padova. Titolare di uno studio di ingegneria in via Altinate, «padre» del cavalcavia di corso Australia. «Galan? Un grande amico», diceva. Anche se all'epoca, e non solo in Forza Italia, erano in tanti a dirsi «amici di Galan». Ecco Silvano Vernizzi, dirigente di Veneto Strade, già commissario del Passante e responsabile dell'Ufficio Ambiente all'epoca di Renato Chisso, assessore di Galan. Entrambi hanno patteggiato nello scandalo Mose. Ci sono due ingegneri collaboratori dello Studio Altieri di Lia Sartori (assolta nel processo Mose), Marino Tura e Umberto Rulli. L'ingegnere Alberto Borghi, superconsulente per la viabilità della giunta Zanonato a Padova tra il 2007 e il 2010.
Ci sono anche ingegneri che lavorano per le imprese azioniste del Mose. Come Massimo Paganelli di Condotte e l'ingegner Bellipanni di Grandi Lavori Fincosit e Cidonio. Sabina Pastore ha lavorato invece come consulente per Veneto Tlc del gruppo Mantovani e coordinatore per gli impianti elettromeccanici del Mose. Chiede di entrare a dirigere il Mose anche l'ingegner Virgino Stramazzo, dal 1989 direttore dell'area tecnica di Save, la società aeroportuale presieduta da Enrico Marchi, ingegnere idraulico collaudatore per la Regione Veneto. E poi Nicola Torricella, direttore tecnico dell'Autorità portuale nominato da Paolo Costa e confermato ora dal nuovo presidente Pino Musolino. Ancora, Alberto Vielmo e Diego Semenzato (già consulente del Consorzio per le barene in laguna e l'isola di Malamocco), l'ex direttore di Insula ed ex ingegnere capo del Comune Ivano Turlon. Infine, due dirigenti del Provveditorato alle Opere pubbliche e ministero delle Infrastrutture. L'ingegner Valerio Volpe, da anni a capo dell'Ufficio salvaguardia del Magistrato alle Acque; Francesco Sorrentino, dirigente dell'attuale Provveditorato.
Un plotone di pretendenti tra cui adesso i commissari dovranno scegliere il nuovo direttore. Che dovrà portare in porto una nave che si annunciava come l'ammiraglia della flotta italiana. Uscita ammaccata dallo scandalo. Con tante criticità non ancora risolte. Come la corrosione dei materiali e delle cerniere, il malfunzionamento del jack-up, la nave porta paratoie da 52 milioni di euro. Problemi anche di cronoprogramma. Con la fine dei lavori che potrebbe ulteriormente slittare. Dal 2018 (consegna dell'opera il 1 gennaio 2022) a dopo. Si comincia in questi giorni la posa delle paratoie di Chioggia. Poi toccherà alla serie del Lido-San Nicolò. Ma a Malamocco, dove sono già state affondate, ancora non è stata costruita la centrale elettrica. Le dighe non si possono alzare, e nei corridoi sott'acqua già si sono formate muffe e incrostazioni
la Nuova Venezia 21 settembre
«ANCORA SOLDI, OLTRE IL DANNO LA BEFFA»
di Alberto Vitucci

«Non permetteremo che il governo sottragga altri fondi pubblici per pagare con i nostri soldi i conti lasciati aperti dalle tangenti». Arianna Spessotto (nella foto) deputato veneziano del Movimento Cinquestelle, va all'attacco. E usa parole durissime per l'ipotesi, trapelata negli ultimi giorni . La proposta è quella di "anticipare" con la prossima Finanziaria circa 200 milioni necessari al completamento del Mose e allo sblocco dei cantieri. I soldi ci sono, ma sono bloccati dai vari contenziosi giudiziari che vedono contrapposte le imprese al Consorzio.

«Oltre al danno arriverebbe anche la beffa», scrive Spessotto, «con il Governo che vorrebbe mettere altri 200 milioni di risorse pubbliche - dopo i milioni già generosamente elargiti negli ultimi Def- per tappare i buchi finanziari creati dalla più costosa opera della storia italiana, che rimarrà chissà per quanti anni ancora incompiuta e nessuno ancora sa se mai funzionerà!». «Il Mose è responsabile di un danno erariale e Matteoli, condannato a 4 anni, se ne deve andare dalla presidenza dei Lavori pubblici del Senato»


Corriere del Veneto, 20 Settembre 2017
MOSE, PRIMA I SOLDI
O PRIMA I LAVORI?

