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Antonio di Gennaro
Tempo da Lupi per il territorio rurale italiano
16 Luglio 2005
La legge Lupi
Una lucida analisi degli effetti della Legge Lupi su una delle più rilevanti risorse dell'Italia, e del carattere regressivo del nuovo "governo del territorio"

Che conseguenze potrà avere la legge Lupi sul territorio rurale italiano? In linea di principio, è possibile osservare come la legge sia in netta controtendenza non solo rispetto agli indirizzi dettati in materia dall’Unione europea, ma anche alle esperienze di importanti stati membri (Inghilterra, Germania, Francia). I motivi di questa affermazione sono molteplici.

In ambito europeo è oramai prevalente il punto di vista secondo il quale lo spazio rurale rappresenta nel suo complesso un bene pubblico, al di là degli assetti proprietari e delle forme di conduzione. L’attenzione è rivolta alla multifunzionalità del territorio rurale, alla capacità cioè che esso ha di produrre un flusso di beni e servizi utili alla collettività, legati non solo alla produzione primaria, ma anche e soprattutto al riciclo ed alla ricostituzione delle risorse di base (aria, acqua, suolo), al mantenimento degli ecosistemi, della biodiversità, del paesaggio; al turismo, alle occasioni di ricreazione e vita all’aria aperta ecc. Il territorio rurale è in grado di compiere tutte queste funzioni perché esso costituisce la porzione largamente prevalente dei bacini idrografici, degli ecosistemi e dei paesaggieuropei, cioè delle infrastrutture ambientali che sostengono, direttamente o indirettamente, la vita delle comunità insieme a buona parte delle attività economiche, sociali, culturali.

2. I principali documenti comunitari in materia di pianificazione e ambiente (vedi ad esempio lo Schema di Sviluppo Spaziale Europeo approvato dal Consiglio dei ministri nel 1999, ma anche le varie edizioni del Dobris Assessment curate dall’Agenzia Europea per l’Ambiente) considerano il consumo di suolo per espansione urbana come la principale minaccia alla conservazione delle risorse ambientali in Europa. Una possibile via di uscita viene indicata nel riciclo delle aree urbane esistenti, e nell’utilizzo del più appropriato mix di strumenti regolativi, incentivi e comportamenti volontari per governare entro limiti di sostenibilità complessiva la trasformazione urbana di aree rurali.

3. Molti stati europei, in risposta a queste esortazioni, hanno definito strategie nazionali per la tutela del proprio spazio rurale. Come racconta Jeorg Frisch nel suo articolo per Eddyburg, la Germania ha elaborato un piano nazionale per la riduzione del consumo di suolo dagli attuali 130 ettari giornalieri, a 30. La Gran Bretagna, che protegge da quasi settant’anni con le sue green belt un milione e mezzo di ettari - il 12% del paese -, ha scelto una strada differente, fissando l’obiettivo di soddisfare, mediante riciclo delle aree urbane esistenti, una quota della nuova edificazione, definita localmente, e comunque non inferiore al 50-60%. Per evitare la dispersione urbana, in Francia, le leggi sul paesaggio rurale e la montagna impongono che le nuove edificazioni avvengano esclusivamente in continuità con i nuclei insediativi esistenti. E’ superfluo aggiungere come tali strategie, pur con le debite aperture ad aspetti di negoziazione e partecipazione pubblica, presuppongono un ruolo forte della pubblica amministrazione, come garante della sostenibilità complessiva delle scelte, nonché del rispetto degli interessi diffusi, oltre che di quelli particolari degli stakeolders.

4. La strada perseguita dalla legge Lupi è diversa, e si ispira ad un contrattualismo radicale che non ha probabilmente riscontro in nessuna democrazia liberale al mondo, con le funzioni di regolazione e garanzia della pubblica amministrazione che vengono di colpo praticamente azzerate. In un simile contesto, al di là degli aspetti predicatori in materia ambientale, dai quali la legge non ha il pudore di esimersi, strategie di tutela dello spazio rurale simili a quelle adottate dalle principali democrazie europee diventano impraticabili, perché semplicemente illegittime. La logica è rovesciata: mentre in Europa il valore dello spazio rurale, nel suo complesso, rappresenta ormai l’assunzione di principio, ed è il proponente a dover semmai dimostrare la necessità impellente e non diversamente ovviabile di nuovi consumi di suolo, in Italia è il diritto edificatorio della proprietà fondiaria ad essere garantito, a spese di un “territorio non urbanizzato” che, sul tavolo dissettorio della Lupi, viene impietosamente smembrato in “aree destinate all’agricoltura, aree di pregio ambientale e aree urbanizzabili” (sic! se non è zuppa è pan bagnato).

5. Tutto ciò, all’interno di un contesto nazionale di involuzione regressiva della governance ambientale, che vede le Soprintendenze in disarmo; le Autorità di bacino e gli Enti parco operare allo stremo con risorse risibili, in un regime di spoil system tra i più spietati; la sospensione di fatto delle procedure di VIA, oggi più efficientemente surrogate da una delibera del Cipe, piuttosto che di un commissario governativo alle cave o ai rifiuti. Per non parlare dell’infelice momento in cui versano le associazioni ambientaliste, impegnate a leccarsi le ferite dopo mesi di cruente e dissolutive contrapposizioni.

Insomma, il ghe pensi mi al posto delle garanzie liberali, e poi per favore basta lagne: chi ha più capacità e iniziativa alla fine prevarrà: sulle macerie fumanti del bel paese. Ne riparliamo a settembre alla Scuola estiva in Val di Cornia.

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