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Edoardo Salzano
20060706 Una legge urbanistica liberale
15 Gennaio 2008
Articoli e saggi
Un articolo scritto per Liberazione, su richiesta di alcuni deputati di Rifondazione comunista all’incontro di presentazione della proposta degli “amici di eddyburg”. Pubblicato il 6 luglio 2006

Una legge di sinistra? No, una legge liberale, quella che un gruppo di “amici di Eddyburg” ha presentato alla Sala delle colonne della Camera dei deputati.

Liberale come erano quegli uomini che, per promuovere la crescita del profitto e del suo reinvestimento nel processo produttivo, contrattavano il prezzo dell’indispensabile “merce” costituita dalla forza lavoro, ma colpivano senza risparmio la rendita, considerandola una componente meramente parassitaria dell’economia. Colpivano oppure, in Italia, predicavano la necessità di colpire, non avendo avuto compiutamente la forza di farlo. “Prediche inutili” intitolò un grande liberale, Luigi Einaudi, una collana di aurei libretti.

Liberale come erano quegli uomini che compresero molto presto che esistono questioni che il mercato, essenziale per misurare il valore di scambio delle merci, non solo non sa affrontare, ma anzi continuamente aggrava se lasciato libero a se stesso. Il metodo della pianificazione urbanistica, ossia della decisione a priori delle trasformazioni da promuovere o consentire nel territorio della città (del suo disegno) non fu inventata nei paesi del socialismo reale, ma in quelli del capitalismo avanzato. E ovunque vigesse un regime democratico la responsabilità ne fu affidata agli istituti che esprimevano la collettività: le comunità locali, lo stato,le “autorità” espressive del popolo.

L’Italia è un paese strano. La rendita (immobiliare e finanziaria) non è avvertita come un impiego alternativo di risorse rispetto alla crescita dell’accumulazione (quindi alla ricerca di innovazioni, al miglioramento della qualità del prodotto, all’aumento dei salari e quindi del potere d’acquisto dei consumatori), da contrastare e ridurre per aumentare il “tasso di capitalismo”, il peso e l’efficacia della produzione industriale, la concorrenza sul mercato globale. È considerata invece come un fattore di sviluppo. Certo che lo è, ma solo per le ricchezze personali dei suoi percettori, non per la ricchezza del paese.

Del tutto omogenea a questa impostazione italiota è la “legge Lupi” sulla pianificazione urbanistica, approvata dalla Camera (ma non dal Senato) nella passata legislatura. Una legge che smantellava il potere pubblico della pianificazione e attribuiva un ruolo centrale alla proprietà immobiliare, Una legge che, sull’onda delle fortune del neoliberismo e della diffusione di slogan come “meno stato e più mercato”, “privato e bello” e simili, ha incontrato qualche simpatia anche a sinistra, tanto che si è potuta chiamarla una legge bipartisan.

La legge degli “amici di Eddyburg” nasce per contrastare la legge Lupi e per dare una risposta positiva alla domanda di rilancio della pianificazione del territorio: un rilancio aggiornato, che risponda alle nuove domande e alle nuove attese. La legge si apre con un’affermazione forte: il territorio è un bene comune, e la responsabilità del suo governo appartiene ai poteri pubblici, che la esercitano impiegando il metodo e gli strumenti della pianificazione territoriale e urbana.

Oltre al ripristino dei principi cardine della pianificazione, due temi sono posti al centro della legge: il consumo di suolo e i diritti delle cittadine e dei cittadini all’uso della città.

Ridurre il consumo di suolo, contrastare la proliferazione delle urbanizzazioni e la sottrazione di terreno al ciclo naturale, eliminare gli sprechi (di tempo, soldi, energia, terra) dovuti alla disseminazione di funzioni urbane su vaste aree: sono tutte facce d’un fenomeno che moltissimi stati europei (e USA) stanno contrastando da molto tempo. In Italia, non c’è nemmeno una misura ufficiale dell’entità del fenomeno: si sa solo che è gigantesco e che distrugge qualità, funzionalità, risorse in misura crescente. La stessa pianificazione urbanistica corriva agli interessi immobiliari e a uno ”sviluppo” misurato in metri cubi edificabili, spesso lo promuove. La proposta di Eddyburg suggerisce alcune prescrizioni che, se adottate, permetterebbero finalmente di combatterlo.

Nella stagione delle riforme (quelle vere, negli anni 60 e 70), grazie alla sollecitazione del movimento delle donne e delle più avanzate esperienze amministrative, si era riconosciuto il diritto di ogni cittadino della Repubblica a godere di una determinata dotazione minima (standard) di aree da utilizzare per spazi e servizi pubblici. Questo diritto era stato “regionalizzato” e reso opzionale dalla legge Lupi. Il testo di Eddyburg lo conferma e lo ribadisce, e lo estende ad altri diritti sociali cui la pianificazione urbanistica deve dare il suo contributo: il diritto a un’abitazione decorosa a un prezzo compatibile con la capacitò di spesa, il diritto ad accedere alle diverse funzioni presenti sul territorio con un sistema di mobilità efficace e non costoso. Il che non significa solo mezzi di trasporto efficaci, ma in primo luogo corretta distribuzione degli insediamenti sul territorio.

Camminerà la proposta degli “amici di Eddyburg”? Lo vedremo, forse, già nei prossimi giorni.

Qui l'articolato e qui la relazione della proposta di legge di principi per la pianificazione del territorio

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