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Gian Antonio Stella
Abusi a Roma. Quella villa nel parco spuntata in poche ore
10 Aprile 2004
Abusivismo
Gian Antonio Stella prosegue la sua inchiesta sull’Italia abusiva. Sul Corriere della sera del 19 settembre 2003.

ROMA - Una calda notte di agosto, a pochi passi dalla celeberrima tomba di Cecilia Metella, nel cuore dell'Appia Antica, è spuntata una villa abusiva. E' venuta su così, come un fungo. In poche ore tra il sabato e la domenica, mentre l'Italia era distratta dalla strage di Rozzano e dalla catena di anziani uccisi dall'afa. Villa prefabbricata, ma villa vera, con le camere e il salone e i bagni e la veranda e un bel tetto verde per un totale di oltre 150 metri quadri. Degno suggello alla notizia che il governo aveva ormai praticamente deciso di varare un nuovo condono edilizio. Direte: ma come è possibile costruire una villa fuorilegge lì, dentro uno dei parchi archeologici più famosi del mondo, protetto da regole di salvaguardia rigidissime, sorvegliato da un manipolo piccolo ma appassionato di guardiaparco? E' possibile.

Basta seguire le regole che tutti gli abusivi di questa zona, una delle più prestigiose di Roma, abitata da nomi illustri che vanno da Franco Zeffirelli al sarto Valentino Garavani, da Gina Lollobrigida a Marta Marzotto a grandi protagonisti dell’imprenditoria e della finanza, hanno ormai mandato a mente.

Uno: si piantano fitti fitti un po’ di alberi per una prima barriera che impedisca la vista ai curiosi. Due: si fa stendere una parete di canne, la più alta possibile, ma comunque oltre i due metri. Tre: si rafforza la barriera di alberi e di canne con un telo verde da cantiere. E via così. Ormai il comandante Guido Cubeddu e i suoi uomini capiscono al volo. E anche lì, in via del Pago Tropio, alle spalle dei magnifici resti della basilica di San Nicola e del Castello dei Caetani, a non più di settanta metri dalla tomba della figlia del console Quinto Metello che costituisce uno dei punti di maggior richiamo di questo parco fortissimamente voluto e imposto con le sue battaglie giornalistiche dal grande Antonio Cederna, avevano capito da tempo che era in preparazione un progetto edilizio.

Un anno fa, più o meno di questi tempi, avevano sorpreso una ditta specializzata a scavare le fondamenta di una villa. Certo, non una villa in muratura. Quella avrebbe dovuto arrivare dopo, di condono in condono.

Ma una casa comunque molto bella. In legno di primissima qualità. Dalle rifiniture di pregio e dallo stile vagamente orientale. Progettata e costruita pezzo per pezzo da una società romana specializzata. Immediata denuncia, intervento della magistratura, sequestro del cantiere, ordine perentorio di rimuovere immediatamente i pannelli e le travi e i tramezzi già pronti per essere montati.

Un ordine mai rispettato dalla proprietaria, Annapia Greco, della famiglia romana diventata immensamente ricca scoprendo per prima verso la metà degli anni Settanta il businness dell’importazione di prodotti di abbigliamento cinesi di buona qualità e bassissimo prezzo. Prodotti venduti in Italia con il marchio oggi famoso di Balloon. La donna non è l’unica della famiglia, in zona. La madre vive in una antica e splendida villa in via della Caffarella e il fratello Roberto, l’amministratore delegato e l’anima del gruppo, abita in un’altra dimora straordinariamente bella nel cuore del Parco. Mai un abuso, mai una forzatura, mai un problema.

Rispettosissimo.

Per mesi e mesi i guardiaparco hanno tenuto d’occhio il posto, arrampicandosi sul tetto della camionetta per dare ogni giorno un’occhiata al di là della impenetrabile cortina di alberi, canne e teli. E per mesi e mesi il cantiere è rimasto bloccato.

