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Simone Rusci
Lezioni di Piano. Architettura vs Urbanistica.
4 Agosto 2013
Scritti ricevuti
Se la progettazione architettonicariesce ad esprimersi in modo più efficace della pianificazioneurbanistica, si tratta soprattutto di questioni di linguaggio, oanche in parte di contenuti? Ed è possibile uscire da questa speciedi vicolo cieco?

La recente inaugurazione del QuartiereLe Albere a Trento, progettato da Renzo Piano, riportainevitabilmente a riflettere su di un tema antico quanto attuale:l'intimo, imprescindibile e contrastato rapporto tra urbanistica earchitettura. Il nuovo quartiere, come del resto molti altri suoicugini europei, sembra affermare con forza il fallimentodell'urbanista, almeno nell'accezione canonica invalsa nell'ultimosecolo, e consolidare invece la figura dell'architetto quale soggettoefficace ed unico della trasformazione e progettazione urbana, lavittoria della disciplina architettonica su quella urbanistica.
Gli edifici sono belli,contestualizzati, funzionali, tecnologicamente all'avanguardia, inlinea con i più avanzati standard di sostenibilità dei consumi masono molto più interessanti, e qui l'oggetto della riflessione, lesoluzioni prospettate a scala urbanistica ed urbana: divisione deiflussi carrabili e pedonali, elevata dotazione di standard (nel casodei parcheggi opportunamente integrati e collocati negli interrati,diversamente peraltro da quanto fatto dallo stesso Renzo Piano nelcentro commerciale di Nola), un qualificato e progettato spaziourbano, mixitè di funzioni dove il centro commerciale della grandee media distribuzione trova il modo di coesistere con residenze eduffici, senza dover essere esiliato in un macro-lotto di periferiacircondato da un deserto di parcheggi, insomma la creazione di unpezzo di città e non di una addizione periferica.
Alla base di tutto questo unacostruzione architettata, prima che architettonica, del progetto dicittà, dove le diverse discipline – dall'arredamentoall'urbanistica passando per la composizione, la tecnologia e laprogettazione ambientale – sono attraversate e sorrette daun'ossatura indispensabile: l'idea di città, ciò che Aldo Rossidefiniva il “fatto urbano” (Rossi 1978),
Il quartiere trentino non è certo ilprimo esempio di un tale atteggiamento, lo stesso Renzo Piano avevagià dimostrato simili capacità nella reinvenzione dellaPotzdammerplatz a Berlino o nella Cité Internationale di Lione enumerosi potrebbero essere gli analoghi interventi di altri autorisparsi un po' per tutta l'Europa. Esempi iper pubblicati, apprezzatidalla critica come dal grande pubblico, visitati, partecipati,divenuti cartoline dalla città contemporanea, mete turistiche,monumenti creati grazie anche all'accelerazione storica dellasub-modernità (Augè). Linguaggi criticabili, perfino in certicasi patologici ma sicuramente compresi.
Dall'altra parte l'urbanistica: avvoltanel groviglio normativo, nei regolamenti perequativi, nella codificadi procedure, nelle zonizzazioni. Un'urbanistica arroccata in unlinguaggio di settore, tecnicista, parametrizzata, della quale èdifficile capire il fine; talmente lontana dalla comunità che ècostretta a inventare strumenti normativi per indurre fenomeni dipartecipazione che in passato sarebbero stati, al contrario, dacontenere in intensità. Un' urbanistica strangolata da una politicamatrigna incapace di realizzare una città attraverso una propriaidea di città (Rossi). Un'urbanistica difficile da comprendere eancora più difficile da comunicare.
Viene allora da chiedersi cosa nonabbia funzionato, quali siano le motivazioni di una simile alternanzadi fortune. Se esse siano di natura ontologica, legate alla categoriefondamentali dei fenomeni, oppure se al contrario debbano essereimputate ad una contingenza, ad un aggrovigliamento evolutivo, ad unaerrata declinazione della disciplina in rapporto alle esigenze edalle aspettative della società contemporanea.
La fortuna degli architetti tenderebbein prima analisi a confermare la natura individuale dei fatti urbani(Rossi), la necessità di operare una scelta demiurgica seguendopercorsi e metodi di natura prettamente artistica. Sarebbe peròdifficile da giustificare in questa visione - se non come fortunataeccezione - la grande produzione dell'urbanistica che, a partire dadalla metà del 700 fino al movimento moderno, è stata il luogodelle grandi speranze sociali (Benevolo), delle tecniche e dellescienze che incontrandosi hanno dato vita alle grandi vette delladisciplina.
E' forse più probabile allora chequalcosa non abbia funzionato nel percorso evolutivo, che la stradaimboccata ci stia portando agli esiti evolutivi del pavone chesviluppando la sua bellissima coda si è reso facile vittima deisuoi predatori. I problemi di linguaggio, o meglio di comunicazione,che affliggono l'urbanistica e la rendono distante dall'interessedelle masse, potrebbero essere allora ricondotti ad una nuovaspeciazione che sta interessando la pianificazione, unarisuddivisione dei saperi e delle discipline che tendono aspecializzarsi ed evolversi secondo metodi, approcci e linguaggidifferenti.
Apporti disciplinari parziali, semprepiù perfetti quanto più distanti dall'obiettivo ultimo chedovrebbe essere l'uomo e lo spazio entro il quale vive, distantidall'esperienza sensibile dei non addetti ai lavori. “E' importantesoltanto ciò che può essere visto: dunque la singola strada, lasingola piazza” affermava più di un secolo fa Camillo Sitte(Sitte).
