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Lucia Proto
Cronaca di un terremoto annunciato
18 Febbraio 2010
La testimonianza di una giovane architetto abruzzese, in presa diretta dal terremoto. Scritta per eddyburg e chi vuole riprenderla

Avezzano, 6 aprile 2009, ore 3.20

Il letto matrimoniale, dove mio marito ed io dormiamo, inizia a sobbalzare violentemente, un boato sordo, rumori degli oggetti che si infrangono: capisco subito, è il terremoto; è come se, da quando vivo qui, lo avessi sempre aspettato.

Avezzano, 13 gennaio 1915, magnitudo 6.8, persone morte 30.000.

La mia famiglia di origine viveva a quell’epoca ad Aielli alto, un piccolo centro della Marsica, abbarbicato sulle pendici del Monte Sirente, la casa andò completamente distrutta, qualche osso rotto ma la mia bisnonna, zia Teresa e zia Maria riuscirono a salvarsi stringendosi in un angolo.

Successivamente, si spostarono a valle, insieme a loro altri sopravvissuti e nacque così Aielli Stazione.

Io sono nata e cresciuta a Roma, ma quell’esperienza è divenuta mia.

Qui, nelle terre d’Abruzzo, passa la linea, profonda centinaia di chilometri che crea i continenti, che alza le montagne, che conforma il nostro paesaggio, qui gli umani devono convivere con il movimento della terra, come aspetto della vita stessa e non della distruzione.

Convivere con il terremoto, significa attribuire un compito scientifico all’architettura, credere nel ruolo di questa scienza che studia le tecnologie del vivere degli umani nello spazio, nella sicurezza, nel rispetto della natura e insegna a non costruire involucri amorfi, non funzionali e pericolosi.

I politici e i professionisti dovrebbero tornare a svolgere ognuno il proprio ruolo, un ruolo che si muove dalla necessità di ottimizzare il benessere della propria collettività, il territorio dovrebbe essere studiato, monitorato continuamente, come pure le persone che lo vivono, e fisici, geologi, architetti, ingegneri, urbanisti, economisti, politici dovrebbero creare delle squadre di lavoro per pianificare le soluzioni più appropriate per ogni attività umana.

Non si può lasciare alla speculazione, alla mafia, ai miseri interessi personali di qualcuno, la dinamica del territorio. Sono troppo importanti e catastrofici gli esiti di quest’abbandono; questo cattivo uso è sotto gli occhi di tutti ogni qualvolta si attribuisce solo alla natura, alla ineluttabilità del destino eventi prevedibili e annunciati, quali: la frana del Vajont, le alluvioni in Piemonte, Val d’Aosta, Genova, causate dalla cementificazione degli argini dei fiumi.

Inizio a gridare Marta, Marta, il nome di mia figlia e insieme a Giovanni, mio marito correndo tra i vetri rotti, raggiungiamo la sua camera, la prendo in braccio e ci mettiamo rannicchiati e attoniti, vicino ad un pilastro, sotto ad un trave del nostro appartamento al terzo piano di una palazzina di cemento armato degli anni ‘60.

Spesso ho riflettuto su cosa sarebbe potuto accadere alla mia casa e agli edifici di Avezzano, se si fosse verificato nuovamente un grande sisma, come quello del ‘15, come quello di L’Aquila, e ho immaginato tutto ciò di cui sono venuta a conoscenza adesso, a distanza di qualche giorno.

Oggi, Avezzano è una cittadina “ricostruita”, dopo la completa distruzione, senza regole architettoniche, alti palazzi di cemento armato attaccati a villini di due piani, senza regole di esposizione, di staticità, senza una distribuzione funzionale dell’edificato, in poche parole senza “urbanistica” – costruzioni che piano, piano fagocitano per speculazione il “vecchio”. Pensate: non c’è ancora un Piano di Recupero che tuteli il centro storico, così importante perché “monumento” della rinascita della città stessa-. Sembra che tutte le vicende dolorose del passato, il lutto venga superato da un effetto catartico della “ricostruzione” continua, del “tutto gnovo” come viene detto qui. E tutto viene ricostruito con quel sapore di nuovo, di lindo, di pulito che cancella i ricordi di povertà, della vita dura contadina e viene rivissuto in forma spontanea fidandosi del prossimo, ma quale?

L’Architettura, questa scienza dimenticata che ha il compito di studiare la conformazione, le dinamiche fisiche, idrogeologiche, morfologiche ma anche sociali, economiche e politiche del territorio per programmare la migliore vita e sviluppo di questo, purtroppo non viene utilizzata.

I Piani Regolatori Generali, che dovrebbero raccogliere tutte le istanze territoriali, proprie e singolari di ogni luogo sono diventati delle zonizzazioni fatte in modo superficiale, decise da interessi del momento, che non nascono dallo studio scientifico delle effettive caratteristiche delle aree, ma dettano una serie di leggi burocratiche lontane dalla realtà che dovrebbero rappresentare.

