loader
menu
© 2024 Eddyburg
Mike Davis
Nel nuovo regno della «megasiccità»
3 Dicembre 2007
Clima e risorse
Il cambiamento climatico nelle sue conseguenze urbane e sociali. Come sempre i costi maggiori ricadranno sui più poveri. Da il manifesto, 2 febbraio 2007 (m.p.g.)

L'orso polare sul suo banco di ghiaccio sempre più piccolo è diventato l'icona pressante del riscaldamento globale e del cambiamento climatico galoppante. Persino l'inquilino della Casa Bianca, convinto com'è che la terra sia piatta, adesso ammette che i maestosi orsi potrebbero essere destinati all'estinzione man mano che il ghiaccio marino si scioglie e l'Oceano Artico si trasforma in acqua azzurra per la prima volta da milioni di anni. Il «grande esperimento geofisico» dell'umanità, come l'oceanografo Roger Revelle chiamò molto tempo fa la curva delle emissioni di diossido di carbonio in forte crescita, nelle terre del circolo polare ha buttato giù la Natura dalle sue fondamenta oloceniche.

Ma l'Artico non è l'unico teatro di un cambiamento climatico spettacolare e inequivoco, né gli orsi polari sono gli unici araldi di una nuova epoca di caos. Si pensi, ad esempio, ad alcuni dei lontani parenti dell'Ursus maritimus: gli orsi neri che abitano felicemente ma sinistramente le leggendarie Chisos Mountains del parco nazionale Big Bend, Texas. Potrebbero essere loro i messaggeri di una trasformazione ambientale nelle terre di confine radicale quasi quanto quella che sta avvenendo in Alaska o in Groenlandia.

In una giornata straordinariamente calda del gennaio 2002, sulla strada di Emory Peak, con la mente ancora attraversata dalle immagini apocalittiche del settembre precedente, feci la conoscenza occasionale di un giovane orso giocherellone e innocuo in un accampamento. Le apparizioni di orsi sono sempre un po' magiche, e pensai che l'incontro fosse l'espressione di una wilderness ancora largamente intatta. In realtà, come appresi allarmato il giorno successivo da un ranger, il giovane orso era, per così dire, un mojado - la progenie di migranti recenti e non documentati provenienti dall'altro lato del Rio Grande.

Gli orsi neri erano comuni sulle Chisos quando queste costituivano il rifugio semi-leggendario dei predatori apache mescalero e comanche nei secoli XVII e XVIII, ma i rancheros gli dettero implacabilmente la caccia fino a provocarne l'estinzione all'inizio del XX secolo. Poi, quasi miracolosamente, all'inizio degli anni '80 del Novecento, gli orsi sono riapparsi tra le madrone (arbusti sempreverdi, ndt) e i pini di Emory Peak. Stupefatti, i biologi ipotizzarono che gli orsi fossero migrati da Sierra del Carmen fino al Coahuila, nuotando nel Rio Grande e attraversando 40 miglia di deserto infuocato per raggiungere le Chisos, una terra promessa di cervi docili e rifiuti abbondanti.

Come i giaguari che negli ultimi anni si sono ristabiliti nelle montagne dell'Arizona o - se è per questo - il chupacabra assetato di sangue del folklore norteno avvistato nei sobborghi di Los Angeles, gli orsi neri partecipano a un'epica migrazione della fauna, oltre che di persone, al otro lado. Anche se nessuno sa esattamente perché orsi, grossi felini e leggendari vampiri si stiano spostando verso nord, un'ipotesi plausibile è che essi stiano adattando il loro raggio d'azione e la loro popolazione a un nuovo regno della siccità nel nord del Messico e nel Southwest degli Stati uniti.

