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Enrico Arosio
Così parlò Cipputi
24 Ottobre 2005
Satira e vignette
“Ritratto di un grande moralista del Novecento Trent'anni di profezie su vizi e virtù nazionali. La crisi dei partiti e quella della Fiat, l'irruzione della postmodernità”. Da l’Espresso 21 ottobre 2005

Anche te alla Usl, Cippa? "Sì, mi faccio un bel lifting ai coglioni". Per quanto metafisico, Cipputi è un operaio, e quando vuole parla rude. In questa vignetta databile intorno al 1990 c'è una sintesi fulminea di vecchio e nuovo. Cipputi, alla fine del Secolo Breve, è un fossile della storia, testimone di un ceto, la classe operaia, messa ai margini dal terziario avanzato e dalla globalizzazione. Al tempo stesso l'intellettuale che si nasconde in lui, infiltratovi dall'autor in fabula, Altan, è un anticipatore di tendenze, un sociologo istantaneo dell'evoluzione del costume italiano. E con quel suo lifting alle 'private parts', come direbbe T. S. Eliot, profetizza interventi di chirurgia estetica (dermato e tricologica) di ben altra rilevanza istituzionale.

Prossimo ai trent'anni (la prima sua comparsa su 'Linus' è del 1976) Cipputi si fa festeggiare con un libro che è una meraviglia: 'L'Italia di Cipputi', appunto, edito dai Super Miti Mondadori, a cura di Edmondo Berselli. Il quale Berselli ha un merito doppio: avere preservato ai lettori, nella logica del 'the best of' (o 'the essential'), il meglio della saga cipputiana, quasi Altan fosse Miles Davis, un fenomeno di culto della tarda modernità; e avere collocato criticamente il filosofo in tuta blu in un ciclo della storia politica italiana che inizia col mancato sorpasso del Pci sulla Dc e finisce con l'avventura di Berlusconi e la crisi della Costituzione repubblicana. È segno dell'acutezza del curatore aver posto a pagina 410, l'ultima, questa battuta. Collega indignata: "La Costituzione è uguale per tutti". Cipputi: "Andiamo giù pesante, eh?".

Ma è troppo facile lodare su 'L'espresso' un libro del disegnatore satirico de 'L'espresso' curato da un noto opinionista de 'L'espresso'. Quindi, in puro stile 'L'espresso', avvertiamo che Berselli in un punto, un punto politicamente rilevante, non convince. Quando dice che Altan è con tutta evidenza "uno della vecchia guardia", "un oltranzista, un massimalista". "Oppure, semplicemente, un comunista". Altan un comunista?

Qui si addensano nubi. Qui c'è da discutere. È corretto, nella logica dell'interpretazione, attribuire all'autore la posizione ideologica del personaggio? Umberto Eco, altro noto opinionista de 'L'espresso', argomenterebbe che no, è un illecito ermeneutico fare questa sovrapposizione, scomoderebbe Tzvetan Todorov, Roman Jakobson e i suoi studi sulla narratologia. E sospettiamo che Eugenio Scalfari, de 'L'espresso' non solo opinionista, ma cofondatore (qui da noi i giornalisti normali sono circondati) intravveda in Altan ascendenze, più che leniniste, azioniste e giacobine. L'autore di queste righe si limita a porre una domanda. Può mai essere comunista Francesco Tullio-Altan, il creatore del cane Pimpa e di Kamillo Kromo, un signore che vive appartato in una vecchia casa di Aquileia (Udine), ascolta in silenzio il trombettista jazz Enrico Rava, e non frequenta salotti, terrazze e giornalisti? No che non può. Quando mai si è visto un comunista italiano che non frequenti salotti, terrazze e giornalisti?

Bene, il dibattito è lanciato. Back to Cipputi, direbbe Cipputi. In lui leggiamo meravigliosamente la cosiddetta anomalia italiana, la sua distanza dal 'paese normale' (per citare un politico, D'Alema, che ama Altan non sempre riamato), la sua tumultuosa modernizzazione. Berselli stesso offre al lettore, attraverso acute introduzioni ai singoli capitoli che richiamano gli eventi politici e le emergenze sociali che ispirano i caustici dialoghi del metalmeccanico con gli occhiali, la doppia lettura che è poi la forza vera del personaggio: testimone del tramonto della classe operaia, ma anche dell'alba del postmoderno e del post-industriale. "Siamo i nouveaux ouvrié, è l'ultimo grido", azzarda il Cippa, orecchiando André Glucksmann. E un'altra: "L'operaio-massa va in soffitta, Cipputi", ammonisce il tecnico in camice bianco, sotto braccio le tabelle dell'ottimizzazione. "C'est la vie, quadro-massa. Auguri", risponde Cipputi. E ci ricordiamo di Toni Negri.

