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Paolo Brogi
Chiostro del Bramante ridotto a stand
20 Aprile 2006
Roma
L'uso improprio di un capolavoro di architettura rinascimentale è già degrado. Dal Corriere della Sera, ed. Roma, 19 aprile 2006 (m.p.g.)

Il Chiostro del Bramante? Invaso da una struttura che ospita serate di gala ed eventi. Col celebre pavimento rinascimentale coperto da una pedana di legno e l'invaso tra i portici chiuso con un ponteggio. Un capolavoro nascosto dalle tovaglie. Prima opera del Bramante a Roma, eretta tra il 1500 e il 1504. Spazio per esposizioni, è stato man mano modificato e destinato sempre più a serate di gala.

Il chiostro più affascinante della Roma rinascimentale non c'è più. Al suo posto una creazione posticcia che viene utilizzata per ospitare eventi, cene di gala e concerti musicali. Doveva essere qualcosa di provvisorio e mobile, ormai ha preso il posto dell'opera d'arte ideata tra il 1500 e il 1504 da Donato Bramante a Roma, la sua prima opera in città. Un gioiello, come il successivo Tempietto a San Pietro in Montorio eretto quattro anni dopo.

Com'è possibile che nel silenzio generale il chiostro del Bramante sia stato ridotto nel modo in cui si presenta oggi ai visitatori ignari? Quale sovrintendenza permette tutto ciò? Partiamo dal pavimento. Mirabile nella sua struttura a diagonali di marmo bianco incrociate al centro esatto, secondo un disegno perfetto che si inquadra nel superbo portico sovrastato da un loggiato superiore, giace ora sotto una penosa piattaforma in legno. Va avanti così da tempo, minaccia di diventare una soluzione permanente. La bigliettaia delle mostre ospitate dal chiostro (in corso c'è quella di Aristide Sartorio) avverte premurosa: «La struttura è provvisoria, certo qui spesso ci sono gala serali e poi tra poco la serie di concerti...».

Cose di questa Italia. L'invaso pregevole del chiostro che guardava al cielo aperto e da un angolo del quale si poteva ammirare il magnifico campanile con la cuspide a maioliche dell'adiacente Santa Maria dell'Anima si presenta oggi oscurato da un involucro a tronco piramidale, basato su colonnine metalliche e un tetto strutturato sugli stessi materiali, dall'aria decisamente stabile come qualcosa che ormai è lì e intende restarci. Unica consolazione, al posto delle tegole, un velo di cellophane che fa passare la luce. Sul sito internet la società che gestisce, in partnership dice con Comune e Regione Lazio, mette a disposizione il chiostro per gala e cose affini in pratica tutti i giorni, sabato escluso, a partire dalle 19,30. «Disponibile», si legge. Basta pagare.

Scomparso e illeggibile è poi il lungo fregio che corre lungo tutto il perimetro interno del Chiostro tra il portico e il loggiato superiore. Occultato dal ponteggio. Non si legge il fregio, ma in aggiunta si possono ammirare invece tutta una serie di faretti e di ingombranti matasse di fili elettrici appoggiati sullo spiovente ad ardesie che copre il fregio. È così che appare il chiostro dal loggiato superiore, dove oltre a vedere i fili elettrici si ammirano anche i tavolini mobili della caffetteria appoggiati alla balaustra del loggiato, tra i pilastri con lesene a fascio alternati a colonne di ritmo doppio.

L'introduzione dei tavolini, tempo fa, sembrava un insulto veniale. Invece era solo un avvertimento. Oggi infatti il bar che era nato come struttura al servizio dell'esposizione museale è diventato un servizio autonomo, un bar pregiato alla pari degli altri della zona conosciuta a Roma come «triangolo delle bevute» e che ha nel vicino Bar della Pace un locale cult. Per frequentare il bar non è necessario visitare mostre, vi si accede liberamente dicendolo alla biglietteria. A quel punto, c'è da meravigliarsi se il chiostro ne ha seguito la sorte come stand?

Era un chiostro, spiegano le guide, di «mirabili proporzioni e inalterato in ogni sua parte». «Opera di affascinante, raffinata ed elevata qualità formale» aggiunge su Internet la società di gestione. Costruito quando l'adiacente chiesa non era ancora il capolavoro di Pietro da Cortona (eseguito a metà '600) ma solo la chiesa riedificata da Baccio Pontelli nel 1482, Sant'Andrea de Aquariziis, non sapeva però di essere nel Terzo Millennio destinato a stand, in partnership con le istituzioni cittadine.

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