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Enrico Berlinguer
Il Cile, l'Italia e il compromesso storico. I tre articoli di Enrico Berlinguer (1973)
3 Aprile 2018
Enrico Berlinguer
La riflessione su un momento fondamentale della marcia verso il disastro effettuata dall'imperialismo neoliberista e la proposta del leader comunista che avrebbe potuto, se raccolta, evitare che l'umanità scivolasse nel baratro



Premessa del 31 marzo 2018
È con amaro stupore che, cercando in internet tre fondamentaliarticoli di Enrico Berlinguer, non siamo stati capaci di trovarli in nessunadelle raccolte di testi storicamente e politicamente rilevanti comparsi nelsecolo scorso. Si tratta del saggio, articolato in tre parti, nel quale EnricoBerlinguer, segretario nazionale del Partito comunista italiano, commentava igravi avvenimenti del Cile e proponeva un’alternativa storica e politica all’avanzatadel capitalismo nella sua fase più aggressiva. L’assassinio del leadersocialista e capo del governo cileno Salvador Allende venne organizzato alculmine di una feroce guerra civile programmata, organizzata, dagli Usa diRichard Nixon ed Henry Kissinger ed eseguita dal loro sicario cileno generale AugustoPinochet, aveva provocato una profonda riflessione, a conclusione della qualeil leader del Pci aveva argomentatamene avanzato la sua proposta di un nuovo“compromesso storico”.
Quando adoperava questa espressione Enrico Berlinguer nonsi riferiva certamente a un accordo politico tra la sinistra e la Dc, come la sciatta pubblicistica dei nostri giorni lascia credere. I suoi riferimenti storici più vicini erano l’accordo sostanziale (il “compromesso”) tra classe operaia eborghesia per sconfiggere l’alleanza tra Vaticano e latifondisti delMezzogiorno e realizzare l’unità d’Italia nel XIX secolo, e quello tra borghesia e popolo che aveva sconfitto l'assolutismo dell'aristocrazia feudale nella Francia del XVIII secolo.
Ripubblichiamo oggi (marzo 2018) sullanuova edizione di eddyburgqueste pagine smarrite, per consentire a chi frequenta la rete digitale diritrovarle, e di divenir consapevole di due fatti storicamente rilevanti: il fortunato e micidiale colpo di stato del neoliberismo in Cile e la meno fortunata riflessione di Enrico Berlinguer (e.s.)
Premessa del 27 marzo 2004
Il 28 settembre 1973, all’indomani del feroce colpo distato col quale il generale Pinochet abbatté il legittimo governo democraticodi Salvador Allende, Rinascita (larivista settimanale del Pci) iniziò la pubblicazione di un saggio di EnricoBerlinguer, che proseguì nei successivi numeri del 5 e del 12 ottobre. Lariflessione aperta da quel saggio provocò modifiche profonde nell’assetto dellapolitica italiana. Nel tempo, la comprensione dei suoi contenuti si annebbiò.Abbastanza rapidamente, bisogna dire, anche a causa dell’applicazione meramentetatticistica e di breve respiro che parte consistente del gruppo dirigente delPci diede della ricca intuizione di Berlinguer e della strategia d’ampiorespiro con cui la sua analisi si concludeva. «Il nuovo grande “compromessostorico” tra le forze che raccolgono e rappresentano la grande maggioranza delpopolo italiano», che nella visione del leader comunista postulava una profondarigenerazione delle forze politiche esistenti, venne spesso ridotto a miopiaccordi di potere con i partiti così com’erano.
L’11 settembre 2003 l’Unità ha riproposto integralmente le tre parti del saggiodi Enrico Berlinguer. Rileggerlo aiuta anche a comprendere come la politica nonsia necessariamente quella cosa cui Berlusconi e i suoi simili e successori l’hannooggi ridotta.
La tragedia cilena e il golpeche rovesciò Allende aprirono un serrato dibattito in Italia. Un paese chestava guardando con molta attenzione a quel che avveniva nella nazionelatinoamericana. L’Italia - conclusasi di fatto l'esperienza del primocentrosinsitra - aveva attraversato un momento molto difficile, con la svolta adestra del governo Andreotti che aveva escluso i socialisti e imbarcato iliberali. Il movimento operaio, dopo l'autunno caldo, era attraversato da undurissimo confronto di posizioni. Molte di queste posizioni partivano proprioda una «lettura» dell’esperienza cilena per riproporre, anche nel nostro paese,il governo di unità delle sinistre. Forti erano anche i riferimenti alleposizioni del Mir, la sinistra radicale cilena che pur sostenendo Allende, loincalzava. In questa situazione, all’indomani del golpe, il segretario del Pci,Enrico Berlinguer – con una procedura piuttosto insolita – pubblicò sullarivista teorica del partito, «Rinascita», tre saggi, che ripubblichiamo.Rifletteva sulla difficoltà di un processo riformatore in un mondo bipolare,affermava il principio che «non basta il 51 per cento» dei consensi pergovernare. Era l’avvio della strategia del compromesso storico, che avrebbesegnato l’atteggiamento del più forte partito comunista europeo per tutti glianni ’80. (e.s.)
28.09.1973
IMPERIALISMO E COESISTENZA
ALLA LUCE DEI FATTI CILENI
di Enrico Berlinguer


