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Eddytoriale 84 (22.01.2006)
10 Giugno 2008
Eddytoriali 2006
Mentre scrivo, a Messina si sta celebrando l’unificazione di tre proteste, di tre movimenti spontanei sorti contro alcune Grandi Opere: il Ponte sullo Stretto, la Tav in Val di Susa, il MoSE nella Laguna di Venezia. Solo chi ferma lo sguardo alla superficie delle cose può trovare l’elemento unificatore nel dilagare della sindrome Nimby.

Quelle tre opere sono simili per alcune ragioni sostanziali: sono di utilità dubbia o nulla; il loro costo è incerto, e comunque enorme; produrranno arricchimento privato e indebitamento pubblico; comportano rischi e danni immediati all’ambiente.

Il Ponte sullo Stretto. Dovrebbe servire allo sviluppo della Sicilia: ma c’è ancora qualche balordo che pensa che basti collegare un’area con una infrastruttura per portarvi duratura ricchezza? Non sembra che la Calabria abbia cambiato faccia quando l’autostrada del sole l’ha collegata al resto dell’Italia, e alle ricche regioni del Nord.

Per affrontare sul serio il problema delle connessioni e del ruolo dell’Isola occorrerebbe lavorare sui collegamenti tra il Continente e le altre sponde del Mediterraneo, quindi sulle “autostrade del mare” e le loro connessioni con la rete delle comunicazioni terrestri. Ma è più facile proporre (quanto a realizzare, è un altro discorso) una grande opera d’ingegneria o d’architettura che lavorare seriamente a un serio programma nazionale dei trasporti.

In compenso, non c’è nessuna garanzia seria sulla sicurezza sismica, c’è la certezza del guasto a un sito che affonda le radici del suo valore nella profondità del mito e offre occasioni eccezionali alla vita della natura e alla ricchezza delle specie. Il suo costo è gigantesco, e altrettanto grandi sono i profitti di chi lo studia, progetta, promuove, realizza; ma non è il mercato che lo misura: il deficit lo paga Pantalone.

Il Treno ad alta velocità in Val di Susa. Anzi, non è più ad alta velocità, ma ad alta capacità: trasporterà le merci, perchè per i passeggeri non conviene. Però il tracciato è rimasto lo stesso: forse un treno che trasporti lentamente grandi quantità di merci richiede le stesse caratteristiche geometriche di una freccia lanciata nello spazio?

Chi ha spiegato a che cosa, a chi, perchè serve un “corridoio intermodale” tra Lisbona e Kiev, quali traffici debba smaltire lungo il suo percorso, come si connetta con il resto della rete delle comunicazioni? Qualcuno (che non sia un ambientalista estremista) ha riflettuto sull’utilità di trasportare patate, bottiglie e automobili da un punto nel quale queste merci vengono prodotte a un altro punto dove le medesime merci sono prodotte (magari dalle stesse holding)? Luciana Castellina ha ricordato di recente che il TIR che s’incendiò nella galleria del Frejus portava carta igienica dalla Francia all’Italia: non sappiamo produrla qui?

In compenso, gli economisti dei trasporti ci dicono che i conti economici sono del tutto inattendibili. Se l’opera si farà, verificheremo una volta ancora che il project financing è uno specchietto per le allodole: alla fine, viva il Mercato, ma il conto lo paga Pantalone. E magari Pantalone pagherà pure agli abitanti della Val di Susa qualcosa per il disturbo; la distruzione del paesaggio, lo sconquasso di un’economia locale, li pagheranno i figli e i nipoti di Pantalone.

Il MoSE nella Laguna di Venezia. Dovrebbe servire a tenere al riparo dalle “acque alte eccezionali” (prodotte delle maree marine e dell’esondazione dei fiumi) la città, che per un millennio è stata salvaguardata da un’intelligente e quotidiana opera di manutenzione del delicatissimo equilibrio ecologico. Lo fa con tecniche ingegneristiche devastanti, divenute rapidamente obsolete, che saranno sicuramente inefficaci se le modifiche planetarie saranno un po’ diverse dalle incerte previsioni.

In compenso, lo studio la progettazione la sperimentazione l’esecuzione sono state affidati da Nicolazzi (lo ricordate? è il primo ministro dei LLPP insignito del premio Attila) a un consorzio di imprese private, lucrosamente remunerate. In compenso, i lavori (che sono iniziati nonostante una relazione d’impatto ambientale negativa) devastano aree di grande pregio sia in sè sia in relazione all’intero ecosistema lagunare. Il costo della realizzazione è enorme, ma quello della gestione (che sarà gigantesco, trattandosi di enormi macchinari sommersi) ancora non è stato valutato, e non si sa neppure chi lo sosterrà. Pantalone sta già pagando, pagheranno figli e nipoti per molte generazioni.

Se mettiamo insieme i tre pannelli di questo trittico comprendiamo la strategia che c’è sotto. SI tratta di immagini potenti (l’ardita opera del genio ingegneristico che scavalca il mare tra Scilla e Cariddi, la grande direttrice dei movimenti delle persone, delle merci, dell’energia che collega l’Atlantico alle soglie dell’Asia, le geniali barriere d’acciaio che si ergono per proteggere la Perla della Laguna dall’irrompere minaccioso dei flutti marini), che trovano in se stesse la loro giustificazione.

Si tratta di mettere in moto grandi affari, rinviando al futuro i costi collettivi: e rinviando al futuro, quando gli improvvidi decisori non ci saranno più, anche la verifica della presunta utilità delle opere.

Si tratta di mobilitare il consenso di chi da opere faraoniche ha comunque da guadagnare: profitto, rendita, salario.

La sostenibilità? Ormai è un termine che ha perso la severità del significato originario: è stato ridotto a sinonimo di sopportabilità. E comunque chi sopporta è Pantalone, e i suoi figli e i figli dei loro figli.

Le 250 pagine del programma dell’Unione dicono qualcosa in proposito? Non sembra. Eppure, l’abrogazione esplicita di questo trittico, quale che sia il prezzo che occorrerò pagare, sarebbe comunque un grande risparmio per il futuro. E il segnale di una diversità dal berlusconismo che darebbe qualche speranza, e qualche ragione per votare non solo contro Berlusconi, ma anche per Prodi.

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