Subito dopo, la bambina si sente male e vomita, siamo spaventati e Marta lo sente, non andiamo via poiché il moto nel frattempo sembra che si sia calmato, la laviamo e cambiamo; poi, accendiamo la televisione per vedere se qualcuno ci da informazioni su quello che sta accadendo.

Ma nulla, sono le 4:30, nessuna rete, nessuna istituzione, nessun tecnico, fisico, scienziato, giornalista ci informa. Era da Natale che quotidianamente ci avvisavano delle continue scosse.

Un’altra scossa forte, un altro rumore sordo, gli oggetti della mia credenza vibrano, una bottiglia schizza via dal vassoio, vorremmo scendere in strada, ma è molto freddo, stringo a me la mia bambina, sento che la sua fronte brucia, ha la febbre, così incoscienti del pericolo, restiamo ancora in casa, sperando che non si danneggi.

Stringo Marta tra le braccia, non la lascio mai, lei parla con una voce flebile e dice: “aiuto, aiuto”. Marta ha ventitre mesi.

Penso alla nostra casa di cemento armato, spero che sia fatta bene e che resista, anche se so che potrebbe andare distrutta.

Sono le 5:00, finalmente Rai news 24, due giornalisti riferiscono della scossa delle 3:20, ma quello che avrei voluto sapere, non lo dicono, di che tipo di sisma si tratta, se ci saranno ancora a breve altri movimenti, se dobbiamo scappare, dove dobbiamo andare, no, nessun collegamento con la Protezione Civile, con un Centro di Monitoraggio dei sismi, con i Vigili del Fuoco, ma subito ci investe quel sadico gusto di voyeurismo che scava nella ricerca di morte, di terrore, che, purtroppo, va tanto di moda adesso.

Inizia così il grande show, il “Reality” più vero e catastrofico che abbiate mai visto!

Le reti Mediaset vanno avanti sino alle 8:00 del mattino con le loro programmazioni registrate, la Rai e Sky fanno la cronaca di quello che sta accadendo a L’Aquila, ma nessuno era preparato, i soccorsi non arrivano sino all’alba.

Dopo tanti mesi di ripetute scosse sismiche, verificatesi sempre nel territorio di L’Aquila, la gente doveva essere messa a conoscenza del pericolo, doveva essere preparata ad evacuare velocemente gli edifici, la cittadinanza intera con l’assistenza della Protezione Civile e dei Vigili del Fuoco avrebbero dovuto avere un Piano di Evacuazione e averlo provato molte volte. Le tende della Protezione Civile dovevano essere già pronte e operative in un area sicura, in modo che tutti potessero anche aver già portato via le proprie cose. Le persone anziane residenti nelle vecchie case dovevano essere già evacuate.

Prevenzione; questo, in primo luogo significa convivere con i sismi, essere preparati, educati al comportamento della terra, della natura, vicini ad esso per continuare a vivere insieme.

In questi giorni di angoscia, spesso si è parlato di un fisico che aveva rilevato, attraverso lo studio delle emissioni di radon dal terreno, che un fortissimo sisma si sarebbe abbattuto nel territorio di Sulmona.

Nessuno ha ritenuto doveroso interrogare questa persona, nessuno si è detto, ascoltiamo quello che ha scoperto, verifichiamolo insieme, approfondiamo le sue ricerche, anzi colui è stato denunciato per procurato allarme, e ad oggi la Protezione Civile si giustifica ancora dicendo che egli aveva sbagliato il luogo dell’epicentro.

Sulmona è a pochissimi chilometri da L’Aquila, circa 40 km, che cosa è questa distanza quando si parla di terremoti? Sarebbe stato troppo oneroso provvedere a più piani di evacuazione per salvare vite umane? Magari a metà strada.

L’Abruzzo ma l’Italia intera sono territori in cui si concentrano molteplici ed intense dinamiche ambientali, quali: attività sismica, vulcanica, idrogeologica, franosa, alluvionale, e dovrebbe essere il nostro comportamento naturale saper gestire questi eventi nel modo più sicuro possibile, attraverso il monitoraggio continuativo di questi e lo studio e la ricerca di mezzi e tecnologie sempre più all’avanguardia per ridurre il rischio.

Un popolo civile deve mirare a questo se vuole veramente progredire e stare bene, investire sulla ricerca, sulla sicurezza, sulla tecnologia.

Eppure, noi Italiani siamo conosciuti nel mondo scientifico per il nostro importantissimo Laboratorio del Gran Sasso, dove si studia la materia oscura e si fanno scoperte fondamentali per la conoscenza dell’universo intero.