Il caso umano è chiaro: ranchitos abbandonati e città quasi fantasma in tutto il Coahuila, il Chihuahua, e il Sonora (tre stati del Messico, ndt) testimoniano quella successione inesorabile di annate secche - iniziata negli anni '80 ma diventata veramente catastrofica alla fine degli anni '90 - che ha spinto centinaia di migliaia di poveri provenienti dalle campagne verso i laboratori clandestini di Ciudad Juarez e i barrios di Los Angeles.In alcuni anni, la «siccità eccezionale» ha travolto tutte le pianure dal Canada al Messico; in altri anni, rosse conflagrazioni sulle carte meteorologiche si sono incuneate lungo la costa del Golfo fino alla Louisiana o hanno attraversato le Montagne Rocciose fino alle regioni interne del Northwest. Ma gli epicentri semi-permanenti sono rimasti il Texas, l'Arizona, e gli stati del Messico loro fratelli. Nel 2003, ad esempio, il lago Powell risultava essersi abbassato di circa 80 piedi (pari a m. 2,43 circa, ndt) in tre anni, e i bacini idrici fondamentali lungo il Rio Grande erano poco più che pozzanghere. Nel frattempo, nel Southwest, l'inverno del 2005-2006 è stato uno dei più secchi a memoria d'uomo, e Phoenix è rimasta 143 giorni senza una sola goccia di pioggia. Le rare interruzioni della siccità sono state insufficienti a ricaricare adeguatamente le falde acquifere o a riempire i bacini, e nel 2006 sia l'Arizona che il Texas hanno lamentato le peggiori perdite in termini di raccolti e di bestiame mai registrate nella storia per siccità (circa 7 miliardi di dollari).

Tempesta di fuoco su L.A.

La siccità permanente, come il ghiaccio che si scioglie, riorganizza rapidamente gli ecosistemi e trasforma interi paesaggi. Senza abbastanza umidità per produrre linfa protettiva, milioni di acri di pini come il pinyon e il pino ponderoso sono stati devastati da una invasione di scarabei della corteccia; queste foreste e chaparral (macchie simili alla macchia mediterranea, ndt) senza vita, a loro volta, hanno alimentato le tempeste di fuoco che hanno incendiato i sobborghi di Los Angeles, San Diego, Las Vegas e Denver, oltre a distruggere una parte di Los Alamos. In Texas sono andati a fuoco anche i terreni erbosi - quasi 2 milioni di acri solo nel 2006 - e man mano che lo strato superiore del terreno vola via, le praterie si trasformano in deserti.

Alcuni climatologi non hanno esitato a definire quella in corso una «megasiccità», definendola addirittura «la peggiore in 500 anni». Altri sono più cauti: non sono ancora sicuri se l'attuale aridità nell'ovest abbia superato le famose soglie raggiunte nel Novecento: negli anni '30 con il «Dustbowl» nelle Pianure del sud, e negli anni '50 con una siccità devastante nel Southwest. Ma forse il dibattito non è pertinente: la ricerca più recente e autorevole sta riscontrando che il «rosso di sera nel west» (per citare l'inquietante sottotitolo di Meridiano di sangue di Cormac McCarthy) non è semplicemente una siccità episodica, ma la nuova «normalità climatica» della regione. In una allarmante testimonianza davanti al National Research Council lo scorso dicembre, Richard Seager, un esperto geofisico del Lamont Doherty Earth Observatory della Columbia University, ha avvisato che i super-computer dei principali studiosi dei modelli climatici del pianeta stanno sfornando tutti lo stesso risultato: «Secondo i modelli, nei prossimi anni o decenni, nel Southwest il nuovo clima sarà un clima simile alla siccità degli anni '50».

Questa straordinaria previsione è un sottoprodotto del monumentale sforzo di calcolo ottenuto da 19 modelli climatici separati (comprese le navi ammiraglie di Boulder, Princeton, Exeter e Amburgo) per il IV Rapporto di valutazione del panel intergovernativo sul cambiamento climatico (Fourth Assessment Report of the Intergovernmental Panel on Climate Change - Ipcc).