Deserto. Finché la mattina del lunedì 25 agosto dietro la barriera, in plastica coincidenza coi titoli dei giornali che la settimana prima avevano dato ormai per scontato il condono per bocca di vari membri del governo, hanno finalmente visto qualcosa.

Allungato il collo, hanno intravisto un tetto: la casa, come avrebbero poi dimostrato le foto scattate dall’elicottero, era spuntata.

Stupore? Zero. I dati elaborati per Legambiente da Mauro Veronesi sull’abusivismo edilizio non lasciano dubbi: dal 1994 ad oggi si sono edificate mediamente nel territorio del comune di Roma 23.145 case abusive: sette al giorno. Anche nelle zone più sorvegliate, anche nelle zone soggette ai vincoli più stretti. Certo, è un fenomeno che riguarda tutta l’Italia. E ce lo dice un rapporto del 1998 dei carabinieri del Nucleo Ecologico, che avevano censito allora (e da allora le cose sono peggiorate) 3.309 abusi edilizi nei parchi naturali, 12.899 nelle aree protette, 2.194 in quelle demaniali. Cifre preoccupanti, ma mai quanto la percentuale delle demolizioni effettivamente eseguite di edifici destinati dalla legge, con sentenza, all’abbattimento: 2,4%.

Figuratevi la situazione in un parco urbano, collocato proprio dentro la capitale, ricco di un patrimonio edilizio accumulatosi dal medioevo al novecento e creato solo nel 1988 come quello dell’Appia Antica. A far la lista degli abusi censiti non si finisce più: 40 campi da tennis, 7 piscine, 35 case, 4 campi da calcetto, 44 capannoni industriali, un campo da baseball, una pista di pattinaggio... Un disastro. Testimoniato dalla indifferenza che mostrano in troppi davanti alle regole.

Prendete la società Tosinvest, di proprietà della famiglia di Antonio Angelucci, l’ex portantino diventato uno degli uomini più ricchi d’Italia, editore prima dell’«Unità» e oggi di «Libero». Possiede da un po’ di anni quattro ettari e mezzo a pochi metri dalla porta San Sebastiano. Una volta, stando ai rapporti, alle fotografie e ai rilievi aerofotogrammetrici, c’erano due baracche. Oggi, nonostante il divieto assoluto di edificare, ci sono una villa a un piano di 292 metri quadri, una «casa custode» di 106, un «magazzino attrezzi agricoli» di 120, un «recinto cavalli»...

E il Centro Motoristico Appia Antica, anche questo a pochi passi da Porta San Sebastiano? Spiega la direzione del parco che nell’ottobre 1988 i vigili urbani denunciarono l’esistenza di «un laboratorio di autofficina con annesso deposito di materiali di ricambio sprovvisto di autorizzazione comunale». Bene: oggi «l’attività si svolge su immobile di proprietà pubblica regionale in affidamento al Comune, occupato senza titolo da ex affittuari in quanto il Comune di Roma aveva dato formale disdetta del contratto già dal 1992, e su un’area privata occupata abusivamente di circa 10.000 metri quadri destinata alla pubblica fruizione nell’ambito del piano del parco della Caffarella». Area trasformata «con sbancamenti e risistemazioni in un grande parcheggio (per almeno 200 auto) all’aperto». Salvatore Bonanno, il titolare della concessionaria, presenta nel gennaio 1999 una dichiarazione d’inizio attività. Per perfezionare la pratica gli serve il parere favorevole del Parco, della Sovrintendenza, di vari uffici comunali: non ne avrà neanche uno. Eppure, accusa la direzione del Parco, è ancora lì. E, come dimostrano le foto scattate in anni diversi, ha pure «trasformato in un villino» un vecchio rudere.

Poche centinaia di metri più in là, l’«effetto serra» ha dato lo stesso frutto di tante altre finte serre lungo l’antica Appia fino ai confini della Campania: sotto il cellophane tirato su per coltivare zucchine e pomodori, giorno dopo giorno è spuntata una casa abusiva. Col comignolo. E lo chiamano «parco»...

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