Dovremmo gareggiare con i Giapponesi nello sperimentare nuove tecnologie architettoniche anti-sismiche e non lasciare che muoiano le persone, i bambini, i nostri studenti, il nostro futuro.

Invece, l’INGV, Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, i cui dipendenti versano in condizione di precariato, perché attualmente non percepiscono più dal Governo i fondi per la ricerca, negli anni ’90, dopo studi approfonditi suddivisero il territorio Italiano in 4 categorie di gravità sismica, L’Aquila, come tutto l’Abruzzo era categoria 1 e cioè ogni edificio avrebbe dovuto avere il massimo della sicurezza e l’applicazione di tutta la normativa anti-sismica, ma nel 2003, quando la Regione Abruzzo dovette definire la propria normativa anti-sismica, L’Aquila e l’Abruzzo intero passarono alla categoria 2, ovvero minor applicazione delle strutture anti-sismiche.

Il cemento armato non è un punto di arrivo, questo è solo un tipo di tecnologia edificatoria, ma altri tipi potrebbero lavorare meglio e in maggior sicurezza per ogni diversa caratteristica territoriale, il legno sarebbe più adeguato in un territorio altamente sismico, per la sua elasticità, leggerezza, sicurezza.

Il mio Prof. di Tecnica delle Costruzioni, Ing. Antonio Michetti sostiene che il cemento armato, comunque monitorato continuamente, ha una vita media di 100 anni.

In televisione scorrono le immagini delle macerie, tonnellate di pezzi di cemento, di enormi travi, dalle sezioni di un metro e mezzo della Casa dello Studente, vedo che i tondini sono in quantità esigua e di sezione sottilissima, dicono che sotto ci sono ancora cinque ragazzi o forse di più, ho un nodo nella gola, il dolore insieme alla rabbia per queste vite spezzate che guardavano al futuro; e ripenso a me, quando ero studente, ai sogni di ciò che avrei potuto fare una volta laureata, di ciò che avrei potuto creare, questi ragazzi avevano gli stessi sogni e credevano in un Italia migliore di quella che è oggi.

Adesso, è necessario ripartire, ricostruire, si, il più velocemente possibile per tutte le persone che non hanno più niente, per un territorio che deve vivere; ma è doveroso, non ripercorrere gli stessi errori, cercare di fare meglio, avere la forza e il coraggio di cambiare, di ricercare e sperimentare nuove tecnologie architettoniche.

Ripartire dalla conoscenza del proprio territorio, individuare le aree sicure, funzionali, in equilibrio con la natura ed il paesaggio, non rifare involucri, scatole dislocate casualmente.

Il patrimonio artistico architettonico di L’Aquila e dei paesi limitrofi è andato in gran parte distrutto, è bene iniziare a gestire questo patrimonio in modo diverso, ricostruirlo consolidandone le strutture, ma anche dandogli una funzionalità diversa.

Gli antichi edifici del centro storico di L’Aquila, non potranno essere più gravati nuovamente della destinazione a Polo Universitario, destinazione che necessita di spazi grandi e altamente tecnologici, è bene che si crei un Polo Universitario moderno, decentrato che abbia la capacità di accogliere il flusso di migliaia di persone.

I piccoli comuni dovranno dotarsi di Piani di Recupero dei centri storici, o comunque prevedere che anche le vecchie stalle crollate, che in gran parte ne compongono il tessuto edificato possano essere restaurate e destinate ad altre funzioni e non sottoposte a Piani Regolatori molto spesso inadatti, perché copie di altri Piani, di altre località.

In questi centri storici, la normativa prevede che non risiedano più animali per motivi d’igiene pubblico, ma poi, non permette di restaurare antiche stalle in pietra, con soffitti voltati, per farne delle abitazioni, perché i soffitti sono di 2,65 m invece che di 2,70 m previsti dagli standard abitativi applicati alla nuova edificazione.

E’ vero che deve esistere una normativa urbanistica ed edilizia di carattere generale, ma ogni luogo deve anche avere la sua particolare ed unica normativa che regoli e gestisca i caratteri singolari della vita, dello sviluppo, delle architetture e della storia del proprio tessuto urbano. Allora, significa che tutto l’edificato medievale di Siena, dell’Umbria, delle Marche non è abitabile perché i soffitti sono più bassi di 2,70m? Che tutti gli edifici antichi che caratterizzano i nostri centri debbano diventare delle cellule amorfe, versando in stato di abbandono per poi crollare, insieme a tutto il resto?

L’Italia ha bisogno di una gestione intelligente e lungimirante del territorio e non di un insieme di norme che da una parte vietano interventi di recupero architettonico di qualità e dall’altra permettono l’abusivismo, la totale mancanza di architettura e un uso indiscriminato e legalizzato di cemento.

Chiunque può pubblicare questo articolo alla condizione di citare l’autore e la fonte come segue: tratto dal sito web http://eddyburg.it

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