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Richard Rogers
Verso un Rinascimento Urbano
16 Dicembre 2005
Esperienze straniere
Ampi estratti dal rapporto della Urban Task Force britannica dopo sei anni di attività, novembre 2005 (f.b.)

Towards a Strong Urban Renaissance. An independent report by members of the Urban Task Force chaired by Lord Rogers of Riverside, novembre 2005; estratti e traduzione per Eddyburg a cura di Fabrizio Bottini

Richard Rogers, Il Rinascimento Urbano dopo sei anni

Nel 1998 il Vicepresidente del Consiglio mi invitò a istituire la Urban Task Force per individuare le cause del declino urbano e costruire una prospettiva per le nostre città, fondata su principi di eccellenza nella progettazione, solidità sociale e responsabilità ambientale, entro un quadro adeguato di realizzazione, legale e fiscale. Molte delle nostre 105 raccomandazioni sono state adottate dal Governo, formando gran parte delle attuali e future politiche nazionali per le grandi e piccole città d’Inghilterra.

Nel primo Rapporto della Urban Task Force, si proponeva una visione: la prospettiva di città ben progettate, compatte e collegate, a sostenere un’ampia gamma di funzioni - spazi di vita, lavoro, godimento del tempo vicini tra loro – in un ambiente urbano sostenibile ben integrato coi trasporti pubblici e adattabile al mutamento. Dopo sei anni, con il terzo governo laburista consecutivo in carica, si riscontrano alcuni notevoli successi:

• per la prima volta in cinquant’anni c’è stata una verificabile trasformazione culturale a favore delle città e centri minori, a seguito dell’impegno nazionale per un Rinascimento Urbano.

• le persone hanno cominciato di nuovo a spostarsi verso i centri città: nel 1990 c’erano 90 che abitavano nel cuore di Manchester, oggi ci sono 25.000 residenti; nello stesso periodo la popolazione dell’area centrale di Liverpool è aumentata di quattro volte.

• aderendo al principio dell’approccio sequenziale, si è sostenuto il riuso delle aree già urbanizzate [brownfield] anziché edificare su spazi liberi [greenfield]. Oggi a livello nazionale c’è una media del 70% di realizzazioni su brownfield contro il 56% del 1997.

• le densità edilizie si sono incrementate, da una media di 25 alloggi ettaro nel 1997 ai 40 alloggi ettaro del 2005, con un uso migliore della nostra terra e delle nostre risorse.

• la Commission for Architecture and the Built Environment ora è un riconosciuto garante di qualità della progettazione; per rimediare alle carenze formative sono stati attivati la Academy for Sustainable Communities e centri regionali.

• la produttività delle amministrazioni locali è in fase ascendente. Il Comprehensive Performance Assessment della Audit Commission sulle autorità locali di tutto il paese ha espresso una maggioranza di valutazioni da “buona” a “eccellente”

• si sono verificati progressi nella riduzione degli impatti ambientali dei nuovi edifici, col nuovo e atteso codice dell’edilizia sostenibile.

• c’è stato un notevole incremento negli investimenti in trasporti e infrastrutture pubbliche, con una maggiore attenzione dedicata ai bisogni dei pedoni e alla mobilità sostenibile.

• gli investimenti privati sono stati orientati verso le città. Dal 1996, si sono riversati sulla sola regione urbana di Manchester 2 miliardi di sterline di investimenti del settore privato.

• sono stati destinati 39 miliardi di sterline per i prossimi cinque anni a realizzare il Sustainable Communities Plan in tutta l’Inghilterra.

• città e regioni hanno maggiori poteri di decidere il proprio destino.

Grazie a queste misure, e ad un periodo di stabilità e crescita economica costante, le città d’Inghilterra sono luoghi molto diversi dai centri post-industriali di disoccupazione e carenze di servizi pubblici di vent’anni fa. Le città inglesi si sono affermate come motori dell’economia del Regno Unito e centri per l’innovazione culturale. Si presentano con più fiducia sulla scena mondiale.