Il superamento dell'illusione moderna eil successivo riconoscimento della complessità dei fenomeni urbanie territoriali ci ha invece spinti ad una nuova separazione perparti, che possano essere sondate attraverso gli strumenti dellescienze pure e poi ricomposte, per addizione, in un corpo unico,mediante procedure codificate divenute esse stesse più importantidi ciò che legano; la ricerca di una “unità facile”, daottenersi attraverso un processo esclusivo e non di una “unitàdifficile” frutto di un processo inclusivo (Venturi).
Ciò che prima era legato da rapportiarmonici ed integrati appare oggi come una sovrapposizione divirtuosismi di singoli strumenti in una sinfonia cacofonica didifficile comprensione. Gli strumenti dell'urbanista, affinati esviluppati scientificamente, divengono in questo quadro il fine e nonil mezzo, assumono lo status di discipline autonome e vengono spessoscambiati dal grande pubblico per l'urbanistica “vera”.
Se la figura dell'architetto è bennota, apprezzata e popolare tanto da essere spesso caricaturizzata(si pensi all'archistar Fuffas di Maurizio Crozza), l'urbanista èqualcuno che stenta a trovare una sua precisa collocazionenell'immaginario collettivo, a cavallo tra fumose visioni di tipopolitico-burocratico o scientifico- accademiche.
Da una partel'urbanista-professionista, incaricato dalla Pubblica Amministrazionedi redigere i piani, visto come un legislatore, un produttore dinorme edilizie, un politico (o un politicizzato) più che come ilprogettista della città e del territorio; dall'altra l'accademico,lo scrittore, lo scienziato impegnato nello studio e nelladefinizione di evoluti sistemi di analisi e di sintesi. Entrambi conlinguaggi comunque distanti dai cittadini, dagli abitanti: il primoadoperante il difficile lessico della norma, della giurisprudenza,delle sentenze e delle leggi sovraordinate che sembrano sempretogliergli lo spazio di manovra e il secondo concentrato, spesso,nell'esercizio di quei virtuosismi strumentali e settoriali che nonsempre conducono all'armonia; comunicatore di parti di un tutto,apprezzabili solo da esperti. Una bipartizione che del resto siriscontra effettivamente nell'urbanistica contemporanea, dove lapratica ordinaria sembra non comunicare abbastanza con il mondoaccademico e viceversa.
Gli urbanisti si comportano insommacome un negoziante che nel vendere un televisore, invece di elogiarela qualità dell'immagine trasmessa, si lanciasse in una dottadisquisizione sulle caratteristiche del silicio con cui sono fatti imicro-chip interni: gli esiti commerciali e l'interessedell'acquirente non sarebbero troppo diversi da quelli che siriscontrano oggi di fronte alle tematiche urbanistiche.
E forse opportuno allora ricondurre ladiscussione urbanistica su temi concreti, sul modello di sviluppodella città del futuro e sulle sue sfide - come di recente ha fattoCino Zucchi intervistato sulle pagine di Repubblica - magarianche sull'utopia (vedi la postilla di Fabrizio Bottini al citatoarticolo), sulle “singole strade e singole piazze” di Sitte,sullo spettro sensibile entro il quale si muovono - sempre enaturalmente “in variante” - gli architetti. Dimostrare come ilrigore e la ricchezza scientifica dei nuovi strumenti di analisipossa incidere, grazie alla sintesi dell'urbanista, sulle persone,sul loro spazio di vita, sulle uguaglianze e differenze di cui parlanel suo ultimo libro Bernardo Secchi (Gregotti, 2013); come l'urbanistica sia il terreno fertile dove fargermogliare le diverse discipline, scientifiche, sociali, ambientalie di qualsiasi altra natura, che ne costituiscono le componenti.
Esiste infine una terza spiegazioneall'incomunicabilità tra abitanti e urbanisti (ma non ci piace) ecioè che gli spazi pubblici, la città, non sia più cosìcentrale nella formazione civica e politica degli abitanti, che nesia solo una componente (Amin 2008); che la sfera pubblica possasvilupparsi in luoghi virtuali (Crang, 2000) e che la nostraesperienza collettiva possa evolvere senza luoghi e senza spaziopubblico, senza urbanisti e, forse, senza architetti.
Riferimenti bibliografici
Amin A. (2008), "Collective Culture andUrban Pubblic Space", in Cities, vol. 12, I.
Augè M. (2004), Rovine e Macerie, ilsenso del tempo, Bollati Boringhieri.
Benevolo L. (1963), Le originidell'Urbanistica moderna, Laterza.
Crang. M. (2000), "Pubblic Space, UrbanSpace and Elettronic Space: Would the Real City please Stand Up?" in Urban Studies, vol. 37.
Gregotti V. (2010), Tre forme diarchitettura mancata, Einaudi.
Gregotti V. (2013) "Città più grandie più ingiuste", Corriere della Sera 03/08/2013

Moroni S. (2013), La città responsabile, Rinnovamento istituzionale e rinascita civica, Carocci editore.
Piccoli C. (2013) "La città ristretta", intervista a Cino Zucchi, la Repubblica 30/06/2013
Rossi A. (1978), L'architettura della città, Città Studi edizioni.

Secchi B. (2000), Prima lezione di urbanistica, Laterza.
Secchi B. (2013), La città dei ricchi e la città dei poveri, Laterza.
Sitte C. (1889), Der Stadtebau nach seinen kunsterlischen Grundsatzen, ed. ital. a cura di Luigi Dodi (1953) L'arte di Costruire la città, Vallardi editore.
Venturi R. (1966), Complessità e contraddizione in architettura, Edizioni Dedalo.
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