LO SCONTRO TRA IMPRESE
E COMMISSARI BLOCCA TUTTO

di Alberto Zorzi
In cassa risorse ingenti, il nodo sono diventate le regole
Venezia. Oltre 120 milioni già nelle casse del Provveditorato interregionale alle opere pubbliche. Oltre 300 milioni, tra cui quelli appena citati, già affidati per il suo completamento. E 400 milioni di euro che potranno essere «recuperati» grazie a un ricalcolo complessivo delle spese per i tassi d’interesse (crollati negli anni da oltre il 20 per cento al 3), che nell’intenzione dei commissari potrebbero essere utilizzati per i tre anni di avviamento dell’opera, tra inizio 2019 e fine 2021, prima della gara per l’affidamento della gestione. Messe in fila così queste cifre, si potrebbe dire che il Mose non ha mai avuto tanti soldi disponibili. Eppure, per un incredibile paradosso contabile, le dighe mobili che dovranno salvare Venezia dall’acqua alta rischiano di incagliarsi in quello che in termini poco tecnici ha un nome ben preciso: cane che si morde la coda.

Il ragionamento è questo. Il provveditore Roberto Linetti, come detto sopra, ha in cassa già i soldi per pagare i lavori. Ma per legge può pagare solamente i cosiddetti «Sal», cioè gli stati di avanzamento dei lavori, come avviene in qualunque cantiere: se in casa tua l’impresa A ha messo le piastrelle, fa la fattura e la paghi, così come la B che ha dipinto le stanze. A fare i Sal è il Consorzio Venezia Nuova, il pool di imprese che sta costruendo il Mose, sulla base dei lavori realizzati. Le imprese però, in questi mesi, di lavori ne stanno realizzando pochissimi, perché sono in polemica con i commissari del Consorzio, Giuseppe Fiengo e Francesco Ossola, accusati di non pagarle. Tanto per dire, Mantovani, che fa la parte del leone, lamenta Sal non pagati per 39 milioni e ci aggiunge altri 29 milioni per il fatto che molti cantieri alla bocca di Lido non sono stati collaudati (alcuni da anni) e dunque le spese sono rimaste in carico al colosso padovano delle costruzioni. Ma la situazione non cambia per gli altri, in primis Condotte e Grandi Lavori Fincosit, sempre per cifre milionarie. Niente lavori, niente Sal, niente pagamenti di Linetti: da cui la storia del cane.

Le versioni, però, a questo punto divergono. Le imprese sostengono infatti che siano i commissari a non fare i Sal sui lavori già realizzati, per punirle delle spese che il Consorzio ha dovuto sostenere per i danni e le false fatture emerse poi nell’inchiesta che ha portato ai processi, il principale chiuso proprio nei giorni scorsi: circa 65 milioni di euro complessivi. «In realtà io i Sal li ho pagati tutti e non posso ripagare due volte lo stesso lavoro - dice invece Linetti - ma i commissari hanno dovuto usare i soldi per far fronte ad altre spese: tasse non pagate, fatture false, mutui, sub-appalti». Certo, alcuni Sal sono bloccati per contestazioni, ma sono pochi. Nei primi due anni del commissariamento, iniziato a fine 2014, la strategia è stata una mediazione continua con le imprese: un po’ ti pago, un po’ no, perché tu mi devi dei soldi. Posizione che le imprese hanno sempre digerito male, convinte che i lavori andassero pagati subito e i contenziosi risolti in tribunale, senza collegamenti.

A spazzare via questo labile «accordo» sono però arrivati due problemi: il primo è il mutuo con la Banca europea degli investimenti, il secondo le gare pubbliche per alcune parti del Mose (le paratoie, gli impianti, eccetera), imposte dall’Unione Europea per chiudere la procedura di infrazione aperta a metà anni Duemila. Quando i commissari hanno analizzato il mutuo Bei da 600 milioni hanno infatti scoperto una cosa incredibile: che i soldi erogati dalla banca europea spesso non erano stati usati per le voci indicate nei contratti e poi non venivano restituiti. Il risultato è che solo l’anno scorso il Consorzio ha dovuto pagare alla Bei 267 milioni di euro, a fronte di Sal al Provveditorato per 300 milioni. Alle imprese, dunque, sono rimaste solo le briciole: 33 milioni. Ma mentre prima ci si poteva un po’ accordare con i consorziati, promettendo tempi migliori in futuro, ora ci sono altre imprese, terze, che non hanno nulla a che fare con lo scandalo Mose e chiedono solo di essere pagate, e presto. Per dire, ci sono i croati di Brodosplit che hanno realizzato le paratoie di tre bocche di porto su quattro (Malamocco, Chioggia e ora stanno finendo Lido Sud) e avanzano 16 milioni.

