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"Salvaguardia: una perplessità e una proposta"
20 Gennaio 2006
Proposte e commenti
Salvatore Napolitano, e una replica di Luigi Scano

Caro Eddyburg, Ho letto con grande attenzione l’intervento di Luigi Scano, dal titolo “ non mitizziamo le misure di salvaguardia”, in cui sono evidenziati spunti interessanti, in merito ai quali ritengo utile contribuire con alcune riflessioni.

Nell’intervento relativo alle “misure di salvaguardia” così come strutturate dalla L.R. della Campania n. 16/2004, volevo porre l’attenzione su alcuni aspetti applicativi delle innovazioni introdotte, di cui forse non ho evidenziato con la giusta chiarezza le ricadute e gli aspetti più problematici.

La L.R. n. 16/2004, prevede che nelle procedure di formazione ed approvazione dei piani generali comunali, le “misure di salvaguardia” non sono efficaci, in un momento molto delicato, quale l’esame delle osservazioni inoltrate alla Pubblica Amministrazione e l’elaborazione delle controdeduzioni. Infatti, la legge campana, prevede che l’atto deliberativo della Giunta Comunale, da inizio alla fase di pubblicazione, mentre successivamente il Consiglio Comunale “adotta” il Piano con atto deliberativo, in cui esamina anche le osservazioni ed in relazione ad esse controdeduce. Quindi la delibera di Giunta Comunale non propone semplicemente al Consiglio l’adozione del “Piano”, ma da inizio alla fase di pubblicazione e recepimento delle osservazioni. In pratica nella fase della pubblicazione, ed esame delle osservazioni, e quindi approvazione dell’atto deliberativo, da parte del Consiglio Comunale con cui si “adotta” il Piano, non sono efficaci le “misure di salvaguardia”.

Non ho mai creduto che le norme abbiano virtù salvifiche, meno che mai nelle materie urbanistiche, ma anzi esse, oltre ad essere espressione di una “visione del mondo” da parte di una maggioranza che legifera, hanno valore temporaneo, proprio perché modificabili sulla base dell’esperienza diretta applicativa, ed in conseguenza del modificarsi degli obiettivi che una collettività si prefigge.

Credo, che i “Piani” debbano essere patrimonio di una maggioranza, la più ampia possibile; essi per loro natura sono atti pubblici, nel senso più profondo, e le Amministrazioni Comunali che li elaborano, hanno l’obbligo, non solo normativo, di cercare la massima condivisione e partecipazione alla collettività, sia nella fase di elaborazione che nelle procedure di formazione ed approvazione. In merito a questi ultimi aspetti, nessuna norma impedisce alle Amministrazioni Comunali di cercare di attuare le più efficaci forme di partecipazione, di scelte importanti, come quelle riguardanti il territorio in cui vive una comunità, e questo dovrebbe avvenire, ed avviene in molti casi, dopo aver deciso di elaborare un nuovo “Piano”, nelle fasi precedenti al momento in cui un’amministrazione decide formalmente di iniziare l’iter di approvazione di uno strumento urbanistico generale.

Nelle fasi di partecipazione e condivisione di uno strumento urbanistico generale, spesso con difficoltà e pazienza si forma una maggioranza, che condivide delle scelte di assetto territoriale, e penso, nelle esperienze migliori, cerca di porre un argine alle spinte più retrive della speculazione. Nei casi in cui, dopo aver ricercato la massima partecipazione, si decide di iniziare l’iter di approvazione del “Piano”, con l’adozione dell’atto deliberativo, da parte della Giunta Comunale, si da inizio alla fase di pubblicazione (L.R. n. 16/2004), ed a questo punto, l’impianto della Legge n. 1150/1942 prevedeva che con la delibera che dava inizio alla fase di pubblicazione, iniziasse anche l’efficacia delle “misure di salvaguardia”, mentre il legislatore campano, ha spostato in una fase ancora successiva le necessarie “salvaguardie”. Non si comprende la necessità dell’innovazione introdotta, anche perché non risponde ad un principio di semplificazione delle procedure, infatti il procedimento non avrebbe subito alcun “appesantimento” dall’efficacia delle misure di salvaguardia, nel momento in cui si inizia la fase di pubblicazione, in pratica sarebbe rimasto inalterato, sia nei tempi che negli adempimenti amministrativi.

In relazione alla possibilità di “secretare” le previsioni di uno strumento urbanistico, ritengo che oltre ad essere impossibile, sia anche esercizio inutile e dannoso; però non capisco quale utilità abbia, alla fine di un tortuoso percorso di partecipazione delle scelte di Piano, eliminare una semplice forma di garanzia, nella fase in cui l’amministrazione comunale recepisce e controdeduce rispetto alle osservazioni.

Prevedere che le misure di salvaguardia siano efficaci solo dopo che l’amministrazione ha pubblicato il Piano, recepito ed esaminato le osservazioni, provoca la possibilità che una minoranza portatrice di interessi “altri” e “minoritari” potrà far sentire, ancora, il proprio peso, con tutte le conseguenze immaginabili, a discapito di una maggioranza che si è formata nel dibattito e nella partecipazione delle scelte operate; anche perché il legislatore dovrebbe prevedere le forme più chiare e corrette di interventi da parte di soggetti interessati, mentre in questo caso , si provoca a mio parere una dannosa sinergia tra le motivazioni che potranno formare le osservazioni, ed istanze di Permessi di Costruire non conformi al Piano in corso di approvazione. Le norme, credo che devono tendere ad evitare “zone” di pressione al di fuori dei procedimenti formali, e probabilmente il legislatore del 1942, a questo tendeva “garantendo” la fase in cui l’amministrazione esamina le osservazioni al “Piano”.