Gli avvenimenti cileni sono statie sono vissuti come un dramma da milioni di uomini sparsi in tutti icontinenti. Si è avvertito e si avverte che si tratta di un fatto di portatamondiale, che non solo suscita sentimenti di esecrazione verso i responsabilidel golpe reazionario e dei massacri di massa, e di solidarietà per chi ne èvittima e vi resiste, ma che propone interrogativi i quali appassionano icombattenti della democrazia in ogni paese e muovono alla riflessione. Non giova nascondersi che il colpogravissimo inferto alla democrazia cilena, alle conquiste sociali e alleprospettive di avanzata dei lavoratori di quel paese è anche un colpo che siripercuote sul movimento di liberazione e di emancipazione dei popoli latino-americanie sull’intero movimento operaio e democratico mondiale; e come tale è sentitoanche in Italia dai comunisti, dai socialisti, dalle masse lavoratrici, datutti i democratici e antifascisti.

Ma come sempre è avvenuto difronte ad altri eventi di tale drammaticità e gravità, i combattenti per lacausa della libertà e del socialismo non reagiscono con lo scoramento o solocon la deprecazione e la collera, ma cercano di trarre un ammaestramento. Inquesto caso l’ammaestramento tocca direttamente masse sterminate dellapopolazione mondiale, chiamando vasti strati sociali, non ancora conquistatialla nostra visione dello scontro sociale e politico che è in atto nel mondo dioggi, a scorgere e intendere alcuni dati fondamentali della realtà. Ciò costituisceuna delle premesse indispensabili per un’ampia e vigorosa partecipazione allalotta volta a cambiare tali dati.

Anzitutto, gli eventi cileniestendono la consapevolezza, contro ogni illusione, che i caratteridell’imperialismo, e di quello nord-americano in particolare, restano lasopraffazione e la jugulazione economica e politica, lo spirito di aggressionee di conquista, la tendenza a opprimere i popoli e a privarli della loroindipendenza, libertà e unità ogni qualvolta le circostanze concrete e i rapportidi forza lo consentano. In secondo luogo, gli avvenimenti in Cile mettono in piena evidenza chi sono edove stanno nei paesi del cosiddetto «mondo libero», i nemici della democrazia. L’opinione pubblica di questi paesi, bombardata da anni e da decenni da unapropaganda che addita nel movimento operaio, nei socialisti e nei comunisti inemici della democrazia, ha oggi davanti a sé una nuova lampante prova che leclassi dominanti borghesi e i partiti che le rappresentano o se ne lascianoasservire, sono pronti a distruggere ogni libertà e a calpestare ogni dirittocivile e ogni principio umano quando sono colpiti o minacciati i propriprivilegi e il proprio potere.

Compito dei comunisti e di tutti icombattenti per la causa del progresso democratico e della liberazione deipopoli è di far leva sulla più diffusa consapevolezza di queste verità perrichiamare la vigile attenzione di tutti sui percoli che l'imperialismo e leclassi dominanti borghesi fanno correre alla libertà dei popoli eall’indipendenza delle nazioni, e per sviluppare in masse sempre più estesel’impegno democratico e rivoluzionario per modificare ulteriormente, nel mondoe in ogni paese, i rapporti di forza a vantaggio delle classi lavoratrici, deimovimenti di liberazione nazionale e di tutto lo schieramento democratico eantimperialistico. Gli avvenimenti del Cile possono e devono suscitare, insiemea un possente e duraturo movimento di solidarietà con quel popolo, un piùgenerale risveglio delle coscienze democratiche, e soprattutto un’azione perl’entrata in campo di nuove forze disposte a lottare concretamente control’imperialismo e contro la reazione.