Questi progressi sono motivo di gioia, ma non significano che l’opera sia compiuta. Nuovi problemi emergono, e ne rimangono di vecchi, a richiedere un’attenzione rinnovata da parte del Governo:

• non aver tenuto il passo con la sfida del cambiamento climatico è minaccia di degrado ambientale.

• le famiglie del ceto medio si spostano da città e cittadine alla ricerca di scuole migliori, minor congestione e ambiente più sicuro. Nel 2001, solo il 28% degli abitanti dell’area centrale di Londra aveva 45 anni o più, contro il 40% complessivo del Regno Unito.

• rimangono enormi disuguaglianze nelle nostre città. La concorrenza per l’uso degli spazi spinge verso l’alto i prezzi delle case, rendendo molto più difficile l’accesso per le famiglie a basso reddito.

• l’offerta di edilizia sociale è troppo poca. Il Rapporto Barker stima la necessità di un ulteriore stanziamento di 1,2 miliardi di sterline l’anno per sostenere 17.000 case economiche aggiuntive.

• la crescita della domanda di case rappresenta una grande sfida. Come possiamo realizzare quartieri compatti, ben progettati e sostenibili facendo l’uso migliore degli spazi già urbanizzati, che siano ben serviti da trasporti pubblici, ospedali, scuole e altro, senza indebolire le aree urbane esistenti?

• spesso non si riesce a cogliere l’opportunità di realizzare città ambientalmente sostenibili a causa del non coordinamento fra finanziamenti e localizzazione dei trasporti, e pianificazione urbanistica generale.

• ci sono pochi progetti urbani ben concepiti che emergono come esempi internazionali di città sostenibile, nonostante l’investimento pubblico in nuova edilizia.

• la qualità progettuale non rappresenta un obiettivo centrale per le entità pubbliche responsabili dell’ambiente costruito. Spesso esse mancano di competenze in questo senso negli organismi tecnici superiori e decisionali.

• la confusione di finanziamenti e responsabilità delle Agenzie di Sviluppo Regionale – finanziate all’85% dalla Vicepresidenza del Consiglio ma che fanno riferimento al Ministero dell’Industria – le ha condotte a concentrarsi sullo sviluppo economico, i posti di lavoro e la crescita quantitativa anziché lo sviluppo urbano di alta qualità progettuale e sostenibile.

• l’informazione su temi progettuali a Ministri, Sindaci, leaders locali e uffici è ancora troppo scarsa.

• la pletora di entità sovrapposte, indifferentemente finanziate e controllate, finalizzate alla rigenerazione, ha ridotto l’efficacia dei piani di riuso di iniziativa pubblica. La rigenerazione sostenibile di zona empie e complesse (come ad esempio il Thames Gateway) soffre a causa di processi decisionali frammentati e di istituzioni che mancano di coerenti meccanismi attuativi locali.

• concentrati sul tema delle città sostenibili, abbiamo abbassato la guardia sulla rigenerazione urbana.

Per risolvere i problemi che abbiamo oggi di fronte e continuare a costruire sui successi ottenuti sinora, dobbiamo imparare dall’esperienza degli ultimi sei anni, riflettere con onestà su cosa ha funzionato e quali problemi restano, prendere ora decisioni che assicurino la realizzazione del rinascimento urbano in modi coerenti agli ambiziosi obiettivi della visione.

È questo il motivo per cui ha chiesto ai miei colleghi della Urban Task Force di collaborare alla stesura di un rapporto breve. Non si tratta di un aggiornamento complessivo di Towards an Urban Renaissance, relazione finale della Urban Task Force del 1999. Piuttosto, è una relazione indipendente basata sulle esperienze personali dei membri, maturate nella pratica, pensata per stimolare il dibattito pubblico e incoraggiare nuove idee.

Spero che questo lavoro ci aiuti a realizzare l’ampiamente condivisa visione di un duraturo Rinascimento Urbano per l’Inghilterra.

[...]

Capitolo 3 – Responsabilità ambientale

Introduzione

Il mutamento climatico è emerso come la più grande minaccia al futuro del nostro pianeta. Le emissioni di anidride carbonica, il maggior consumo energetico, l’inquinamento, la deforestazione, la contaminazione delle acque e la tutela della biodiversità sono sfide pressanti per i paesi sviluppati e per quelli in via di sviluppo. Se il Regno Unito vuole dimostrare un impegno nazionale verso la responsabilità ambientale, dobbiamo coordinare le nostre risposte a queste sfide tutelando l’ambiente naturale, limitando lo sprawl urbano, riducendo uso e spreco di energia.

