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AA.VV.
Il Canale dei petroli colpisce ancora
20 Agosto 2005
Vivere a Venezia
Riprende l’approfondimento del famigerato canale, opera d’ingegneria tardo-ottocentesca, massimo responsabile delle acque alte e del degrado della Laguna. Cronache da la Nuova Venezia del 23 marzo 2005, con una postilla

Escavo dei fanghi, primo colpo di benna

di Alberto Vitucci

La draga «Conte Savoia» dell’impresa chioggiotta Sergio Boscolo «Menela» dà il primo colpo di benna. Dieci metri cubi di fanghi neri vengono estratti dal canale Malamocco-Marghera, nella secca davanti a Fusina. «Giornata storica», applaude il presidente del porto Giancarlo Zacchello, «l’economia del porto può ripartire». «Ce l’abbiamo fatta», canta vittoria il presidente della Regione Galan. La benna lavorerà adesso fino all’estate. E scaverà dal canale Malamocco Marghera 830 mila metri cubi di fanghi. L’obiettivo è di riportare entro due anni il livello dei fondali a 10 metri e mezzo. Dopo tre anni riparte lo scavo dei canali portuali. Si era fermato nel 2002, e dal canale dei Petroli erano stati scavati 8 milioni di metri cubi in tre anni.

A dare solennità all’avvenimento c’è il presidente della Regione Giancarlo Galan, insieme all’assessore Renato Chisso, all’ammiraglio Calcagno e alla presidente del Magistrato alle Acque Maria Giovanna Piva. Tutti a bordo del motoscafo d’altura Milvus, un gioiello della nautica dotato di sofisticate apparecchiature per il controllo dei fondali messo a disposizione dal capitano Ferruccio Falconi.

Un anno dopo l’ordinanza della Capitaneria di porto, che aveva decretato la riduzione del pescaggio da 31,6 a30 piedi (da 9 metri e 60 a 9,14), per motivi di sicurezza, l’attività di scavo. Il problema dei fanghi è stato risolto dopo la nomina del «commissario» per l’emergenza socio economica dei canali portuali. Roberto Casarin, dirigente dell’ufficio ambiente della Regione, capo dell’Ufficio Via e uomo di fiducia del presidente Galan, ha dal 3 dicembre scorso i pieni poteri per decidere sulla vicenda. Non sono dunque più necessarie le autorizzazioni di Provincia, Usl e ministero per l’Ambiente, perché il commissario può decidere da solo. Il primo atto è stato quello di dare l’autorizzazione allo scavo «in presenza d’acqua». E le sostanze inquinati che vanno disperse per la laguna? «E’ il male minore», allarga le braccia Casarin, «del resto quando passa una nave i sedimenti vanno in giro lo stesso. Bisognava intervenire. E poi le sostanze ricadono in una zona circoscritta. Non c’è problema». Secondo atto, quello di firmare l’autorizzazione per il deposito dei fanghi. L’isola delle Tresse, ormai al limite della capienza, sarà «rialzata» di tre metri e mezzo, e i fanghi saranno scaricati nella parte centrale fino a raggiungere l’altezza di nove metri e 60. Il piano complessivo prevede lo scavo di sei milioni e 200 mila metri cubi di materiale, in larga parte delle categorie B e C, inquinate e con notevole presenza di metalli pesanti ma che non necessitano di trattamento. Il problema sarà in seguito trattare i fanghi di tipo «C», ad alto contenuto di diossine, arsenico, cadimio, piombo e idrocarburi, per cui è previsto un costo di 200 milioni di euro. Fondi «da reperire», si legge nel progetto del commissario, mentre i finanziamenti per lo scavo, il sovralzo dell’isola e l’ampliamento del molo Sali (80 milioni di euro) sono stati messi a disposizione dall’Autorità portuale e dal commissario. Per la cassa di colmata A si conta invece di trovare i soldi dal Project financing del grande progetto Pif (Piano integrato di Fusina).

«La dimostrazione che a Venezia si può fare», commenta Galan, «quando abbiamo chiesto il commissario tutti si erano opposti, e nessuno credeva che ce l’avremmo fatta». «Il ripristino della profondità permette al porto di tirare il fiato», dice Zacchello, «oggi le navi arrivano con 3 tonnellate in meno di carico».

7 milioni di tonnellate nei canali industriali

Gli 800 mila metri cubi di fanghi che verranno scavati dal canale Malamocco-Marghera sono ben poca cosa rispetto ai 6 milioni di metri cubi, di cui 1,5 tossici, che riempiono i fondali di tutto il canale dei Petroli, dei quali una parte dovranno essere trattati in modo speciale per il loro grave stato di contaminazione. Del resto nei canali industriali di Porto Marghera ci sono da scavare più di 7 milioni di tonnellate di fanghi contaminati a vario titolo, dai più tossici (ultra C), seguiti dai fanghi di tipo B fino a quelli meno pericolosi di tipo B e A.

Fanghi, è giusto ricordare, che nessuno vuole, a cominciare dai comuni della Riviera del Brenta e prospicienti alla laguna sud (Campagna Lupia, Codevigo, ecc.) e le famose «casse di colmata».

L’escavo e la bonifica dei canali industriali, senza contaminare altre aree, è un’opera immane che tra l’altro presuppone la disponibilità di luoghi dove collocare i fanghi più contaminati - bioaccumulabili e persistenti scaricati dalle industrie di Porto Marghera in decenni d’attività - e di impianti di decontaminazione ancora da costruire.