A questo fine è indispensabileassolvere anche al compito di una attenta riflessione per trarre dalla tragediapolitica del Cile utili insegnamenti relativi a un più ampio e approfonditogiudizio sia sul quadro internazionale, sia sulla strategia e tattica delmovimento operaio e democratico in vari paesi, tra i quali il nostro.

Il peso decisivo dell’interventoUsa
Nessuna persona seria puòcontestare che sugli avvenimenti cileni ha pesato in modo decisivo la presenzae l’intervento dell’imperialismo nord-americano. La coscienza popolare l’ha avvertitoimmediatamente. Al di là di pur illuminanti episodi della cronaca politica ediplomatica relativa ai giorni del golpe e a quelli immediatamente precedenti,sta il fatto che, fin dall’avvento del governo di Unità popolare i gruppimonopolistici nord-americani presenti con posizioni dominanti nell’economiacilena (rame, Itt) e i circoli dirigenti dell’amministrazione degli Usa hannointrapreso una sistematica azione su tutti i terreni - dalla guerra economicaalla sovversione - per provocare il fallimento del governo Allende e perrovesciarlo.

Del resto, questo e altri modi diintervento degli Usa ai danni dei popoli e delle nazioni che aspiranoall’indipendenza non sono certo un’eccezione, ma, specialmente nell’AmericaLatina, la regola. Chi non ha presenti i brutali interventi in Guatemala, nellaRepubblica dominicana e in tanti altri Stati? E chi non sa che Cuba socialista,con la sua fermezza e con la sua unità, e grazie anche alla solidarietà e alsostegno dell’Unione Sovietica e degli altri paesi socialisti, ha dovutorespingere per anni manovre, provocazioni, boicottaggio economico, attacchidiretti al suo territorio e deve essere sempre vigilante per salvaguardareancor oggi la propria indipendenza?
Anche in altre zone del mondo, sitratti delle aree sottosviluppate dell’Asia e dell’Africa o si tratti deglistessi paesi di capitalismo avanzato (dal Giappone all’Europa occidentale) noncessano di manifestarsi la penetrazione dell’imperialismo americano e la suainiziativa, in tutte le forme possibili, per mantenere o estendere le sueposizioni economiche, politiche e strategiche.
Una situazione in movimento e di scontro
Che cosa può contrastare, limitaree far arretrare questa tendenza dell’imperialismo? La risposta più semplice èanche quella più vera: la modificazione progressiva dei rapporti di forza a suosvantaggio e a favore dei popoli che aspirano alla propria liberazione e ditutti i paesi che lottano per un nuovo assetto del mondo e per un nuovo sistemadi rapporti tra gli Stati. È proprio in questa direzione che va il processostorico mondiale da quasi sessanta anni, da quando la rivoluzione russa del1917 ha spezzato per la prima volta la dominazione esclusiva dell’imperialismoe del capitalismo. Da allora, e soprattutto dopo la vittoria sul nazismo, dopola vittoria della rivoluzione cinese e con il crollo del vecchio sistemacoloniale inglese e francese, l’area sottoposta al controllo dell’imperialismosi è andata restringendo. Sconfitta la politica folle e avventurosa chepretendeva poi rovesciare i regimi socialisti sorti dopo la seconda guerramondiale in Europa e in Asia (la politica del roll-back) le potenzecapitalistiche e gli stessi Usa sono ormai costretti a riconoscere che i regimisocialisti, ovunque esistenti, non possono essere toccati e che con essibisogna fare i conti e trattare.

Altri Stati, sorti dallo sfacelodel sistema coloniale, hanno potuto costruire e difendono con sempre maggiorevigore la propria indipendenza; e alcuni di tali Stati manifestano la tendenzaa orientare l’edificazione dei loro ordinamenti economici e sociali indirezione del socialismo. In questo quadro ha avuto e ha enorme portata lavittoria dell’eroico popolo del Vietnam, sostenuto dai paesi socialisti e da unpossente movimento internazionale di solidarietà, contro l’aggressioneamericana. Tale vittoria ha inflitto un nuovo duro colpo alle preteseimperialistiche, e rappresenta un nuovo determinante contributo al mutamentodei rapporti di forza nel mondo e al progredire di una politica di distensionee di pacifici negoziati nei rapporti fra gli Stati. Ma inoltre gli Usa sono oggicostretti a fare i conti con una crescente volontà di autonomia che si vienemanifestando, soprattutto negli ultimi anni, nei paesi dell’Occidenteeuropeo.