L’equilibrio ambientale della nazione dipende dalle forme delle città e centri minori, dalla protezione delle preziose campagne. In un paese con superficie e risorse limitate, possiamo mantenere tale equilibrio soltanto se usiamo meglio gli elementi dell’urbanizzazione. Dove è necessario collocare la crescita all’esterno dei centri urbani, occorre farlo in modo da evitane impatti negativi sull’equilibrio sociale, fisico e ambientale dei centri esistenti.

Le persone riconoscono sempre più la necessità di vivere e lavorare in ambienti di buona qualità e sono più consapevoli dei danni di lungo termine determinati da insediamenti mal localizzati, divoratori di suolo e dipendenti dall’automobile. La pressione insediativa pone enormi pesi sull’ambiente – e continuerà a farlo – ma, se adeguatamente realizzati, i nuovi insediamenti possono costituire spazi attraenti, riusciti e sostenibili, ben localizzati, progettati, che favoriscano il trasporto pubblico, la mobilità pedonale e ciclabile. Possono offrire importanti occasioni di riciclaggio per spazi già urbanizzati, affrontare siti contaminati, migliorare le qualità ambientali e aumentare anziché diminuire la disponibilità di beni culturali e elementi naturali. In questo modo, un riuscito rinnovo urbano aiuterà ad affrontare alcune delle principali sfide ambientali del nostro tempo.

Progressi

Dal primo rapporto della Task Force di sei anni fa, il Governo ha fissato l’obiettivo di riduzione delle emissioni di anidride carbonica del 60% entro il 2050. Dato che gli edifici producono il 50% delle emissioni, e lo sprawl urbano e la congestione sono i principali vettori di consumo energetico, la rigenerazione urbana è elemento essenziale nelle politiche pensate per questo obiettivo. Dunque, rappresenta un segnale positivo il progresso compiuto per migliorare l’efficienza ambientale degli edifici nuovi e di quelli già esistenti; a partire dall’aprile del 2006 tutta l’edilizia residenziale finanziata pubblicamente dovrà rispettare un nuovo codice che la renda più sostenibile. Ed è una buona notizia, che siano stati fatti passi in avanti verso un migliore uso del suolo; la densità dei nuovi insediamenti residenziali è aumentata a 40 alloggi per ettaro e le quote di riuso di aree brownfield sono salite al 70%.

Ma, se il governo ha fatto auspicabili progressi nel riconoscere i costi ambientali dell’urbanizzazione in senso lato, si deve essere più consapevoli dei rischi che probabilmente creerà il cambiamento climatico, e dei bisogno di prevedere metodi flessibili per affrontarli. Questi rischi comprendono danni alle infrastrutture, oscillazioni nella disponibilità idrica, alluvioni da eventi estremi e contaminazioni di tutti i tipi, con relativi effetti sulle economie locali e regionali.

Si stanno intraprendendo azioni per rispondere alla domanda di nuove case e la polarizzazione delle risorse che si verifica quando solo chi eredita ricchezze può permettersi di acquistare un luogo per vivere. Ma si teme che non tutti gli insegnamenti del rinascimento urbano siano messi in pratica. L’ambiente è ancora marginale nel Sustainable Communities Plan e c’è crescente ansietà sui costi finali finanziari, sociali e politici del Piano. Le comunità locali hanno di fronte urbanizzazioni che appaiono imposte dal di fuori, con poca cura e attenzione ai loro punti di vista su cosa conti per l’ambiente. Si mancano le occasioni di far uso migliore dei terreni urbani, riducendo così le emissioni legate alla mobilità, non si rispettano i criteri ambientali nelle ristrutturazioni e nuova edilizia, e per questo occorrono controlli.