Naturalmente l'Ipcc è la corte suprema della scienza climatica. Fu istituito dalle Nazioni unite e dall'Organizzazione meteorologica mondiale nel 1988 per valutare la ricerca sul riscaldamento globale e i suoi effetti. Probabilmente il presidente Bush - anche se ora accetta, benché malvolentieri, l'allarme lanciato dall'Ipcc secondo cui l'Artico si sta rapidamente sciogliendo - non ha ancora realizzato la possibilità che il suo ranch a Crawford un giorno diventi una duna di sabbia.

I climatologi che studiano gli anelli degli alberi ed altri archivi naturali sanno da tempo che il Patto del fiume Colorado (Colorado River Compact) del 1922, che assegnò l'acqua alle oasi del Southwest in rapida urbanizzazione, poggia su una storia lunga 21 anni (1899-1921) di piene. Lungi dall'essere una media, questa è in effetti l'anomalia più bagnata in almeno 450 anni. Più recentemente i climatologi hanno capito come persistenti Las Niñas (episodi freddi nel Pacifico equatoriale orientale) riescono a interagire con fasi calde nell'Atlantico settentrionale subtropicale per generare siccità nelle Pianure e nel Southwest che possono durare decenni.

Ma, come ha sottolineato Seager a Washington, le simulazioni dell'Ipcc puntano a un qualcosa di molto diverso dagli episodi aridi catalogati nel Lamont's North American Drought Atlas (un compendio aggiornato delle osservazioni degli anelli degli alberi dal II secolo A.C. ad oggi). Inaspettatamente, è lo stesso clima base a cambiare, e non solo le sue perturbazioni.

Inoltre questa brusca transizione verso un clima nuovo e più estremo «diverso da qualunque altro nell'ultimo millennio, e probabilmente nell'Olocene» scaturisce non da fluttuazioni delle temperature oceaniche, ma dalla «trasformazione dei modelli della circolazione atmosferica e del trasporto del vapore acqueo che sorgono come conseguenza del riscaldamento atmosferico». In poche parole, le terre aride diventeranno più aride, e le terre umide, più umide. Gli eventi Las Niñas, ha aggiunto Seager, continueranno a influenzare le precipitazioni nelle terre di confine, ma costruendo da fondamenta più aride, potrebbero produrre i peggiori incubi dell'Occidente: siccità delle dimensioni delle catastrofi medievali che contribuirono al famoso crollo delle complesse società anasazi del Chaco Canyon e della Mesa Verde durante il XII secolo (a rendere ancora peggiori le notizie dei super-computer, la maggiore aridità è prevista anche per molta parte del Mediterraneo e del Vicino Oriente dove una siccità epica è un sinonimo storicamente ben conosciuto di guerra, migrazione delle popolazioni ed etnocidio).

Niente panico sui campi da golf

Eppure è improbabile che il semplice allarme scientifico, nonostante provenga da 19 modelli climatici unanimi, determini molta agitazione nei sobborghi di Phoenix dotati di campi da golf, dove gli stili di vita lussuosi bruciano ogni giorno 400 galloni d'acqua pro-capite (circa 1500 litri, ndt); né impedirà ai bulldozer di dare forma ai mostruosi strip suburbs di Las Vegas (si progettano 160.000 nuove case) lungo la US 93 fino a Kingman, Arizona; né impedirà al Texas di raddoppiare la sua popolazione entro il 2040 nonostante il possibile svuotamento della falda acquifera di Oglalla.

Sebbene recentemente siano stati lanciati molti slogan sulla «crescita intelligente» e su un uso intelligente dell'acqua, gli investitori immobiliari del deserto stanno ancora progettando i sobborghi con lo stesso stampino «ottuso» e inefficiente dal punto di vista ambientale che ha mortificato la California del sud per generazioni. Inoltre, l'asso nella manica della libera impresa del Southwest è che la maggioranza dell'acqua conservata nei sistemi del fiume Colorado e del Rio Grande viene ancora destinata a irrigare l'agricoltura.