Infine, per grave che sia il colpoche viene dal rovesciamento del governo di Unità popolare in Cile, il moto diriscossa e di liberazione, che resta una realtà non cancellabile nei paesidell’America latina, non cesserà certo di esprimersi nelle forme più diverse edi trovare la strada per opporsi con successi anche parziali al dominionord-americano e alle cricche locali ad esso asservite. Non sta a dire proprioquesto il fatto che il colpo di Stato militare incontra nel popolo cileno esolleva in altri paesi latino-americani e ovunque una resistenza, una condannae una risposta quali non si erano verificate in occasione di altri colpi diStato reazionari?

Il riconoscimento della tendenzadi fondo che si va affermando nel processo storico mondiale - e che dà luogo, inultima analisi, a una progressiva riduzione dell’area del dominio delle forzeimperialistiche - non ci impedisce certo di constatare (e proprio dal Cile civiene in questi giorni un nuovo severo monito) che l’imperialismointernazionale e le forze reazionarie in molti paesi sono in grado di contenerela lotta emancipatrice dei popoli e in certi casi di infliggere duri scacchialle forze animatrici di tale lotta. Solo tenendo presente questo dato difatto, e cogliendo in ogni regione del mondo, in ogni paese e in ogni momentole forme concrete in cui si esprime o si può prevedere che si esprima, èpossibile evitare di essere colti di sorpresa, di cadere in errori e mettersiinvece in grado di organizzare e condurre un’azione rivoluzionaria edemocratica pronta e adeguata.
I due piani della lotta per la pace
Qualcuno si è domandato come siapossibile che interventi così brutali come quello effettuato in Cile dalleforze dell’imperialismo e della reazione continuino a verificarsi in una fasedella vita internazionale nella quale si vanno compiendo passi sempre piùspediti sulla via della distensione e della coesistenza pacifica nei rapportitra Stati con diverso regime sociale. Ma chi ha mai sostenuto che ladistensione internazionale e la coesistenza significano l’avvento di un’era ditranquillità, la fine della lotta delle classi sul piano interno einternazionale, delle controrivoluzioni e delle rivoluzioni?
La politica della distensione,nella prospettiva della pacifica coesistenza, è prima di tutto la via obbligataper garantire un obiettivo primario, di interesse vitale per tutta l’umanità eper ciascun popolo: evitare la catastrofe della guerra atomica e termonucleare,assicurare la pace mondiale, affermare il principio del negoziato come unicomezzo per risolvere le controversie tra gli Stati. Inoltre, la distensione e lacoesistenza, in quanto implicano la riduzione progressiva di tutti gliarmamenti e forme molteplici e crescenti di cooperazione economica, scientificae culturale, sia sul piano bilaterale che su quello multilaterale, sono unadelle vie per affrontare con sforzi congiunti i grandi problemi del mondocontemporaneo, quali quelli del sollevamento delle aree depresse,dell’inquinamento, della lotta contro l’indigenza e le malattie sociali,ecc.

La distensione e la coesistenzanon comportano di per sé, automaticamente e in un periodo breve, il superamentodella divisione del mondo in blocchi e zone di influenza, e quindi nonprecludono agli Usa la possibilità di interferire nei più vari modi, compresiquelli più sfacciati, nelle zone e nei paesi che essi vorrebbero acquisiti persempre dentro la sfera del loro dominio diretto o indiretto.
La divisione del mondo in blocchied aree diverse è un fatto che preesiste alla politica della distensione edella coesistenza in quanto è il risultato di tutto lo svolgimento del processostorico mondiale, dalla Rivoluzione d’Ottobre alla seconda guerra mondiale finoagli eventi, di diverso segno, di questi ultimi decenni che hanno determinatol’attuale dislocamento degli equilibri internazionali e interni. Né vadimenticato il peso negativo che esercitano sulla vita internazionale quelledivisioni fra i paesi socialisti che hanno il loro punto di massima serietà neicontrasti tra la Cina popolare e l’Unione Sovietica.