Per questo lunedì Linetti è andato a Roma al ministero delle Infrastrutture per cercare una soluzione: inserire nella legge di stabilità un anticipo sui Sal (si ipotizza di 120 milioni di euro) per sistemare i conti con le imprese e rilanciare i lavori. Anche perché nel frattempo il Cvn aveva fatto una gara per cercare una banca che gli concedesse un mutuo: gara andata deserta. «E’ un momento topico», ammette Linetti.



la Nuova Venezia 19 settembre
FONDI PER I LAVORI

LO STATO ANTICIPA
di Alberto Vitucci

Per poter sbloccare i cantieri, nella prossima Finanziaria a disposizione 200 milioni. Linetti forse terzo commissario

Venezia. Il Mose slitta. Mancano soldi e i guai tecnici non sono finiti. Così la conclusione dei lavori della grande opera, annunciata dal governo per il giugno 2017, poi rinviata al 2018 con consegna dei lavori nel 2021, potrebbe allontanarsi ancora. Ieri nella sede del ministero delle Infrastrutture si è tenuto un vertice tecnico chiesto dal commissario per l'Anticorruzione Raffaele Cantone e dal ministro Graziano Delrio. Confronto a tratti ruvido fra gli uffici che rappresentano lo Stato. Per cercare di risolvere la mission impossible: riuscirà lo Stato italiano, dopo aver speso 5 miliardi e mezzo di euro di fondi pubblici, dopo lo scandalo e gli arresti, a portare a compimento la più grande opera italiana degli ultimi decenni?
Altre nubi si addensano sul futuro del Mose. Anche senza la corruzione, i problemi sono tanti. Il primo, ha detto ieri agli alti funzionari del ministero il presidente del Provveditorato alle Opere pubbliche del Veneto Roberto Linetti, «è quello finanziario». Cause civili in corso tra lo Stato e le imprese del Mose, tra il Consorzio oggi governato dai commissari di Cantone e le stesse imprese. Contenziosi e ricorsi a Tar sulle opere non finite o su quelle finite male, diversità di interpretazione per i pagamenti dei danni da parte delle assicurazioni. Fatto sta che i cantieri sono bloccati. Le imprese reclamano lavoro, la macchina non va avanti. I soldi già stanziati diventano spendibili solo dopo un anno, un anno e mezzo. Perché dopo il grande scandalo le banche non garantiscono più, e tutto passa attraverso i ministeri con tempi infiniti.
La soluzione individuata ieri è quella che con la prossima Finanziaria lo Stato potrà anticipare qualcosa come 200 milioni. Liquidità preziosa per far ripartire i cantieri in laguna. I conti definitivi si faranno alla fine delle cause e delle richieste reciproche di risarcimento danni. Ma quello finanziario non è certo l'unico problema. Negli ultimi mesi la struttura tecnica del Consorzio Venezia Nuova, retta dal commissario Francesco Ossola, ingegnere torinese, si è trovata a fare i conti con imprevisti e magagne che nessuno aveva messo in conto. Le incrostazioni delle paratoie, la corrosione di alcune parti delle cerniere del Mose, la muffa nei corridoi dei cassoni, i danni provocati dalla mancanza della centrale elettrica. Struttura che costa almeno 70 milioni di euro, che si è deciso di realizzare dopo la posa delle paratoie. Risultato, stando sott'acqua senza essere ventilate e rialzate, le paratoie di Malamocco si stanno già rapidamente deteriorando.
Contrasti evidenti fra i due commissari (Ossola e l'avvocato dello Stato, Giuseppe Fiengo), con il provveditore Linetti a fare da mediatore. Non è ancora esclusa la nomina di un terzo commissario in sostituzione di Luigi Magistro, colonnello della Finanza che ha deciso di dimettersi qualche mese fa. Ma la soluzione più probabile, a quanto si è capito dopo l'incontro di ieri, potrebbe essere la nomina di Linetti a commissario non retribuito. Una figura tecnica ma anche un rappresentante dello Stato in laguna, che potrebbe mediare tra imprese e struttura consortile. Tra le esigenze di trasparenza ed economia del commissario Fiengo e quelle tecniche del commissario Ossola. Da parte delle imprese (Mantovani, Condotte, Fincosit), il cui peso torna a farsi sentire, c'è anche chi ha suggerito a Roma di dichiarare conclusa l'opera dei commissari, smantellando l'ufficio veneziano che fa capo a Cantone. Ipotesi che però non sembra essere di gradimento all'Anticorruzione. Una partita che potrebbe essere risolta con l'arrivo del nuovo direttore generale, che il Consorzio sta cercando con un bando dopo l'uscita di scena di Hermes Redi, due anni fa. Una decina di posizioni sono state ritenute "interessanti" tra coloro che hanno presentato il curriculum. I colloqui per la scelta cominceranno nei prossimi giorni.

