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Eddytoriale 109 (15 dicembre 2007)
10 Giugno 2008
Eddytoriali 2007

Il primo, Vittorio Emiliani, dirama un comunicato nel quale lamenta che, dalle informazioni riportate dalla stampa, l’articolo 24 comma 5 della legge finanziaria torna all’impostazione dello scorso anno e stabilisce che il 50 % degli introiti degli oneri di urbanizzazione può finanziare la spesa corrente dei comuni, e un ulteriore 25% può essere destinato alla manutenzione ordinaria del patrimonio comunale. Per di più, tale regime viene consentito per il prossimo triennio, cioè fino al 2010.

È noto a tutti che questa disposizione è bestiale per due ragioni: perché distrae i proventi degli oneri di urbanizzazione dall’uso al quale la legislazione degli anni ’60 e ’70 li destinarono (cioè alla realizzazione di verde e servizi necessari in conseguenza delle nuove urbanizzazioni), e perché la possibilità di utilizzarli per rimpinguare le casse vuote delle finanze comunali spinge i sindaci ad aumentare le aree da urbanizzare, al di fuori di ogni corretta valutazione del fabbisogno. Come afferma Emiliani, è una pratica che spinge oggettivamente i comuni a diventare i più diretti interessati (dopo le società e agenzie immobiliari) alla distruzione del paesaggio.

Alle proteste vibrate del Comitato per la bellezza risponde, per il ministro Rutelli, il sottosegretario Mazzonis. Ma come, scrive, si attacca il governo dimenticando ciò che il governo e la stessa Finanziaria, hanno fatto per il paesaggio? Non si tiene in nessun conto “di quanto il Ministero per i Beni e la Attività Culturali ha fatto per inserire una precisa norma nella stessa Finanziaria che scongiura tale esito negativo e stanzia fondi a favore dell’azione di tutela”. Il riferimento è al comma 411 che, prosegue il sottosegretario, “istituisce appositamente un ‘Fondo per il ripristino del paesaggio’ con una dotazione di 15 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008, 2009 e 2010”. Tale norma, chiarisce Mazzonis, “è finalizzata alla demolizione di immobili e infrastrutture, al risanamento e ripristino dei luoghi nonché a provvedere a eventuali azioni risarcitorie per l’acquisizione di immobili da demolire”.

Perfetto. Sarebbe come dire: spingo gli uomini a diventare ladri e assassini, e poi stanzio un fondo per il risarcimento delle vittime; ringraziatemi per questo.

Questo episodio non ci avrebbe preoccupato più che tanto se non rivelasse l’incapacità dell’attuale classe dirigente (perché di “classe” si tratta) di comprendere i nessi che legano i diversi aspetti del governo del territorio, i meccanismi che in esso si muovono, i poteri che li comandano e controllano, il ruolo sempre più subordinato ai poteri economici che le istituzioni democratiche sono spinte, giorno dopo giorno, a svolgere. Prendiamo un altro esempio, un altro caso, un altro anello di quella catena che lega sempre più inesorabilmente i comuni d’Italia all’appropriazione privata della rendita immobiliare e alla distruzione dei beni comuni (in primis il paesaggio) che tale catena comporta.

La Corte costituzionale, sollecitata a valutare la conformità delle vigenti norme sull’indennità espropriativa alla disciplina europea (come le modifiche costituzionali del 2001 prescrivono), dichiara (sentenza n. 348/2007) che sono incostituzionali le norme secondo le quali l’indennità espropriativa non può essere inferiore al valore di mercato. Come la cultura e la politica si accingono a rispondere a questa sentenza? Lo vedrete presto. Suggeriranno al legislatore di prendere atto della realtà, e di disporre che l’indennità espropriativa corrisponda pienamente al “valore di mercato”; suggeriranno quindi di pagare il terreno per un parco quanto lo pagherebbe un imprenditore che volesse costruirvi un grattacielo (sono di moda quest’anno in Italia). Naturalmente, per “aiutare i comuni”, si solleciteranno ulteriormente le pratiche di incentivo agli affari immobiliari mediante la “perequazione a priori”, incoraggiando (e di fatto obbligando) i comuni ad allargare a dismisura le aree destinate all’edificazione (al di fuori da ogni corretta valutazione delle necessità sociali) per poter avere le aree necessarie per le esigenze collettive.

Pensate che qualcuno ricorderà che la Corte costituzionale stabilì, la prima volta nel lontano 1968, che è il legislatore che stabilisce quale attributo della proprietà appartiene al proprietario, e quindi è indennizzabile? Che qualcuno ricorderà che la legge urbanistica del 1942, riprendendo un principio della cultura liberale, stabiliva (articolo 38) che l’indennità espropriativa non doveva tener conto “degli incrementi di valore attribuibili sia direttamente che indirettamente all'approvazione del piano regolatore generale ed alla sua attuazione”?

In un regime politico nel quale la democrazia ha almeno i contenuti che vennero stabiliti alla fine del XVIII secolo, quello “dei lumi”, il Mercato non è una divinità assoluta e indiscutibile. È il potere pubblico, mediante la legge, che stabilisce che cosa appartiene al mercato e che cosa no.

In calce l'appello del Comitato per la bellezza e lo scambio di lettere con il sottosegretario Mazzonis. Si veda anche qui il documento dell "Rete nuovo municipio). L'immagine è tratta dal sito www.matitarob.it

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