Si tratta, infatti, di fanghi provenienti dalle aree più «compromesse» dal punto di vista ambientale, della laguna. Dal rapporto del Magistrato alle Acque risulta che ci sono oltre 7 milioni e mezzo di metri cubi di fanghi da smaltire, dei quali ben 1.600.000 metri cubi sono stati definiti «pericolosi», per questo dovranno essere scavati e opportunamente trattati in impianti specializzati che a tutt’oggi sono ancora da realizzare. A dire il vero, ne sono stati già sperimentati alcuni dall’Autorità Portuale di Venezia che a questo proposito ha sperimentato diverse opzioni collaborando con i porti di New York e Amburgo. In attesa dello scavo dei fanghi più contaminati c’è la soluzione della «muraglia» che dovrebbe lambire tutti i canali e la Penisola della Chimica, in modo da mettere in sicurezza le sponde piene di sedimenti contaminati accumulatisi negli anni ed evitarne la dispersione in laguna e nella falde sotterranee. Ma anche la «muraglia» è tutta da realizzare. Sedimenti che, tra l’altro, sono sempre più inquinati sulla base delle nuove normative europee e l’aggiornamento delle tabella di tossicità. Purtroppo, le fonti d’inquinamento (motori delle barche, scarichi fognari, industrie di Porto Marghera) continuano a scaricare i loro veleni in laguna. Veleni che si depositano sui fondali e da là non si muovono da soli ma finiscono per fissarsi in tutto il «biota» lagunare. Intanto leggi e direttive europee che puntano a risanare l’ambiente e a difendere la salute pubblica diventano, giustamente, sempre più rigide, soprattutto per quanto riguarda le sostanze bioaccumulabili, cancerogene e mutagene (idrocarburi, clorurati organici, metalli pesanti, diossine, ecc.) per le quali sono previsti limiti di concentrazione nell’acqua e nei sedimenti sempre più restrittivi a protezione della salute. Intanto, i fanghi restano e continuano a disperdere la loro carica velenosa in tutta la laguna che prolifica di valli per l’allevamento di pesce (branzini, orate, ecc.) e molluschi di vario genere, a cominciare dalle vongole, che finiscono sulle nostre tavole. Senza parlare della pesca abusiva di molluschi che prolificano nei canali e nelle zone della laguna più inquinate. (g.fav.)

Bisogna riportare i fondali a quota meno 10 metri e mezzo

Sei milioni e 200 mila metri cubi di fanghi da scavare. Per riportare i fondali dell’intero canale Malamocco-Marghera alla quota di meno 10 metri e mezzo. I sedimenti da scavare subito ammontano a circa 830 mila metri cubi, e troveranno posto sull’isola delle Tresse (che diventerà più alta di tre metri e mezzo, dagli attuali sei metri e 20 a9 metri e 50 sul livello laguna) e poi nell’ampliamento del Molo Sali. Ma il grosso dei fanghi scavati (oltre 5 milioni di metri cubi) finirà sotto la cassa di colmata A, in Comune di Mira (3 milioni di metri cubi) e nella nuova isola lungo il canale Malamocco-Marghera (2 milioni). Oltre alla manutenzione straordinaria, ogni anno dovranno essere scavati altri 500 mila metri cubi per garantire la navigabilità. La stragrande maggioranza dei fanghi scavati appartengono alle categorie B e C (circa 4 milioni su 6 milioni di metri cubi), 400 mila sono della classe A (inerti, e dunque recuperabili anche come materiali per l’edilizia). Circa un terzo del totale (un milione e 600 mila metri cubi) sono invece della classe C (dove gli idrocarburi totali superano i 4 mila milligrammi per chilo, i metalli pesanti e le diossine sono presenti in quantità industriali. Questo tipo di fanghi dovrà essere trattato, e per questo sarà necessaria una gara internazionale, dal momento che la spesa preventivata è di circa 200 milioni di euro. Nel frattempo saranno stoccati «in via provvisoria» nell’area delle Tresse e dei 43 ettari. (a.v.)

Postilla

Il morto afferra il vivo

Tre commenti alle notizie del quotidiano veneziano.

1. L’innocente Laguna restituisce i veleni mortiferi che i decenni dell’industrialismo selvaggio, guidato e dominato solo dall’ansia della crescita, hanno accumulato. Un problema di dimensioni tali da renderne incerta la soluzione. Eppure, la chimica di base, ragione della nascita di Porto Marghera tra le due guerre mondiali e della morte della Laguna, continua a macinare i suoi veleni.

2. Con tracotante arroganza la Regione e gli organi centrali dello Stato riprendono imperterriti il disegno del Canale dei Petroli, tracciato negli anni precedenti l’alluvione del 1966, poi individuato come massimo responsabile (insieme all’incuria per la regimazione delle acque lagunari e di quelle fluviali) di quell’evento catastrofico, e come colpevole della persistenza del fenomeno delle acque alte, dell’erosione dei fondali, della demolizione delle barene e della loro vegetazione, della distruzione progressiva dei paesaggi lagunari – in una parola, della riduzione della Laguna, unica al mondo, ad un anonimo braccio di mare.

3. Insofferenti dei “ritardi” provocati dal sistema democratico e dalle perplessità dei pur esitanti governi comunale e provinciale, regione e governo nazionale, proseguendo nella loro diuturna azione di sostituzione di uno statuto illiberale, centralistico e autoritario alla Costituzione repubblicana, nominano un commissario straordinario con pieni poteri di distruggere, insieme alla democrazia, quanto mille anni di cura assidua della natura e quarant’anni di studi e decisioni responsabili avevano costruito.

Quanto sembrava morto e sepolto (l‘industrialismo più becero, l’ignoranza delle regole della natura, il centralismo fascista) risorgono dalle ceneri del passato e afferrano quanto di vivo ancora nella Laguna esiste: le mort saisit le vif!

Una precisazione di Lidia Fersuoch, di Italia Nostra - Sezione di Venezia

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