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Di Pietro e il Ponte sullo Stretto
26 Ottobre 2007
Il Ponte sullo Stretto
Dalla pagina de l’Unità (26 ottobre 2007, articoli di A.Carugati,E.De Biase, A.Ferrari) trapelano alcuni degli affari che sono dietro la crisi politica. Pagano Pantalone e il terrotorio

Di Pietro, da mani pulite a mani libere

di Andrea Carugati

NON DEVE aver fatto piacere al ministro Di Pietro sentirsi definire «un uomo d’onore» da Totò Cuffaro. Eppure ieri è successo anche questo, dopo che la pattuglia di senatori dell’Idv ha votato con il centrodestra per salvare la società per il ponte sullo Stretto di Messina. «Parole strumentali», replicano dall’entourage del ministro. Da dove arrivano secchiate di acqua fredda su ogni possibile tentativo dell’ex eroe di Mani Pulite di destabilizzare il governo Prodi. Di tenersi le mani libere. La notizia di una discussione sulle dimissioni del ministro, mercoledì in una riunione con i parlamentari dell’Idv? «Totalmente infondata». E la proposta di un governo tecnico lanciata ieri a un incontro con la stampa estera? «Il ministro si è limitato a far suo il ragionamento del presidente Napolitano sulla necessità di non tornare alle urne con questa legge», dice il capogruppo alla Camera Massimo Donadi.

Eppure il ministro, dopo le roventi polemiche con Mastella sul caso De Magistris, è in costante agitazione. Ieri è tornato all’attacco del Guardasigilli, dopo il duro lavoro di Prodi per arrivare a una tregua nel Cdm di martedì: «Resterà un alone di sospetto su di lui», ha detto alla stampa estera. La questione è poi rimbalzata alla riunione dei capigruppo dell’Unione a Montecitorio: Fabio Evangelisti, dell’Idv, ha detto che se fosse stato in Di Pietro, «quando Prodi ha espresso solidarietà a Mastella in Cdm me ne sarei andato via». Immediata la reazione del capogruppo dell’Udeur Fabris: «Visto che io sono come Mastella, mi alzo e me ne vado. Con persone così non voglio stare».

Di Pietro ha parlato anche del voto in Vigilanza che ha sfiduciato il presidente della Rai Petruccioli: «Se all’ordine del giorno ci fosse stato il voto sull’intero cda avremmo votato ugualmente contro. L’informazione pubblica non deve essere controllata dai partiti. E l’unico modo per cambiare è votare».

Insomma, alla fine il vertice di ieri pomeriggio a palazzo Chigi con Prodi, Di Pietro e il titolare dei Trasporti Alessandro Bianchi (argomento ufficiale: fondi per le Ferrovie) è diventato anche un occasione di chiarimento tra il Prof. e Tonino. Prodi ha chiesto rassicurazioni al suo ministro e, una volte che le ha ottenute, l’ha invitato a trasmettere questo messaggio anche agli italiani, con comportamenti coerenti. Poco dopo Di Pietro ha dichiarato: «L’Impegno dell’Idv è rafforzare l’opera del governo. C’è stata una caduta di credibilità, vogliamo porvi rimedio». Insomma, ok a Prodi, ma il ministro non ha voluto rinunciare a una stoccata contro «la politica dei veti» e il «furore ideologico» della sinistra radicale.

Poi ha spiegato le ragioni del voto in Senato: «Noi ci siamo espressi per ripristinare il testo originario del decreto, come era uscito dal Cdm. Per questa coerenza Prodi dovrebbe ringraziarci. «Non ho alcuna intenzione di fare il ponte. Ma nella società sono già stati investiti 150 milioni, non dobbiamo fare come i talebani con le statue di Buddah». Cancellare quella società, spiega, sarebbe costato, tra penali e ricorsi, «500 milioni di euro». Già, ma la società che resta in vita? «Ne ho disposto il totale dimagrimento - dice il ministro- portando la struttura dai circa 100 dipendenti che aveva con Berlusconi a non più di 5 o 10 persone». Quanto ai soldi per il ponte, circa un miliardo di euro «è stato finalizzato, con un accordo di poche settimane fa, per le metropolitane di Palermo, Agrigento e Messina e al collegamento tra Agrigento e Caltanissetta».

Franca Rame, che ieri ha votato diversamente dal suo gruppo, non ci sta. Dopo il voto in Senato si è chiamata fuori dall’Idv: «Non ho capito la posizione di Di Pietro. Avrebbero dovuto informarmi e discuterne, invece non l’hanno fatto. Dunque da domani farò quello che devo fare». «Ci auguriamo sia possibile un chiarimento», fanno sapere dall’entourage del ministro. Anche nel popolo della rete ci sono malumori espressi sul blog di Di Pietro: «Vergognati! Si vede che De Gregorio non era con te per caso», scrive un navigatore. E Massimo Baroncini: «Averti votato è la scelta peggiore che abbia mai fatto». «C’è qualcosa dietro, la prego di spiegarci bene», scrive Andrea M. E un altro: «Mastella sarà una vergogna ma tu sei uguale». C’è anche chi incoraggia il ministro: «Non abbassare mai la testa».

