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Cesare Zavattini
Gara di Matematica
17 Marzo 2007
Humour
Si conclude domani a Roma il Festival della matematica. Per l’occasione, una miniatura dello scrittore emiliano, da: I tre libri, Parliamo tanto di me, (I edizione 1931)

E’ un ricordo della mia infanzia. Abitavo a Gottinga nel dicembre del milleottocentosettanta. Mio padre ed io giungemmo all’Accademia quando il presidente Maust stava cominciando l’appello dei partecipanti alla Gara Mondiale di Matematica. Subito babbo andò a mettersi fra gli iscritti dopo avermi affidato alla signora Katten, amica di famiglia.

Seppi da lei che il colpo del cannone di Pombo, il bidello, avrebbe segnato l’inizio della storica contesa. La signora Katten mi raccontò un episodio, ignoto ai più, intorno all’attività di Pombo. Costui sparava da trent’anni un colpo di cannone per annunciare il mezzogiorno preciso. Una volta se n’era dimenticato. Il dì appresso, allora, aveva sparato il colpo del giorno prima, e così di seguito fino a quel venerdì del milleottocentosettanta, Nessuno a Gottinga si era mai accorto che Pombo sparava il colpo del giorno avanti.

Esauriti i preliminari, la gara ebbe inizio alla presenza del principe Ottone e di un ragguardevole gruppo di intellettuali.

“Uno, due, tre, quattro, cinque… " Nella sala si udivano soltanto le voci dei gareggianti.

Alle diciassette circa, avevano superato il ventesimo migliaio. Il pubblico si appassionava alla nobile contesa e i commenti si intrecciavano. Alle diciannove, Alain, della Sorbona, si accasciò sfinito.

Alle venti, i superstiti erano sette.

”36767, 36768, 36769, 36770…”

Alle ventuno Pombo accese i lampioni. Gli spettatori ne approfittarono per mangiare le provviste portate da casa. “40719, 40720, 40721…”

Io guardavo mio padre, madido di sudore, ma tenace. La signora Katten accarezzandomi i capelli ripeteva come un ritornello: ’Che bravo babbo hai,’ e a me non pareva neppure di avere fame. Alle ventidue precise avvenne il primo colpo di scena: l’algebrista Pull scattò:

"’Un miliardo "

Un oh di meraviglia coronò l’inattesa sortita; si restò tutti col fiato sospeso.

Binacchi , un italiano, aggiunse issofatto:

“’Un miliardo di miliardi di miliardi.’ Nella sala scoppiò un applauso subito represso dal Presidente. Mio padre guardò intorno con superiorità, sorrise alla signora Katten e cominciò:

“’Un miliardo di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi…’

La folla delirava: "Evviva, evviva." La signora Katten e io, stretti uno all’altro, piangevamo dall’emozione.

“…di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi.’

Il presidente Maust, pallidissimo, mormorava a mio padre, tirandolo per le falde della palandrana: ’Basta, basta, le farà male.’ Mio padre seguitava fieramente:

“… di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi ...’ A poco a poco la sua voce si smorzò, l’ultimo fievole di miliardi gli uscì dalle labbra come un sospiro, indi si abbattè sfinito sulla sedia. Gli spettatori in piedi lo acclamavano freneticamente.

Il principe Ottone gli si avvicinò e stava per appuntargli una medaglia sul petto quando Gianni Binacchi urlò:

"Più uno!"

La folla precipitatasi nell’emiciclo portò in trionfo Gianni Binacchi. Quando tornammo a casa, mia madre ci aspettava ansiosa alla porta. Pioveva. Il babbo, appena sceso dalla diligenza, le si gettò tra le braccia singhiozzando: "Se avessi detto più due avrei vinto io."

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