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Enrico Puccini
Il paradosso della legalità nelle case popolari della Capitale
30 Settembre 2017
Abitare è difficile
il manifesto, 30 settembre 2017. Il dramma umano degli sfratti visto dalla parte di chi dovrebbe sfrattare. «A Roma sono 10 mila gli abusivi nei 74 mila alloggi popolari: 50 anni per sgomberarli tutti». E le case vuote delle immobiliari rimangono vuote: toccarle non si può, sono private

il manifesto, 30 settembre 2017. Il dramma umano degli sfratti visto dalla parte di chi dovrebbe sfrattare. «A Roma sono 10 mila gli abusivi nei 74 mila alloggi popolari: 50 anni per sgomberarli tutti». E le case vuote delle immobiliari rimangono vuote: toccarle non si può, sono private

L’episodio del Trullo, l’ultimo di una serie, riporta in auge il tema casa che sembra legato a doppia maglia a quello della legalità. Ma se qualche mese fa abbiamo assistito all’ efficientissimo sgombero di Piazza Indipendenza, che il Prefetto ha definito operazione di «cleaning», ieri al Trullo lo Stato ha dovuto inesorabilmente retrocedere di fronte ad un gruppo di facinorosi. E a una ragazza madre che da poco occupava un appartamento rimasto vuoto dopo lo sgombero, un anno fa, dei precedenti abusivi.

A volte si ha l'impressione di un’applicazione selettiva o parziale e distratta della legalità, cosa che i dati confermano. All’interno dei 74.000 alloggi popolari i nuclei abusivi sono circa 10.000. Il fenomeno è talmente complesso che nei report degli enti gestori, Ater e Patrimonio di Roma Capitale, gli “abusivi” vengono classificati in 9 categorie: occupante con sentenza definitiva, sanatoria senza requisiti, utente abusivo, utente con domanda di voltura non accolta, utente con domanda di sanatoria incompleta, utente revocato e utente con domanda di sanatoria non accolta. Un fenomeno assai complesso che richiede per il suo contrasto una strategia articolata.

Organizzare uno sgombero di per sé è cosa complicata e costosa, servono almeno due pattuglie della Polizia Locale, un fabbro autorizzato, una ditta di traslochi, un medico e a volte l’ausilio della Polizia di Stato. Con le attuali capacità si possono organizzare circa 200 sgomberi all’anno, pertanto se decidessimo di sgomberare tutti i 10.000 in preda ad un fervore di legalità impiegheremmo circa 50 anni senza contare che dovremmo spostare una popolazione di 30.000 persone, come tre medi quartieri della Capitale. Inoltre l’affare si complica se teniamo conto che questi sono solo gli abusivi storici, infatti a Roma circa 1.000 alloggi popolari vengono occupati ogni anno.

Ergo, qualora anche implementassimo a 365 gli sgomberi all’anno avremmo un risultato finale deludente: per ogni alloggio sgomberato ne avremmo almeno tre occupati lo stesso giorno. Sembra qui riprodursi il paradosso di Zenone, quello in cui Achille non riesce mai a raggiungere la tartaruga. Quindi che fare? È del tutto evidente che se non si blocca l’emorragia di alloggi è inutile eseguire vecchi sgomberi che assumono solo una valenza simbolica, certamente giusti, ma non risolutivi.

Con la Giunta Marino si era tentato di dare un riassetto organico alla materia attraverso una azione articolata. Per fare questo si è costituito, attraverso la delibera 368/13, un gruppo di Polizia Locale altamente specializzato, Gruppo di Supporto delle Politiche Abitative, che concentra la maggior parte degli sforzi investigativi nell’impedire le occupazioni e a debellare i racket. Inoltre attraverso un Protocollo di Intesa con la Guardia di Finanza, ancora attivo ma siglato nel 2014, si procedeva a verifiche patrimoniali molto più accurate rispetto a quelle che vengono svolte attraverso l’interrogazione della Agenzia delle Entrate. In ultimo, anche questo ancora attivo, si è istituito un numero di emergenza, Casa Sicura 06671073551, a cui ci si può rivolgere in caso di occupazione coatta. L’ultimo punto, che avrebbe rappresentato la quadratura del cerchio, era l’istituzione di un data base comune su cui fare le verifiche.

È importante spiegare che per svolgere le verifiche sulle case popolari, cosa di competenza del Dipartimento Politiche Abitative del Comune, si interrogano diversi database. Qualora l’immobile sia del Comune, che detiene circa 28.000 alloggi, bisogna rivolgersi al Dipartimento del Patrimonio che a sua volta ha delegato la gestione a una società esterna, se invece l’immobile appartiene all’Ater, che ne ha circa 45.000, bisogna rivolgersi a quest’ente. Poi bisogna consultare l’Anagrafico del Comune, per capire chi vi risiede, l’Agenzia delle Entrate per determinare i redditi, e l’Agenzia del Territorio per capire se si hanno altre proprietà immobiliari. Insomma un meccanismo alquanto farraginoso.

Ora considerando che tutti questi enti sono Pubblici basterebbe un semplice protocollo di intesa e un programma che, consultando in automatico i dati, segnali qualsiasi anomalia, eccesso di reddito, un nuovo inquilino, l’acquisto di un immobile, in modo da far partire le verifiche mirate con notevole risparmio di tempo e di risorse. La potenza di calcolo di un simile computer? Oggi lo può fare un qualsiasi smartphone che abbiamo in tasca.

Purtroppo mentre si stava lavorando a questo progetto l’esperienza della Giunta Marino è tragicamente finita. Un progetto che spero qualcuno voglia riprendere e implementare poiché da solo consentirebbe di triplicare le assegnazioni di alloggi popolari, che passerebbero da 500 a 1500 all’anno e forse anche la ragazza che ha occupato l’alloggio del Trullo si convincerebbe che partecipare al Bando per l’assegnazione di case popolari ha un senso.

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