Lo strano caso della società che

spende milioni per non fare nulla

di Eduardo Di Blasi

Fu Ballarò, il mese scorso, a farci vedere le facce dei timorosi impiegati dell’infopoint messinese della società Stretto di Messina Spa che, in un locale preso a fitto a 20mila euro mensili, avevano il kafkiano compito di spiegare ad ipotetici avventori le meraviglie del Ponte sullo Stretto di Messina, opera già derubricata dal governo, e quindi tecnicamente morta. Gli impiegati stavano lì, ovviamente sfaccendati, così come tutti i dipendenti, i manager e i consulenti di un progetto che la politica aveva già deciso di abbandonare. In studio da Giovanni Floris quel giorno c’era Oliviero Diliberto, segretario del Pdci. Non potè che esclamare: «Presenteremo un emendamento in finanziaria per sciogliere questa società».

E in verità l’onorevole Diliberto, assieme ai colleghi Licandro, Sgobio, Soffritti e Pignataro, aveva già chiesto al governo il 20 settembre 2006 che quella società fosse cancellata. «Non si capisce come e perché la società Stretto di Messina continui a spendere ed a sprecare denaro», domandavano in un’interrogazione nella quale spiegavano come la predetta società avesse stretto con «Impregilo, il 29 marzo 2006, in piena campagna elettorale, il contratto per l’affidamento della progettazione definitiva ed esecutiva del ponte del valore di 3,9 miliardi di euro». Quello su cui, per intenderci, adesso grava la costosa penale. Seguivano una serie di cifre che davano conto di quanto detto. La fonte era un informato articolo che Luca Domenichini aveva pubblicato sull’Espresso del 31 agosto 2006 dal titolo «Quanti ricchi sotto il Ponte». Cifre impietose: «19 milioni di euro spesi per il costo del personale, 4 milioni per i gettoni di presenza degli amministratori e 17 milioni di euro per le consulenze e inserite nel bilancio sotto la voce: “Prestazioni professionali di terzi”. Nei quattro anni del sogno ingegneristico - calcolava Domenichini - dipendenti e spese sono saliti alle stelle: da 29 impiegati e 7 dirigenti del 2002 si è passati agli 85 del 2005, di cui 13 manager. Per non parlare delle bollette: luce, acqua, gas, telefoni, i buoni pasto, l’assicurazione e la manutenzione degli uffici: triplicate, decollando da 3,5 milioni a 10,7 milioni». Dal 2002 al 2005 la voce «Emolumenti e gettoni di presenza per gli amministratori», erano passati da 526mila a 1,5 milioni».

Altre cifre si possono ricavare dall’interrogazione che i senatori Brutti, Donati, Villone, Adragna , Casson , Mele , Palermo, Pisa e Sodano hanno presentato a Palazzo Madama la scorsa settimana. Uno degli obiettivi dell’interrogazione era l’attuale amministratore delegato della società, quel Pietro Ciucci, da anni manager pubblico, arrivato frattanto al vertice dell’Anas. Altro quadro oscuro: «Il compenso annuale di Ciucci è stato di oltre 700.000 euro annui pagati, a quanto consta, da Fintecna, dietro rimborso da parte della società Stretto di Messina, con una manovra contabile di innalzamento degli emolumenti di Ciucci in Fintecna, costruita al fine da far apparire il compenso di Ciucci, una fittizia partita di giro». La società è passata da 36 dipendenti nel 2002 a 102 nel 2006. I deputati continuano: «Le 17 assunzioni, risultanti nel 2006, sono del tutto ingiustificate, in un’ottica aziendale, provocando sperpero di denaro pubblico, a prescindere da ogni considerazione - anche se di particolare gravità - sull’incidenza di tali assunzioni sul corretto svolgimento delle elezioni nazionali del 2006; risulta inoltre che Ciucci, nominato presidente dell’Anas, ha assunto 16 dipendenti dello Stretto di Messina spa oltre al suo vice presidente Bucci, mentre altri 2 dipendenti dello Stretto di Messina sono stati distaccati presso l’Anas su richiesta di Ciucci; sette di queste nuove assunzioni sono state collocate in posizione apicale con appesantimento della struttura di vertice». Così quando Di Pietro ha proposto di portare dentro l’Anas (di Ciucci) la società del ponte, in più d’uno ha strabuzzato gli occhi.

Tre domande al ministro Di Pietro di Aldo Ferrara, Università di Siena

Ieri il Senato boccia l’ipotesi del Governo di chiudere una volta per tutte lo spreco infinito di democristiana memoria dello Stretto di Messina. Voti determinanti quelli dell’Idv. Per anni la Spa presieduta dal senatore Nino Calarco, proprietario della Gazzetta del Sud, ha ingurgitato soldi in consulenze. Ora alcune questioni si intrecciano. La società ora diretta da Pietro Ciucci ha spese di propaganda e pubblicità che sono passate da 110.000 euro nel 2002 a 1.480.000 euro nel 2004 e inoltre particolarmente rilevante è stato l’aumento della voce «emolumenti e gettoni di presenza amministratori», 526.000 euro nel 2002 con un picco di 1.616.000 euro nel 2006. Prima domanda: ma Di Pietro non è firmatario con Fini di una legge contro i costi della politica? Ancora: il Ministro Di Pietro ha nelle file del suo gruppo un deputato, Pedica Stefano, già «assistente» di Casini, Mastella, Folloni, Lunari; geologo, funzionario in aspettativa della Società di Calcestruzzi Scac, che progetta, costruisce ed installa viadotti autostrada- li. Tal signore è nel ristretto gruppo dei dipietristi che decidono. Seconda domanda: visto che la Società resta in piedi e non viene abolita, proprio con il voto determinante dell’IDV, non è che Di Pietro vuol rimettere in ballo il Ponte? Senza invocare il patente conflitto d’interessi, ma il buon senso politico dov’è finito?

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