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Claudio Malacrino
La casetta piccolina in Canada
18 Febbraio 2008
Le Olimpiadi possono provocare anche brutte cose. Come testinmonia questa corrispondenza da Torino.

Nel 1984 la benemerita Società degli Ingegneri e degli Architetti di Torino pubblicò un corposo studio in due volumi del Politecnico di Torino dal titolo “Beni culturali ambientali nel Comune di Torino”. Lo studio era stato finanziato dalla Città di Torino e dal Ministero della Pubblica Istruzione. Vale la pena che gli studiosi (storici della città ed urbanisti, architetti ed ingegneri) rileggano alcune pagine di quegli studi così accurati. In particolare, nel primo volume, il saggio a cura di Vera Comoli Gli ambiti nella struttura storica della città fa scoprire l’esistenza – per chi non lo sapesse già o per chi non avesse ancora avuto tempo in questi 21/22 anni di leggerlo – di un nucleo storico di più antica acculturazione urbana costituente la parte interna all’antico perimetro delle fortificazioni della Città.

Proprio su uno dei bordi di questa parte di città, a fare da cerniera a sud/est con il “Borgo Nuovo”, era collocata l’area del piazzale, noto ai torinesi a partire dal Secondo dopoguerra, come piazzale Valdo Fusi: una spianata utilizzata come area per parcheggio alberato di assai povera immagine in sè.

Era il contorno di questa piastra “povera” che, tuttavia, componeva una composita quinta prospettica di pregio (quasi un catalogo architettonico) godibile a 360 gradi dal piazzale medesimo. Sempre facendosi guidare dallo studio del 1984, si può “scoprire” che si erano collocati nel tempo, lungo i quattro lati della piastra, manufatti i cui prospetti erano fino al 2004 contemporaneamente ed integralmente visibili come in circorama involontario.

Si tratta di una virtuosa sequela: il Palazzo Costa Carrù della Trinità di valore storico-artistico e ambientale, edificato su progetto attribuito a Birago di Borgaro e rimaneggiato nel XIX secolo; l’Istituto Alfieri Carrù oggetto di ristrutturazioni e segnalato nel 1822 come casa da reddito; la Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura segnalato come “significativo esempio di architettura contemporanea per il terziario superiore, di rilevante interesse tipologico e strutturale” su progetto di Carlo Mollino, Carlo Graffi e Alberto Balordi nella seconda metà degli anni ’60 del secolo scorso; la Borsa Valori del 1953 di Roberto Gabetti, A. d’Isola, G. Raineri, “significativa testimonianza delle prime ricerche di architettura post-razionalista”; l’Ospedale Maggiore di S. Giovanni Battista (ora Museo Regionale delle Scienze) primo esempio di ospedale a croce in Piemonte, progettato da Amedeo di Castellamonte, edificato a partire dal 1680, segnalato quale edificio di valore storico-artistico e documentario; il fronte a Palazzine della Via Cavour su cui sono collocati “edifici ottocenteschi di rappresentanza di valore ambientale”.

A Torino, come è noto a chi ha studiato le vicende del Piano Regolatore approvato nel 1995, però spira una tendenza ispirata sostanzialmente alla paura del vuoto (l’horror vacui) e così per il piazzale Valdo Fusi, attraverso un concorso di idee, si sceglie un nuovo destino; non più lo spartano piazzale alberato, ma un piazzale sovrastante un parcheggio interrato.

Il parcheggio interrato avrà sostanzialmente gli stessi posti auto già presenti in superficie; l’area sovrastante non sarà più concepita come podio panottico per godere dei prospetti e delle architetture prima citate, ma sarà realizzata sia incassando il piano all’aperto tra due colline trapezoidali che “nanizzano” le facciate dei palazzi delle Vie Giolitti e Cavour nascondendo i piani più bassi sia edificando una struttura di servizio per le biglietterie a forma di casetta/salvadanaio.

Le colline trapezoidali, che in realtà celano le rampe di accesso ai piani parcheggio, sono inerbite, ma l’eccessiva pendenza del solaio di copertura fa sì che periodicamente, quando piove, la terra venga trasportata dall’acqua nella conca del piazzale; d’estate, non essendoci più alberi, il lastricato della piazza si scalda come una teglia da forno.

Ma poiché, a Torino, non c’è mai nulla di lasciato al caso (soprattutto al vuoto), nei giorni dell’Olimpiade la casetta/salvadanaio avrà una calda compagnia: uno sproporzionato chalet prefabbricato in legno, arrivato dal Canada, ben più grande della sua cugina italiana e che le è stato innalzato a fianco. Tutto, poi, è stato completato con una sovrastruttura in tubi di acciaio e teloni circensi multicolori; così, quel che non aveva del tutto ed ancora fatto il nuovo parcheggio, ha compiuto il Padiglione Olimpico del Canadà: è quasi scomparsa la facciata dell’Ospedale Maggiore di S. Giovanni Battista, primo esempio di ospedale a croce in Piemonte, progettato da Amedeo di Castellamonte“ eccetera eccetera.

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