La Urban Task Force e lo Urban White Paper raccomandano ovunque possibile di dare priorità agli interventi su brownfield rispetto a quelli greenfield. L’adesione a questo principio ha molto migliorato la qualità di alcune nostre città ed è fondamentale per realizzarne di compatte, sostenibili, ben collegate, vitali e sicure. Ma, anche se il Governo deve fare di tutto per facilitare l’intervento su località urbane complesse, si verificano circostanze in cui la domanda di abitazioni e la necessità di una maggior possibilità di scelta possono essere soddisfatte in aree esterne anziché sui ristretti terreni già urbanizzati, che possono essere ad esempio poco collegati ai trasporti, vicini a strutture inadatte, o troppo contaminati per consentire un insediamento economicamente sostenibile. In questi casi, si deve incoraggiare l’insediamento residenziale entro corridoi di sviluppo orientati ai principi di quartieri compatti, ben progettati e ben collegati.

A nostro parere, le ultime modifiche alle linee guida di pianificazione non hanno posto sufficientemente in rilievo i fattori di mercato che determinano quantità e localizzazione delle nuove abitazioni. Nelle aree a cui sono destinate grandi quantità di case, ai costruttori è consentito di intervenire sia su aree greenfield che brownfield, indebolendo in modo perverso nelle zone di crescita più rapida l’approccio che favorisce in prima istanza le aree brownfield. È preoccupante, anche, che agli studi di capacità urbana vengano sostituiti studi sulla disponibilità di suoli per abitazioni. Se dovesse continuare un eccesso di interventi al di fuori delle città, c’è il rischio di un impatto negativo sui significativi progressi compiuti sinora in termini di rivitalizzazione delle inner cities.

Sfide

• è convinzione diffusa che per rispondere alla domanda di nuove abitazioni sia necessario uno sviluppo adeguatamente localizzato. Bisogna cogliere ogni occasione, nei casi in cui gli interventi avvengano in zone di crescita, per creare quartieri compatti, ben progettati, sostenibili, ben serviti da trasporti, ospedali, scuole e altre attrezzature, che non indeboliscano le città esistenti o i benefici generali del rinascimento urbano.

• le considerazioni di mercato rischiano di distorcere le decisioni di piano future nelle aree a crescita più rapida del paese, verso modalità che ostacolano le finalità sociali e ambientali, e si allontanano dall’approccio che favorisce in prima istanza gli interventi su brownfield.

• esiste spazio per migliorare e mettere in pratica meglio gli obiettivi di riuso delle zone brownfield e di incremento delle densità.

• non si stanno cogliendo le occasioni di migliorare qualità ambientale e caratteristiche dei nuovi interventi.

• non vengono riconosciuti del tutto i costi reali dell’urbanizzazione greenfield, in particolare quelli per realizzare le infrastrutture necessarie.

• la carenza di combustibili è esacerbata da una progettazione e realizzazione inadeguate delle abitazioni a basso costo.

• non si da’ sufficiente priorità all’importanza della rigenerazione degli spazi urbani e dell’edilizia esistenti, secondo i più alti standards ambientali.

I costruttori nelle città, gli attivisti della tutela rurale, gli ambientalisti e coloro che si impegnano per le comunità svantaggiate hanno un interesse condiviso nel vedere una risposta a queste sfide.

Visione

La nostra visione è per una sistema di piano che colga ogni occasione di utilizzare prima gli spazi brownfield dei greenfield; di un approccio di rigenerazione e riciclaggio alle città e all’edilizia esistente; di nuove elevate densità negli insediamenti per rispondere alla necessità di elevati standards di efficienza; di edifici e quartieri progettati in modo da ridurre consumo di risorse e inquinamento; di città servite da strutture ad alta qualità ambientale; di un processo di sviluppo che coinvolga le comunità e incoraggi un approccio sostenibile da parte del settore pubblico e privato.

Nota: il testo integrale di questo rapporto della Urban Task Force coordinata da Richard Rogers, comprende oltre a quanto riportato qui altri tre capitoli (linee di progettazione urbana; obiettivi sociali; strumenti di attuazione politico-fiscali) e le relative Raccomandazioni. È disponibile anche al sito del Guardian allegato a un breve articolo di presentazione di Sara Gaines pubblicato il 22 novembre 2005 (f.b.)

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