L’ulteriore mutamento dei presentiequilibri a favore delle forze del progresso dipende, in primo luogo, dallacapacità di lotta e di iniziativa del proletariato, dei lavoratori, delle massepopolari e delle loro organizzazioni in ogni singolo paese. Ma è anche evidenteche il progredire della distensione e della coesistenza costituisce unacondizione indispensabile per favorire il superamento della divisione del mondoin blocchi o zone d’influenza, per facilitare l’affermazione del diritto diogni nazione alla propria indipendenza e quindi, in ultima analisi, per ridurrele possibilità dell’interferenza imperialistica nella vita di altri paesi. Inpari tempo camminare decisamente sulla strada della distensione e dellacoesistenza significa sollecitare i processi di sviluppo della democrazia e dellalibertà in tutti i paesi del mondo, quale che sia il loro regime sociale.

Questa è la concezione che abbiamonoi della distinzione e coesistenza: una concezione dinamica e aperta, che simisura e si confronta con un’altra concezione, propria dell’imperialismo, ilquale, anche quando è costretto al negoziato con i paesi socialisti, pretendedi fissare il quadro mondiale allo status quo dei rapporti diforza in atto nel mondo e nei vari paesi. Da tutto ciò si conferma lanecessità di continuare a lottare tenacemente, sul piano internazionale, perfar avanzare il processo della distensione e della coesistenza e persvilupparne tutte le potenzialità positive e, al tempo stesso, di proseguire inogni paese le battaglie per l'indipendenza nazionale e per la trasformazione insenso democratico e socialista dell’assetto economico e sociale e degliordinamenti politici e statali.
Il nostro partito ha sempre tenutoconto del rapporto imprescindibile tra questi due piani. Da una parte, come ciha abituato a fare Togliatti, abbiamo cercato di valutare freddamente lecondizioni complessive dei rapporti mondiali e il contesto internazionale incui è collocata l’Italia. Dall’altra parte ci siamo sforzati di individuareesattamente lo stato dei rapporti di forza all’interno del nostro paese.
In particolare abbiamo sempre datoil dovuto peso in tutta la nostra condotta al dato fondamentale costituitodall’appartenenza dell’Italia al blocco politico-militare dominato dagli Usa eagli inevitabili condizionamenti che ne conseguono. Ma la consapevolezza diquesto dato oggettivo non ci ha certo portato all’inerzia e alla paralisi.Abbiamo reagito e reagiamo con la nostra iniziativa e con la nostra lotta.Tutti i tentativi di schiacciarci o di isolarci li abbiamo respinti. La nostraforza e la nostra influenza fra le masse popolari e nella vita nazionale sonoanzi cresciuti. Su questa strada si può e si deve andare avanti. Dunque,anzitutto, si tratta di modificare gli interni rapporti di forza in misura taleda scoraggiare e rendere vano ogni tentativo dei gruppi reazionari interni einternazionali di sovvertire il quadro democratico e costituzionale, di colpirele conquiste raggiunte dal nostro popolo, di spezzarne l’unità e di arrestarela sua avanzata verso la trasformazione della società.
In pari tempo, la nostra lotta ela nostra iniziativa vanno sviluppate anche sul terreno dei rapportiinternazionali, sia dando un nostro contributo a tutte le battaglie che inEuropa e in ogni parte del mondo possono condurre a indebolire le forzedell’imperialismo, della reazione e del fascismo, sia sollecitando una politicaestera italiana che affermi, insieme alla volontà del nostro paese di vivere inpace e in amicizia con tutti gli altri paesi, il diritto del popolo italiano dicostruirsi in piena libertà il proprio avvenire.

Decisi passi avanti possonocompiersi oggi in questa direzione perché le esigenze e le proposte che noiavanziamo si collocano in un quadro europeo caratterizzato da sensibiliprogressi della distensione e perché esse si incontrano con analogheaspirazioni e iniziative che si manifestano in altri paesi dell’Europaoccidentale. Da ciò abbiamo ricavato una linea che s’incentra nella proposta dilavorare per un assetto di pace nel Mediterraneo e per un’Europa occidentaleautonoma, pacifica, democratica. Lavorare per questo obiettivo non vuol direporre una tale Europa, e in essa l’Italia, in una posizione di ostilità o versol’Unione Sovietica e gli altri paesi socialisti o verso gli Stati Uniti. Chiciò volesse si proporrebbe qualcosa di assurdo, di velleitario e, in ultimaanalisi, di antitetico alla logica di una politica di distensione e di sviluppodemocratico per il nostro paese e per tutti gli altri paesi dell’Europa. Lalotta conseguente per questa linea di politica internazionale è partefondamentale della prospettiva che chiamiamo via italiana al socialismo.
Prime considerazioni sull’Italia
Gli avvenimenti cileni cisollecitano a una riflessione attenta che non riguarda solo il quadrointernazionale e i problemi della politica estera, ma anche quelli relativialla lotta e alla prospettiva della trasformazione democratica e socialista delnostro paese. Non devono sfuggire ai comunisti e ai democratici le profonde differenze tra lasituazione del Cile e quella italiana. Il Cile e l’Italia sono situati in dueregioni del mondo assai diverse, quali l’America latina e l’Europa occidentale.