L’aspetto che qui evidenzio penso che non sia trascurabile, soprattutto nella Regione Campania dove la presenza pervasiva della “criminalità organizzata”, si esplica anche incidendo sulle dinamiche territoriali. In merito a quest’ultimo punto, sono convinto, che in ampie zone della Regione Campania, la “forma” attuale del territorio è l’espressione, anche della “storia delle organizzazioni criminali”, e non sembri paradossale ma ritengo che si potrebbe scrivere una “storia dell’urbanistica della criminalità organizzata”, che riserverebbe molte sorprese interessanti.

Quindi, senza “mitizzare” le misure di salvaguardia, mi sembra poco proficuo che esse non siano efficaci, ripeto, in una fase delicata e cioè nel momento in cui si esaminano le osservazioni e si decide in merito ad

esse.

Sono auspicabili tutte le innovazioni normative che tendono a semplificare i procedimenti ed a ridurre i tempi di approvazione degli strumenti urbanistici, ma a volte sembra che alcune novità vadano solo nella direzione di ridurre le già scarse forme di garanzia di affermazione di un interesse generale, rispetto agli interessi di “pochi”, ma economicamente rilevanti, e trovano la massima giustificazione nel “liberare” gli operatori economici da “lacci e laccioli”, come il “Cavaliere” definisce le norme che prevedono qualche forma di garanzia per la maggioranza dei cittadini.

Le norme regionali, in tutte le materie, ma in particolare per quelle che riguardano la programmazione del territorio, credo che debbono avere nella giusta considerazione le condizioni della società nella quale saranno applicate, ed esplicheranno effetti; quindi in Campania il legislatore non può ignorare quello che ha permesso al legislatore nazionale, in alcuni momenti, di emanare norme per rendere più efficace la lotta alle “mafie”, e cioè una profonda consapevolezza delle reali forze che incidono sull’evoluzione degli assetti del territorio.

Nel ringraziarvi per aver letto questa nota, vi saluto con stima e ammirazione.

Risponde Luigi Scano

Ritengo inutile postillare cavillosamente il nuovo intervento di Salvatore Napolitano sul tema dell'applicazione delle misure di salvaguardia secondo i dettati della legge regionale campana 16/2004, anche perchè l’intervento nella sua sostanza è del tutto condivisibile. Nel mio scritto (Non mitizziamo la salvaguardia) volevo semplicemente, a partire dal precedente intervento di Salvatore Napolitano, indurre a riflettere sull'insanabile contraddizione tra l'obiettivo di realizzare anche il primo momento sub-procedimentale della formazione di uno strumento di pianificazione, cioé l'adozione, con la più ampia partecipazione democratica, istituzionale e magari non soltanto, e l'obiettivo di impedire che, nelle more delle discussioni e dei confronti sulle scelte più innovative proposte dal nuovo strumento, i soggetti interessati alle rendite e ai profitti ricavabili dall'attuazione delle trasformazioni ammesse dallo strumento tuttora vigente, e che si ritengano penalizzati dai nuovi precetti pianificatori proposti, chiedano e ottengano (come "atti dovuti") i provvedimenti abilitativi a operare quelle predette trasformazioni, vanificando di fatto, in tutto o in parte, l'applicabilità di questi nuovi precetti.

Avanzo una proposta provocatoria (peraltro adombrata in vecchie leggi sia del Friuli-Venezia Giulia che del Veneto) : non sarebbe il caso di sancire che alla deliberazione, di competenza dell'organo esecutivo dell'ente territoriale, della proposta dell'atto di avvio di un procedimento di formazione di uno strumento pianificatorio (lo si chiami così, o "atto di indirizzo", o "documento preliminare", o come accidenti si voglia), sia conferita la possibilità di stabilire delle speciali misure di salvaguardia, consistenti nella sospensione (rigorosamente a tempo determinato, ragionevolmente commisurato a quello di presumibile redazione materiale e adozione, da parte dell'organo democratico rappresentativo dello stesso ente territoriale, del nuovo strumento) dell'efficacia di talune previsioni trasformative, afferenti a taluni ambiti territoriali, dello strumento tuttora vigente.

Sia chiaro: questa ipotesi di disposto legislativo non porrebbe rimedio al rischio che qualche dipendente pubblico, o consulente o contrattista privato, addetto alla formulazione tecnica della proposta dell'atto di avvio del procedimento, e delle collegate speciali misure di salvaguardia, ovvero lo stesso assessore competente, ovvero qualche suo collega, ovvero ancora un usciere origliante dietro le porte, informi proprio i portatori degli interessi che sarebbero più incisi delle determinazioni in corso di elaborazione, o di decisione. Ma questa è questione che rimanda, ove si riesca a provare la natura di reato di siffatti comportamenti, alla legislazione penale e all'amministrazione della relativa giustizia, e, per il restante, alla tendenziale propensione al peccato dell'essere umano, derivante, almeno per le culture di radice giudaico-cristiana, al peccato originario, nell'Eden, dei progenitori dell'umanità: alla quale, fortunatamente, negli stati secolarizzati e più o meno soddisfacentemente liberali e laicizzati, non è più da un pezzo richiesto alla produzione legislativa di porre rimedio.

(Luigi Scano)"

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