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Rahul Mehrotra
Metropoli liquide. Un bazaar chiamato Mumbai
5 Febbraio 2013
Città quale futuro
«Fluida, dinamica, mobile e temporanea, spesso strategia di sopravvivenza, la "kinetic city" ricicla le proprie risorse, imponendo una presenza con mezzi molto limitati».

«Fluida, dinamica, mobile e temporanea, spesso strategia di sopravvivenza, la "kinetic city" ricicla le proprie risorse, imponendo una presenza con mezzi molto limitati». Il manifesto, 5 febbraio 2013

Le città dell'India che, con ogni probabilità, diventeranno alcuni dei più grossi conglomerati urbani del ventunesimo secolo, sono caratterizzate da una serie di contraddizioni sia fisiche che visive che convivono in un contesto di «pluralismo». Ma questo non è un fenomeno recente: se storicamente, soprattutto durante il dominio britannico, i vari mondi di queste città - economico, sociale o culturale - occupavano spazi diversi e operavano secondo regole differenti, al fine di massimizzare il controllo e minimizzare la conflittualità fra mondi opposti, oggi i medesimi mondi condividono lo stesso spazio, ma lo interpretano e lo utilizzano con modalità divergenti. Le enormi ondate di povera migrazione rurale, iniziata negli anni Cinquanta, hanno promosso la convergenza di questi mondi in una realtà unica ma composita. Abbinato all'insufficiente disponibilità di territorio urbano e alla mancanza di nuovi centri urbani, questo fenomeno ha determinato un'altissima densità demografica nelle città esistenti. Inoltre, con l'emergenza di un'economia postindustriale basata sui servizi, questi mondi sono divenuti sempre più interconnessi all'interno dello stesso spazio.

Oltre la monumentalità


Oggi le metropoli indiane comprendono due componenti che si dividono lo stesso spazio fisico: la «città statica» e la «città cinetica». La prima, costituita da materiali più permanenti come cemento, acciaio e mattoni, viene percepita come un'entità monumentale e bidimensionale presente sulle cartine tradizionali. La città cinetica - incomprensibile come entità bidimensionale - viene percepita come una città in movimento, un costrutto tridimensionale in progressivo sviluppo. Ha una natura temporanea, ed è spesso costruita con materiali riciclati - fogli di plastica, rottami metallici, tela e legname di scarto. Si modifica e si reinventa costantemente. La città cinetica non viene percepita in termini architettonici, piuttosto in termini di spazi caratterizzati da un valore associativo e un'esistenza ausiliaria. La sua forma e la sua percezione sono determinate da modelli di occupazione. Si tratta di un'urbanizzazione indigena con la sua particolare logica «locale». Non è necessariamente la città dei poveri, come potrebbe essere suggerito dalla maggior parte delle immagini; è piuttosto un'articolazione temporale e un'occupazione dello spazio che non solo dà vita a una percezione più chiara dell'occupazione spaziale, ma suggerisce anche il modo in cui i limiti spaziali possono venire espansi per incorporare usi precedentemente inimmaginabili in popolose situazioni urbane.
La città cinetica offre una visione potente, che facilita la comprensione dei contorni sfumati dell'urbanizzazione contemporanea e del ruolo in costante evoluzione degli abitanti e degli spazi della società urbana. Le crescenti concentrazioni dei flussi globali hanno esacerbato le disuguaglianze e le divisioni spaziali delle classi sociali. In un siffatto contesto, un'architettura o un urbanesimo di uguaglianza, in una situazione economica sempre più iniqua, richiedono un'esplorazione approfondita che permetta di reperire un'ampia gamma di spazi per evidenziare e commemorare la cultura di coloro che sono stati esclusi dagli spazi dei flussi globali. Questi non provengono necessariamente dalla produzione architettonica formale; anzi, spesso la mettono in discussione. Qui l'idea di una città è una condizione urbana elastica - non una grandiosa visione, ma un grandioso «adattamento».
La città cinetica, con il suo aspetto simile a un bazaar, è un po' la rappresentazione simbolica della condizione urbana emergente dell'India. Processioni, matrimoni, festival, venditori ambulanti e di strada, e abitanti degli slum, creano tutti insieme un paesaggio urbano in costante trasformazione: si tratta di una città in continuo movimento, il cui tessuto sociale è appunto caratterizzato dalla sua natura dinamica. Nel frattempo, la città statica - dipendente, per la propria realizzazione, dall'architettura - cessa di essere l'unica chiave di lettura della città. Di conseguenza, l'architettura non è l'aspetto «spettacolare» della città, anzi non ne rappresenta più nemmeno l'immagine dominante. Per contro, i festival come Diwali, Dussera, Navrathri, Muhharam, Durga Puja e Ganesh Chathurthi sono emersi come espressione della città cinetica, e la loro presenza nel paesaggio quotidiano pervade e domina la cultura popolare visiva delle metropoli indiane.
Rapporti simbiotici