Differenti sono anche il rispettivo assetto sociale, la struttura economica eil grado di sviluppo delle forze produttive, così come sono diversi il sistemaistituzionale (Repubblica presidenziale in Cile, Repubblica parlamentare inItalia) e gli ordinamenti statali. Altre differenze esistono nelle tradizioni enegli orientamenti delle forze politiche, nel loro peso rispettivo e nei lororapporti. Ma insieme alle differenze vi sono anche delle analogie, e inparticolare quella che i comunisti e i socialisti cileni si erano propostianch’essi di perseguire una via democratica al socialismo. Dal complesso delle differenze edelle analogie occorre dunque trarre motivo per approfondire e precisare meglioin che cosa consiste e come può avanzare la via italiana al socialismo.


05.10.1973
VIA DEMOCRATICA
E VIOLENZA REAZIONARIA
di Enrico Berlinguer


È necessario ricordare sempre leragioni di fondo che ci hanno portato a elaborare e a seguire quella strategiapolitica che Togliatti chiamò di «avanzata dell’Italia verso il socialismonella democrazia e nella pace». È noto che le origini di questa elaborazionestanno nel pensiero e nell’azione di Antonio Gramsci e del gruppo dirigente chesi raccolse attorno a lui e lavorò nel solco del suo insegnamento. Il Congressodi Lione del 1926 sancì la vittoria della lotta contro l’estremismo e ilsettarismo che avevano caratterizzato l’azione del partito nel primissimoperiodo della sua esistenza e che Lenin aveva aspramente criticato e invitatoenergicamente a superare. Il Congresso di Lione segnò l’avvio di quella analisicomunista della storia e delle strutture della società italiana che fu poi sviluppatae approfondita da Gramsci negli scritti dal carcere e negli orientamenti enell’attività del gruppo dirigente, guidato da Togliatti, che fu alla testa delpartito durante gli anni del fascismo e che lo rese capace di svolgere azionepolitica.
Ma il momento decisivo, per lavita del partito e per la vita del paese, dell’affermarsi e del pienodispiegarsi della scelta storica e politica che informa tutta la nostra azione,fu costituito dalla linea unitaria che indicammo e seguimmo nella guerra di liberazioneantifascista e dalla svolta di Salerno.
Dopo la liberazione, riconquistatele libertà democratiche, l’Italia si trovò nelle condizioni di paese occupatodagli eserciti delle potenze capitalistiche (Stati Uniti, Gran Bretagna).Questo dato di fatto non poteva davvero essere sottovalutato, così comesuccessivamente e ancor oggi non può essere sottovalutato il dato - che abbiamogià ricordato - costituito dalla collocazione dell’Italia in un determinatoblocco politico-militare. Dove, come nella Grecia del 1945, questa condizioneinternazionale non fu considerata in tutte le sue implicazioni, il movimentooperaio e comunista andò incontro alla avventura, subì una tragica sconfitta evenne ricacciato indietro, in quella situazione di clandestinità dalla qualeera appena uscito.

Ma non fu questo il solo fattoreche determinò le nostre scelte di strategia e di tattica. Il senso più profondodella svolta stava nella necessità e nella volontà del partito comunista difare i conti con tutta la storia italiana, e quindi anche con tutte le forzestoriche (d’ispirazione socialista, cattolica e di altre ispirazionidemocratiche) che erano presenti sulla scena del paese e che si battevanoinsieme a noi per la democrazia, per l’indipendenza del paese e per la suaunità. La novità stava nel fatto che nel corso della guerra di liberazione siera creata una unità che comprendeva tutte queste forze. Si trattava di unaunità che si estendeva dal proletario, dai contadini, da vasti strati dellapiccola borghesia fino a gruppi della media borghesia progressiva, a gran partedel movimento cattolico di massa e anche a formazioni e quadri delle forzearmate.