Nel medio termine, almeno, l'urbanizzazione selvaggia del deserto riuscirà ad autosostenersi uccidendo il cotone e l'erba medica, mentre i grandi coltivatori continueranno a fare soldi vendendo ai sobborghi assetati la loro acqua sovvenzionata a livello federale. Un prototipo di questa ristrutturazione è già visibile in California nella Imperial Valley, dove San Diego sta aggressivamente acquistando i diritti sull'acqua. La conseguenza è che un osservatore attento, se sorvolasse la regione, noterebbe un recente aumento di zone morte nella scacchiera smeraldina di erba medica e meloni della valle.

Più futuristicamente, c'è anche l'opzione «saudita». Steve Erie, un professore della University of California San Diego, che ha scritto molto delle politiche sull'acqua nella California del sud, mi ha detto che gli investitori immobiliari del deserto nel Southwest e nella Baja California confidano di poter tenere ben rifornita d'acqua la popolazione in continua crescita attraverso la conversione dell'acqua marina. «Il nuovo mantra delle agenzie che gestiscono l'acqua, naturalmente, è incentivare la conservazione e la rigenerazione, ma i rapaci investitori stanno mettendo i loro occhi avidi sul Pacifico e sulla alchimia della desalizzazione, incuranti delle perniciose conseguenze ambientali.

In qualunque caso, sottolinea Erie, i mercati e i politici continueranno a votare per il tipo di urbanizzazione aggressiva e ad alto impatto che attualmente ricopre di strade e aiuole spartitraffico migliaia di chilometri quadrati dei fragili deserti del Mojave, del Sonoran, e del Chihuahuan. Naturalmente stati e città gareggeranno più aggressivamente che mai per la ripartizione delle acque, «ma collettivamente le "macchine della crescita" hanno il potere di sottrarre l'acqua agli altri utenti» (riferimento alla teoria delle growth machines sullo sviluppo urbano, ndt).

A mano a mano che l'acqua diventerà più costosa, il peso dell'adattamento al nuovo regime climatico e idrogeologico ricadrà sui gruppi subalterni come i braccianti agricoli (posti di lavoro minacciati dai trasferimenti di acqua), i poveri urbanizzati (che potrebbero facilmente assistere a un aumento vertiginoso, di 100 o 200 dollari al mese, delle tariffe dell'acqua), i contadini che operano nei terreni aridi (compresi molti nativi americani) e, specialmente, le popolazioni rurali nel nord del Messico.

La fine dell'epoca dell'acqua a basso prezzo nel Southwest - dato che potrebbe coincidere con la fine dell'energia a basso costo - accentuerà il livello, già alto nella regione, delle ineguaglianze di classe e razziali, e spingerà più migranti a sfidare la morte in pericolosi attraversamenti dei deserti di confine. Ci vuole poca immaginazione, inoltre, per indovinare lo slogan futuro dei minutemen: «Stanno venendo a rubare la nostra acqua!» (I minutemen erano volontari della guerra d'indipendenza noti per essere pronti a partire all'istante, ndt).

La politica conservatrice in Arizona e in Texas diventerà ancora più avvelenata ed etnicamente caratterizzata, se possibile. Il Southwest è già attraversato dappertutto da un violento nazionalismo che si serve di capri espiatori e da ciò che può essere definito solo proto-fascismo: nelle siccità a venire, potrebbero essere gli unici semi a germinare.

Come Jared Diamond mette in luce nel suo recente best-seller Collapse, gli antichi anasazi non soccombettero solo per la siccità, ma piuttosto per l'effetto dell'inattesa aridità su un territorio super-sfruttato, abitato da persone poco preparate a fare sacrifici nel loro «stile di vita lussuoso». In ultima istanza, preferirono divorarsi fra di loro.

Traduzione Marina Impallomeni

ARTICOLI CORRELATI

© 2024 Eddyburg