la Nuova Venezia 19 settembre
«MA I DANNI NON VANNO IN PRESCRIZIONE»

di Alberto Vitucci


Vincenzo Di Tella, ingegnere da sempre critico sulla grande opera: «Mancate risposte sulle criticità»
Venezia. I danni del Mose non vanno in prescrizione. Tecnici e ingegneri che da sempre si sono opposti alla grande opera in laguna commentano con una punta di amarezza la sentenza del processo Mose che ha mandato assolti anche per intervenuta prescrizione alcuni imputati, tra cui l'ex presidente del Magistrato alle Acque Maria Giovanna Piva.«Vorremmo sapere chi pagherà i danni provocati da scelte sbagliate, gli errori del progetto», attacca l'ingegnere Vincenzo Di Tella, specialista in costruzioni sottomarine a autore insieme ai colleghi Sebastiani e Vielmo del progetto alternativo al Mose delle paratoie a gravità. Venne proposto dal Comune guidato da Massimo Cacciari al governo Prodi, ma scartato senza studi di approfondimento.
«Sulla vicenda penale non voglio intervenirre», dice Di Tella, «ma ci sono ancora troppi interrogativi aperti sul lato tecnico. Il primo punto è il comportamento delle paratoie del Mose in caso di mare agitato. Lo studio della società Principia ha dimostrato che c'è il rischio di risonanza e di malfunzionamento». Secondo punto, secondo Di Tella, i modelli. Quelli usati per il progetto Mose a parere dell'ingegnere non sarebbero completi, e non avrebbero tenuto conto di alcuni dettagli. Accuse circostanziate e documentate, che erano costate a Di Tella qualche anno fa un processo dopo la causa civile intentata dal Consorzio di Mazzacurati. Alla fine però il coraggioso ingegnere era stato assolto. «Non fu diffamazione, ma legittimo diritto di critica», aveva deciso il giudice.
La lista delle accuse è lunga. E secondo Di Tella vi sono domande tecniche a cui nemmeno la nuova gestione del Consorzio del dopo scandalo ha mai dato risposte. «Abbiamo chiesto un confronto pubblico», dice, «ma non ci siamo riusciti».Tra gli altri punti sollevati quello della subsidenza. Studi recenti del Cnr hanno dimostrato che il fondale dove posano gli enormi cassoni in calcestruzzo cede di qualche centimetro l'anno. In media molto più che il resto della costa italiana. «Cosa succederà fra qualche anno quando l'allineamento non sarà perfetto?». Altro nodo quello della manutenzione. «Come fa il sistema a durare cento anni e la singola paratoia cinque quando in alcuni casi dopo qualche mese di immersione la diga è già visibilmente alterata?».
Infine gli errori. Come quelli di progettazione e costruzione della conca di navigazione a Malamocco, le incrostazioni, il malfunzionamento di alcune parti e la corrosione dei materiali. «Torniamo a chiedere un confronto con tecnici super partes», dice Di Tella, autore anche di un volume sulle criticità del progetto Mose, «vogliamo esporre le nostre critiche. Cosa che non è stata possibile qualche anno fa. Quando alle osservazioni tecniche il Consorzio ha risposto con la querela».
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