Ovviamente, la città statica e quella cinetica trascendono le loro evidenti diversità per instaurare un rapporto molto più ricco, sia a livello spaziale che metaforico, di quanto non venga suggerito dalle loro manifestazioni fisiche. Affinità e rifiuto coesistono in uno stato di equilibrio mantenuto da una tensione apparentemente irrisolvibile. L'economia informale della città illustra efficacemente l'esistenza amalgamata e interconnessa di città statica e città cinetica. In quest'ultima, l'imprenditoria è un processo autonomo, una dimostrazione della possibilità di fondere formale e informale in un rapporto simbiotico. Numerosi servizi informali, da servizi bancari a trasferimento di fondi, da corrieri a bazaar elettronici, stimolano la nascita di reti e rapporti all'interno della comunità che permettono di utilizzare abilmente la città statica e le sue infrastrutture al di là dei margini prestabiliti.
Queste reti creano una sinergia che dipende dall'integrazione reciproca, senza ostinarsi a ricorrere a strutture formalizzate.
La città cinetica è il luogo in cui l'intersezione fra bisogno (spesso ridotto a mera sopravvivenza) e potenziale non utilizzato delle infrastrutture esistenti dà luogo a nuovi servizi innovativi. Quindi, riversa la saggezza locale nel mondo contemporaneo senza temere la modernità, mentre la città statica aspira a cancellare la dimensione locale per ricodificarla in un ordine scritto «macro-morale».
L'espansione del «margine»
La questione degli alloggi illustra molto efficacemente il processo di riorganizzazione della città cinetica da parte della città statica. A Mumbai, ad esempio, circa il 60% della popolazione non ha accesso a un alloggio formale. Questa popolazione occupa circa il 10% dello spazio urbano in insediamenti che vengono localmente definiti slum. Si ritiene che circa il 70% della popolazione sia impiegata in attività informali. Questo numero è aumentato con la nuova economia liberale che limita il potere contrattuale frammentando la forza lavoro delle città.
La popolazione subalterna che vive negli spazi interstiziali delle città - ai margini delle strade, in canali di drenaggio (nalla), ai margini delle ferrovie - deve fare i conti con i mezzi innovativi utilizzati nella vita di ogni giorno. Antenne paraboliche e una rete di fili elettrici si affiancano ad abitazioni coperte di fogli di plastica, o i cui muri sono costituiti da bidoni vuoti. Questi sviluppi rappresentano un caleidoscopio di passato, presente e futuro, compressi in un tessuto organico di stradine e vicoli ciechi, di un paesaggio urbano labirintico che si modifica e si reinventa costantemente. La città cinetica, come un organismo vibrante, si colloca e ricolloca nell'ambito di una città in incessante movimento. Flusso, instabilità e indeterminatezza sono fondamentali per la città cinetica.
Le soventi demolizioni indeboliscono la già tenue occupazione del territorio da parte degli abitanti di questi insediamenti, inibendo qualsiasi volontà di investimento volto a migliorare le proprie condizioni di vita fisiche da parte degli occupanti. Così la città cinetica è fluida e dinamica, mobile e temporanea (spesso come strategia volta a evitare lo sfratto) e non lascia rifiuti dietro di sé: ricicla di continuo le proprie risorse, facendo efficacemente sentire la propria presenza con mezzi molto limitati.
L'urbanizzazione dell'India rappresenta un'affascinante intersezione in cui la città cinetica, un paesaggio fisico di distopia, e pur tuttavia un simbolo di ottimismo, sfida la città statica, codificata all'interno dell'architettura, a riposizionare e ricreare la città nel suo complesso. La città cinetica costringe quella statica a reintegrarsi nelle attuali condizioni dissolvendo il suo progetto utopico e spingendola a fabbricare dialoghi multipli con il suo contesto. Potrebbe diventare questa la base per una discussione razionale sulla coesistenza? O l'emergente urbanizzazione dell'India è intrinsecamente paradossale, e la coesistenza delle città statiche e cinetiche, con i rispettivi stati di utopia e distopia, è semplicemente inevitabile? La configurazione spaziale che permette tale simultaneità può essere concepita formalmente?
Nonostante le molte potenziali disgiunzioni, ciò che viene celebrato da questa lettura della città sono i processi dinamici e pluralisti che costituiscono il paesaggio urbano dell'India. All'interno di tale urbanizzazione, le città statiche e cinetiche coesistono e sfumano, inevitabilmente, in un'entità integrata, anche se momentaneamente, creando i margini di adattamento che le loro simultanee esistenze richiedono.
Traduz. di Adriana Tortoriello

Il testo qui pubblicato - per gentile concessione dell'autore - è un estratto della ricerca che Rahul Mehrotra, 52 anni, sta conducendo riguardo il concetto di «Kinetic City», uno studio sugli spazi emergenti che funzionano da fattori agglomeranti per nuove comunità. Mehrotra è architetto praticante, urbanista ed educatore. Presso la Graduate School of Design dell'Harvard University, è docente di Progettazione urbana e di Urbanistica e direttore del Dipartimento di pianificazione e progettazione urbana, nonché membro del comitato direttivo dell'Harvard's South Asia Initiative. Lo studio di Mehrotra, Rma Architects, ha sede a Mumbai. Fondato nel 1990, ha eseguito un gran numero di progetti in tutta l'India, che vanno dalla progettazione d'interni all'architettura urbanistica, alla conservazione e alla pianificazione. Mehrotra è membro del consiglio di amministrazione dell'Urban Design Research Institute (Udri) e di Partners for Urban Knowledge Action and Research (Pukar), entrambe con sede a Mumbai, e ha scritto e tenuto numerose conferenze sull'architettura, la conservazione e la pianificazione urbana. Ha realizzato alcuni importanti edifici, come l'Hewlette Packard a Bangalore. Il «Giornale dell'architettura» l'ha indicato, in una ipotetica mappa del potere, fra i cento personaggi più influenti nel suo campo.
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