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Eddytoriale 129 (30 settembre 2009)
30 Settembre 2009
Eddytoriali 2008-2009

La tesi che è stata ribadita è sintetizzabile in quattro punti: 1) la proposta di promuovere l’ampliamento delle costruzioni esistenti non ha nulla a che fare con il problema della casa, che esiste ma ha bisogno di provvedimenti di segno radicalmente diverso; 2) quel “piano casa” è un grimaldello per scardinare il sistema di regole sul territorio (la pianificazione urbanistica) il cui fine è dirigere le trasformazioni del territorio verso finalità d’interesse generale, sostituendole con il rafforzamento della speculazione immobiliare; 3) in particolare, l’effetto principale del “piano casa” è proseguire la distruzione del paesaggio italiano e contrastare l’attuazione di quel “codice dei beni culturali e del paesaggio”, che costituisce l’estremo tentativo di tutelare quel bene, d’interesse della Repubblica e perciò tutelato dalla Costituzione, che è il nostro paesaggio; 4) le regioni, e in particolare quelle amministrate dal centro sinistra, hanno avuto il grave torto di avallare la logica di quel “piano casa”, di attuarla prima ancora che il governo trasformasse in norma statale le premesse dell’intesa con le regioni, accentuandone addirittura (come nel caso della Campania) gli elementi negativi, e comunque accettandone la logica perversa.

Il problema della casa esiste. Esso non dipende dal fatto che i volumi edificati siano inferiori al fabbisogno, ma dalla differenza tra il costo della casa e il prezzo che possono pagare quelli che di casa hanno bisogno (i giovani, la maggioranza dei lavoratori dipendenti, gli immigrati, per non parlare di quei “poveri” il cui numero sta aumentando), dal fatto che le case in affitto sono in Italia molto inferiori a quanto sarebbe necessario per garantire una ragionevole mobilità territoriale, che gli alloggi a prezzi accessibili sono spesso distanti dai luoghi di lavoro e obblighino a stressanti trasferimenti da casa a lavoro. Affrontare questo problema non ha nulla a che fare con il promuovere l’aumento di cubatura delle abitazioni esistenti (cioè con l’aumento del patrimonio di chi la casa l’ha già), e meno ancora con l’incremento delle cubature di alberghi o capannoni industriali. Richiederebbe un vasto programma di edilizia pubblica, finanziata dallo stato e realizzata su aree pubbliche, concessa in affitto a chi ha bisogno di abitazione, depurata dall’incidenza dell’incremento della rendita fondiaria. Quel programma che fu concepito e avviato negli anni Settanta e poi smobilitato a partire dagli anni Novanta. Di questo parleremo un’altra volta.

M’interessa invece riferire della recente polemica, nella quale sono stati ripresi temi ampiamente trattati su eddyburg.it. Essa è partita da un articolo di Salvatore Settis, il prestigioso direttore della Scuola normale di Pisa, autorevole presidente del Consiglio superiore dei beni culturali fino alle sue dimissioni pochi mesi fa. Settis ha ricordato che le regioni, a partire da quelle di sinistra, hanno attuato il “piano casa” proposto dal premier prima ancora che esso diventasse legge dello Stato, e che «l’aggiunta di volumetrie vietate fu l’oggetto dei condoni edilizi di Berlusconi deprecati dalla sinistra». Ma rileva che ora «le regioni “di sinistra”, sbandierando la dubbia etica del male minore, difendono il proprio piano-casa con un argomento miserevole: perché esso consente devastazioni minori di quelli delle regioni “di destra”». Ampliando il discorso Settis, che ha seguito con grande attenzione le vicende del Codice del paesaggio, rileva che «la convergenza fra governo e “opposizione” non è un caso, è il cuore del problema». E sebbene la nuova disciplina di tutela del paesaggio sia «in un Codice bipartisan, prodotto da due governi Berlusconi e da un governo Prodi non meno trasversale è stata la decisione di rinviarne tre volte l’entrata in vigore».

A Settis hanno risposto subito due esponenti delle regioni di centrosinistra, Maria Rita Lorenzetti dell’Umbria e Riccardo Conti della Toscana. Essi hanno difeso la loro anticipata attuazione dell’inesistente decreto del governo con due argomenti: Umbria e Toscana si sono sempre comportate bene nella difesa del paesaggio (e questo certamente è vero, ma non si comprende perché ora si debba mutare atteggiamento) e che la sinistra deve porre attenzione agli «edili che perdono il posto di lavoro» e tener conto della congiuintura economica. Che da una crisi come quella attuale si possa uscire ripristinando i meccanismi che l’hanno generata (la “bolla immobiliare” non è estranea allo tsunami che si è sollevato dagli USA) è veramente indice di miopia. Che rilanciare un boom edilizio basato sulla deroga ai piani urbanistici come quello che, nell’immediato dopoguerra e con ben altre motivazioni, devastò gran parte dei paesaggi italiani e rese invivibili le città, sembra davvero lontano da una politica “di sinistra”, come ha osservato qualche giorno fa Sandro Roggio su l’Unità. É perciò credibile il rilievo che ha fatto su eddyburg.it Maria Pia Guermandi, quando ha osservato che la scelta delle regioni che si sono accodate al “piano casa” del premier è una scelta «culturalmente suicida» ed è «economicamente avventurosa, miope e arcaica», ma è probabilmente una scelta che i suoi promotori ritengono «elettoralmente redditizia». Che ci indovinino sembra dubbio; sono convinto che l’elettore che accoglie parole d’ordine e proposte “di destra” riterrà sempre che di esse sarà più efficace interprete un personale politico “di destra”.

Non solo perciò è dannoso per il paese inseguire il governo nella sua politica di rilancio di un’edilizia di mera speculazione, ma non ha neanche senso attardarsi a proporre “piani casa” abborracciati, svincolati da quella visione ampia e programmatica che si affermò negli anni Settanta. Meglio tentar di “depeggiorare” i provvedimenti che le maggioranze di destra e di sinistra stanno promuovendo: come in Campania, dove la giunta Bassolino sta tentando di far passare la peggiore delle leggi finora varate, e come in Sardegna, dove la giunta Cappellacci sembra voler togliere a Bassolino il primato della legge peggiore.

Questo articolo è andato in rete su Tiscali il 28 settembre 2009, e lì raccoglie numerosi commenti.

Tutti gli articoli citati sono disponibili su eddyburg.it, nella cartella Terremoto all'Aquila

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