«Noi eravamo stati in prima filatra i promotori, organizzatori e dirigenti di questa unità, che possedeva unsuo programma di rinnovamento di tutta la vita del paese, un programma che nonvenne formulato in tavole scritte se non parzialmente, ma era orientato versola instaurazione di un regime di democrazia politica avanzata, riforme profondedi tutto l’ordinamento economico e sociale e l’avvento alla direzione dellasocietà di un nuovo blocco di forze progressive. La nostra politica consistettenel lottare in modo aperto e coerente per questa soluzione, la quale comportavauno sviluppo democratico e un rinnovamento sociale orientati nella direzionedel socialismo. Non è, dunque, che noi dovessimo fare una scelta tra la via diuna insurrezione legata alla prospettiva di una sconfitta, e una via dievoluzione tranquilla, priva di asprezze e di rischi. La via aperta davanti anoi era una sola, dettata dalle circostanze oggettive, dalle vittorie riportatecombattendo e dalla unità e dai programmi sorti nella lotta. Si trattava diguidare e spingere avanti, sforzandosi di superare e spezzare tutti gliostacoli e le resistenze, un movimento reale di massa, che usciva vittoriosodalle prove di una guerra civile. Questo era il compito più rivoluzionario cheallora si ponesse, e per adempierlo, concentrammo le forze». Così Togliatti si esprimeva in quella magistrale sintesi della nostra politicacon la quale aprì il rapporto presentato al X Congresso del partito.

Sappiamo bene che la politica dirottura dell’unità delle forze popolari e antifasciste perseguita dai gruppiconservatori e reazionari interni e internazionali e dalla Democrazia cristiana- una politica che il paese ha pagato duramente - ha interrotto il processo dirinnovamento avviato dalla Resistenza. Essa non è però riuscita a chiuderlo. Unesteso e robusto tessuto unitario ha resistito nel paese e nelle coscienze atutti i tentativi di lacerazione; e questo tessuto, negli ultimi anni, haripreso a svilupparsi, sul piano sociale e su quello politico, in forme nuove,certo, ma che hanno per protagoniste le stesse forze storiche che si eranounite nella Resistenza.

Il compito nostro essenziale - edè un compito che può essere assolto - è dunque quello di estendere il tessutounitario, di raccogliere attorno a un programma di lotta per il risanamento erinnovamento democratico dell’intera società e dello Stato la grandemaggioranza del popolo, e di far corrispondere a questo programma e a questamaggioranza uno schieramento di forze politiche capace di realizzarlo. Soloquesta linea e nessun’altra può isolare e sconfiggere i gruppi conservatori ereazionari, può dare alla democrazia solidità e forza invincibile, può faravanzare la trasformazione della società. In pari tempo, solo percorrendoquesta strada si possono creare fin d’ora le condizioni per costruire unasocietà e uno Stato socialista che garantiscano il pieno esercizio e losviluppo di tutte le libertà.

Abbiamo sempre saputo e sappiamoche l’avanzata delle classi lavoratrici e della democrazia sarà contrastata contutti i mezzi possibili dai gruppi sociali dominanti e dai loro apparati dipotere. E sappiamo, come mostra ancora una volta la tragica esperienza cilena,che questa reazione antidemocratica tende a farsi più violenta e feroce quandole forze popolari cominciano a conquistare le leve fondamentali del poterenello Stato e nella società. Ma quale conclusione dobbiamo trarre da questaconsapevolezza? Forse quella, proposta da certi sciagurati, di abbandonare ilterreno democratico e unitario per scegliere un’altra strategia fatta difumisteria, ma della quale è comunque chiarissimo l’esito rapido e inevitabiledi un isolamento dell’avanguardia e della sua sconfitta? Noi pensiamo, alcontrario, che, se i gruppi sociali dominanti puntano a rompere il quadrodemocratico, a spaccare in due il paese e a scatenare la violenza reazionaria,questo deve spingerci ancora più a tenere saldamente nelle nostre mani la causadella difesa delle libertà e del progresso democratico, a evitare la divisioneverticale del paese e a impegnarci con ancora maggiore decisione, intelligenzae pazienza a isolare i gruppi reazionari e a ricercare ogni possibile intesa econvergenza fra tutte le forze popolari.

