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Filippo Ciccone
Conservare il patrimonio
4 Gennaio 2006
Recensioni e segnalazioni
A proposito del libro Beni ambientali e proprietà: i casi del National Trust e del Conservatoire de l’espace littoral, di Carlo Desideri e Emma A. Imparato, Giuffrè, Milano, 2005

Quando, tre anni fa, Carlo Desideri mi parlò del suo progetto di approfondire la questione del National Trust e del Conservatoire du littoral come antidoto al dilagare del massacro dei luoghi più belli del nostro Paese, confesso, ora, che la cosa mi lasciò alquanto perplesso. Eravamo nel pieno dispiegarsi delle politiche del centro-destra, impostate, com’è noto, sul laisser faire. Ma non è che da sinistra si vedessero segnali molto diversi: nessuno degli uomini politici più in vista si stracciava le vesti per tutelare l’ambiente e il paesaggio.

Carlo e Emma Imparato mi hanno poi, a più riprese, tenuto informato degli sviluppi della ricerca, di cui ho potuto leggere con grande piacere i manoscritti. E, nel frattempo, qualcosa cambiava. Soprattutto in Sardegna. Renato Soru, praticamente appena insediato, emanò un decreto che bloccava l’edificazione sull’isola fino alla redazione di un nuovo Piano paesistico. E, contemporaneamente, deliberava la costituzione di una Conservatoria delle coste, quale struttura organizzativa della Regione.

Il progetto di Piano paesistico della Sardegna è stato appena adottato e la Conservatoria sta facendo i primi passi, affidata alle cure di Giovanni Carta.

Il lavoro di Carlo Desideri e Emma Imparato, sviluppato anche grazie al sostegno di Carlo Alberto Graziani, che firma un’ampia presentazione del volume, finisce così per diventare di stringente attualità. Addirittura uno strumento di lavoro per quelle giunte regionali (speriamo non solo di centro-sinistra), che volessero intraprendere la strada di agevolare iniziative di tutela, al riparo da ogni rischio di degrado.

Perché, l’intuizione felicissima della ricerca di Desideri e Imparato, è quella di mettere l’accento sul fatto che ci sono due strade possibili per creare un patrimonio inalienabile di aree protette: quella inglese, basata sulla cessione volontaria e comunque a gestione privatistica, e quella francese, basata sull’acquisizione pubblica e a gestione pubblica (degli enti locali) o eventualmente privata.

Gestione rimane la parola chiave: non si tratta di patrimoni in cui governa la natura naturans. Al contrario, parliamo di interi sistemi paesaggistici che coniugano tutela e produttività, che conciliano la massima qualità ambientale con la presenza antropica idonea a garantirne la salvaguardia e il godimento. E, soprattutto nel caso inglese, a praticare attività agricole compatibili e redditive, turismo e benessere.

Le indicazioni per il caso italiano sono molteplici: nel nostro Paese esistono patrimoni pubblici di aree che si sono dimostrati validi ai fini della tutela (pensiamo al demanio militare), e forme pubbliche o pubblicistiche o collettive che invece hanno poco garantito sul terreno della tutela. O perché erroneamente (o colpevolmente) ritenute superate (è il caso delle varie forme di uso civico), o perché mal gestite (pensiamo al demanio marittimo). E, comunque, la questione dei demani va riordinata e resa gestibile: ma non certo alla maniera di Tremonti, che è riuscito a inserire nella finanziaria, senza particolari resistenze, una sciagurata disposizione sulle concessioni relative al demanio costiero.

Il libro di Desideri e Imparato andrebbe diffuso soprattutto in vista della prossima campagna elettorale. Questo lavoro indica una direzione chiara e praticabile, anche in forma comparata, per un riordino di tutta la materia delle proprietà pubbliche o d’interesse collettivo, con una particolare attenzione alle forme di gestione. Senza trascurare di rileggere criticamente l’esperienza dei Parchi naturali, certamente importante ma che non può soddisfare. L’esame deve essere laico: dobbiamo rivedere anche criticamente l’insieme degli strumenti di pianificazione territoriale. Dobbiamo dare spessore e continuità a quella fase, che ormai data un ventennio, nella quale fiorirono diversi strumenti di piano, tutti concorrenti ma o poco praticati o comunque inefficaci: piani paesistici (1985), piani di bacino (1989), piani territoriali provinciali (1990), piani per le aree protette (1991). Deve nascere una nuova stagione che ponga al centro il paesaggio e l’ambiente. Riapriamolo davvero questo capitolo, senza più dimenticare che non basta fare delle buone riforme senza garantire contemporaneamente forme di gestione idonee e un sistema conseguente di controllo dell’efficacia delle leggi.

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