Cipputi attraversa l'Italia di oggi. C'è tutto, nelle sue battute. La questione morale da Berlinguer a Mani pulite, l'ascesa del craxismo, la parabola degli Agnelli, le ipocrisie della Dc, il teatrino minore dei Goria, dei Martelli e Bertinotti, l'egemonia linguistica della tv, il neoconsumismo. Cipputi, sì, negli anni Settanta dell'eurocomunismo era comunista (eppure nel libro la parola 'comunista' non compare quasi mai). Ma la sua posizione vera sta a pagina 369: "Non posso crederci, però soffro", confessa una tuta blu leggendo qualche turpitudine sul giornale. "È il dramma di noi vetero onesti", scolpisce Cipputi.

Vetero, sì. Ma vetero onesto. Questo a noi pare il punto chiave della metafora Cipputi. Da artista, infatti, più che con altri autori italiani di satira che disegnano sui giornali, Altan merita di essere confrontato, per rilevanza sociologica, intensità morale e qualità letteraria, con colleghi creatori di veri mondi poetici come l'americano Art Spiegelman o la franco-iraniana Marjane Satrapi. Autori che possiamo considerare, come Miles Davis, 'modern classics', classici moderni. Forse è il caso, nell'occasione di questo libro così bello, di andare oltre il politicismo.

Craxi e i socialisti compaiono più della Dc, nelle battute cipputiane, in ben 40 pagine delle 350 che coprono quella fase della vicenda italiana; Berlusconi, in proporzione, è ancora più presente (in otto disegni su 45 pagine del decennio post 1994, il 17,7 per cento). Dei politici italiani i due più citati sono quelli che hanno avuto più guai giudiziari. Quanto al resto, Cipputi coglie tutto sul nascere, il bello e il brutto: i calciatori che si vendono le partite, Tangentopoli, la moda, la filosofia, il cinema (dalla "tuta di Armani" al Mulino Bianco a "Nove legislature e mezzo" citando Adrian Lyne), Agnelli e i nipoti, pettegolezzi e ruberie, burinate e turbamenti.

Tuta blu: "Malgrado tutto il Paese regge, Cipputi". Risposta: "Ci ha la calda ansia di vivere, Filetti". Ebbene no: la saga di Cipputi non è una saga operaista, è un 'conte moral', un grande racconto morale. Berselli, acutamente, parla di "realismo pessimista". Qui ci spingiamo oltre. Altan è un moralista, un moralista della tarda modernità.

Egli è figlio dell'antropologo culturale Carlo Tullio-Altan, che nel suo libro 'La nostra Italia', del 1986, addebitava agli italiani "un rifiuto totale, addirittura rabbioso, di ogni impegno morale". Questo è l'imprinting. E allora, forse, Altan va collocato in una linea ideale di grandi autori moralisti, di grandi scettici. Il modello più alto potrebbe essere il Montaigne degli 'Essais'. Tra quelli più prossimi intravvediamo qualcosa di Piero Gobetti, di Ennio Flaiano, di Giorgio Bocca. Il Gobetti che deplorava l'Italia come "paese di cortigiani", prono ai demagoghi "nello stile più paesano e giocondo". Il Flaiano dolceamaro del 'Frasario essenziale'. Quando Cipputi definisce Spadolini "l'uomo per tutte le mezze stagioni" non è puro Flaiano? E quando Flaiano scrive "Oggi il cretino è specializzato" o "Molto rumore per tutto" non è puro Cipputi? Questo è il passo degli anti-italiani: che sono gli italiani feriti nel loro amore per l'Italia.

Operaio al laminatoio: "Rubano come dei pazzi, Cipputi". E lui: "Speriamo si facciano una overdose". Questa vignetta fu pubblicata venticinque anni fa. Sembra di oggi.

Sì, Cipputi è vetero. Vetero onesto. Un italiano di minoranza.

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