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Maria Cristina Gibelli
Perché (e come) ostacolare la realizzazione del muro: le amministrazioni locali contro Trump
23 Marzo 2017
Maria Cristina Gibelli
L’avversione per la principale opera pubblica di Trump (da lui definita

big, beautiful, powerful”), vale a dire il muro...(segue)

big, beautiful, powerful”), vale a dire il muro che separerà il Messico dagli Stati USA confinanti, sta provocando un crescente attivismo nelle amministrazioni locali, ben intenzionate a ostacolarne la realizzazione: soprattutto in California, ma anche altrove. Fra le misure adottate, la ‘lista nera’ delle imprese di costruzione: se parteciperanno alle gare d’appalto per il muro, non otterranno più alcun incarico dalle amministrazioni locali.

Fra i grands travaux sbandierati da Trump, quello a più alto valore simbolico, poiché materializza in un manufatto fisico lungo la metà della Grande Muraglia Cinese la sua ideologia reazionaria e razzista, è certamente il muro che dovrebbe essere costruito lungo tutto il confine fra gli Stati Uniti e il Messico: 2.000 miglia, una altezza di almeno 5 metri e mezzo e una profondità al suolo di 2 metri per impedire lo scavo di tunnel sotterranei. Costo preventivato: 21 miliardi dollari; una cifra colossale destinata ad attirare frotte di imprese di costruzione e di cementieri.

Ma in California, e non solo, l’iniziativa di Trump non è gradita a molte amministrazioni locali che stanno reagendo con decisione e ostacolando, con iniziative legislative mirate, la realizzazione di un’opera probabilmente inutile, ma, soprattutto, inaccettabile per il suo valore simbolico di chiusura del paese nei confronti della popolazioni che si ammassano al confine meridionale della California e che hanno invece costituito, nella lunga durata, l’imponente esercito di forza lavoro a basso costo che ha garantito la crescita esponenziale dell’economia dello Stato più ricco degli USA.

Fra pochi giorni (esattamente il 28 marzo 2017) dovrebbe essere approvato dal consiglio municipale di San Francisco, e dalla omonima Contea, una norma, proposta da due membri del Board of Supervisors1), Hillary Ronen e Aaron Peskin, che impedirà alle imprese che parteciperanno alle gare d’appalto per la realizzazione del muro di concorrere in futuro per l’aggiudicazione di appalti per lavori pubblici commissionati dall’amministrazione locale.

San Francisco non è nuova a queste iniziative orientate alla tutela dei valori progressisti e democratici che la caratterizzano da sempre. Recentemente il sindaco Ed Lee ha proibito tutti i viaggi non essenziali degli impiegati della municipalità nel North Carolina, per protestare contro le politiche discriminatorie esercitate da quello Stato nei confronti della comunità LGBT; lo stesso ha fatto per i viaggi in Indiana dove l’allora governatore (e attuale vicepresidente) Mike Pence aveva fatto approvare una legge sulla ‘libertà religiosa’ apertamente discriminatoria nei confronti di gay e lesbiche; anche il vice-governatore della California Gavin Newson ha preso una decisione analoga nei confronti dell’Arizona, in risposta alle disumane politiche anti-immigrazione approvate in quello Stato nel 2010 (Arizona Senate Bill 1070).

Più in generale, è tutta l’area metropolitana di San Francisco la capofila di queste iniziative anti-muro: il consiglio municipale di Berkeley ha già approvato da pochi giorni una ordinanza analoga a quella in via di approvazione a San Francisco; e lo stesso ha fatto quello di Oakland. Ma analoghe misure sono state proposte anche per lo Stato e la città di New York.

Il Parlamento della California si sta a sua volta muovendo: il 20 marzo è stata presentata in Parlamento una proposta di legge (Assembly Bill 946) che si fregia dell’eloquente titolo “Resist the Wall Act”: la legge vieterà ai fondi pensione di investire nelle imprese coinvolte nella costruzione del muro, “di investire nei valori pieni di odio rappresentati dal muro di Trump”.

Sembra che già 640 imprese, in prevalenza americane, abbiano manifestato il loro interesse a partecipare alla costruzione del “muro della vergogna” (come viene definito in California); fra queste, due grandi imprese (una di Oakland e una di Los Angeles) che hanno recentemente ottenuto grandi contratti pubblici a San Francisco. Anche queste imprese verranno escluse da future gare pubbliche locali se parteciperanno ai bandi per la costruzione del muro.

A due mesi dall’inizio del mandato presidenziale, le ordinanze locali anti-Trump adottate negli USA sono già molteplici e significative; sono l’indicatore di un grande attivismo locale e di una capacità di elaborazione propositiva coraggiosa e lungimirante. Si è cominciato subito dopo le elezioni presidenziali con le iniziative per la tutela della popolazione ‘illegale’ già residente (le cosiddette Sanctuary Cities); si procede oggi con nuove ordinanze prescrittive finalizzate a rendere più arduo il percorso per l’ aggiudicazione dei ricchi appalti per la costruzione del Muro della vergogna.

Probabilmente le ‘liste nere’ avranno un effetto relativamente limitato. E, nel caso avessero effetto, arriveranno immediatamente a sostituire le imprese locali quelle internazionali, attratte dal ghiotto boccone rappresentato dalla colossale opera pubblica. Ma la mobilitazione contro il progetto odioso di Trump, e la capacità di ‘comando e controllo’ manifestata dai governi locali nei confronti delle grandi imprese di costruzione (il divieto al quale ho fatto cenno si estenderebbe anche alle imprese subappaltanti) costituiscono comunque delle esperienze virtuose, ancorate a un modello di cittadinanza aperta e multiculturale.

Insomma, viste dal nostro paese queste esperienze appaiono davvero sideralmente distanti. Quando mai in Italia i governi locali hanno ‘discriminato’ sulla base di motivazioni etico-politiche le grandi imprese di costruzione? Tutt'al più, lo hanno fatto a seguito di interventi della magistratura inquirente. In un paese dove i ‘furbetti del quartierino’ hanno rappresentato soltanto la parte emergente (per sguaiataggine e cinismo) dell’iceberg – purtroppo inattaccabile dal riscaldamento globale - della collusione fra politica e settore immobiliare/finanziario; in un paese nel quale, a livello generalizzato e senza eccezioni, i costruttori e le loro lobby politiche di sostegno continuano a spadroneggiare in totale libertà (e spesso opacità) nella trasformazione urbana e nel saccheggio del territorio, la battaglia di San Francisco e delle altre città americane ci attrae poichè ci propone strategie e azioni di buon governo. Certo, l’opera contro la quale si stanno mobilitando le autorità locali appare particolarmente odiosa; ma la risposta che quest'ultime stanno dando costituisce un esempio di Buona Pratica che occorrerebbe saper imitare anche nel nostro paese: un paese nel quale la politica (tutta) appare oltre che completamente asservita alle logiche immobiliari anche particolarmente imbelle e senza fantasia.

1) Il Board of Supervisors è costituito da 11 membri eletti dai Distretti e garantisce il supporto giuridico per le decisioni dell’amministrazione locale.

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