È vero che neppure l’attuazionecoerente di questa linea da parte dell’avanguardia rivoluzionaria escludel’attacco reazionario aperto. Ma chi può contestare che essa lo rende piùdifficile e crea comunque le condizioni più favorevoli per respingerlo estroncarlo sul nascere?
L’eventualità del ricorso allaviolenza reazionaria «non deve dunque portare - come ha affermato il compagnoLongo - ad avere una dualità di prospettive e di preparazione pratica». A chisi chiede, anche alla luce dell’esperienza cilena, come si raccolgono e siaccumulano le forze in grado di sconfiggere gli attacchi reazionari, noicontinuiamo a rispondere con le parole del compagno Longo: «Spingendo a fondol’organizzazione, la mobilitazione e la combattività del popolo, consolidandoed estendendo ogni giorno le alleanze di combattimento della classe operaia conle masse popolari, realizzando in questo modo, nella lotta, la sua funzione diclasse dirigente». L’essenziale è dunque «il grado raggiunto da questamobilitazione e da questa combattività» nella classe operaia e nellamaggioranza del popolo.

Proprio la fermezza e la coerenzanell’attuazione di questi princìpi e di questi metodi di lotta politica hannoconsentito di abbattere la tirannide fascista, di ristabilire un regimedemocratico e di far fallire i tentativi compiuti dalle forze conservatrici ereazionarie - da Scelba fino ad Andreotti - di colpire le libere istituzioni ocomunque di ricacciare indietro il movimento operaio e popolare. Così èavvenuto, a partire dal 1947-’48, nella lotta contro la politica didiscriminazione, le persecuzioni e gli attentati liberticidi dei governicentristi. Così è avvenuto nel 1953 quando fu battuto il tentativo didistorcere in senso antidemocratico, con la legge-truffa, il meccanismoelettorale e la rappresentatività del Parlamento. Così è avvenuto nel 1960,quando fu stroncata sul nascere l’avventura autoritaria iniziata dal governoTambroni. Così è avvenuto nel 1964, quando furono sventate le manovreantidemocratiche e i propositi di colpi reazionari che videro anche iltentativo di coinvolgere e di utilizzare contro la Repubblica una parte delleforze armate e dei corpi di pubblica sicurezza. Così è avvenuto dal 1969, nellalotta contro la catena di atti di provocazione e di sedizione reazionaria efascista, ispirati e sostenuti anche da circoli imperialistici e fascisti dialtri paesi, con i quali si cercò di alimentare un clima di esasperata tensionee di determinare una situazione di marasma politico ed economico per aprire lavia a soluzioni autoritarie, anticostituzionali o comunque a una duraturasvolta verso destra.
In tutti questi casi noi abbiamosempre risposto facendo nostra la bandiera della difesa della libertà e delmetodo della democrazia, chiamando a lotte che sono state anche assai aspre, legrandi masse lavoratrici e popolari, e promuovendo la più ampia intesa econvergenza tra tutte le forze interessate alla salvaguardia dei princìpi dellaCostituzione antifascista. Queste esperienze vissute dallaclasse operaia, dal popolo italiano e dal nostro partito, confermano ilcarattere un po’ astratto di quelle tesi che tendono a ridurre schematicamenteal dilemma tra via pacifica e via non pacifica la scelta della strategia dilotta per l’avanzata verso il socialismo. Le vicende sociali e politiche che sisvolgono da tanti anni in Italia sono state pacifiche nel senso che non hannoportato alla guerra civile. Ma tali vicende non sono state certo tranquille eincruente: esse sono state segnate da lotte durissime, da crisi e scontriacuti, da rotture o rischi di rotture più o meno profonde. Scegliere una viademocratica non vuol dire, dunque, cullarsi nell’illusione di un’evoluzionepiana e senza scosse della società dal capitalismo al socialismo.

Sbagliato ci è sembrato sempreanche definire la via democratica semplicemente come una via parlamentare. Noinon siamo affetti da cretinismo parlamentare, mentre qualcuno è affetto dacretinismo antiparlamentare. Noi consideriamo il Parlamento un istitutoessenziale della vita politica e non soltanto oggi ma anche nella fase delpassaggio al socialismo e nel corso della sua costruzione. Ciò tanto più è veroin quanto la rinascita e il rinnovamento dell’istituto parlamentare è, inItalia, una conquista dovuta in primo luogo alla lotta della classe operaia edelle masse lavoratrici. Il Parlamento non può dunque essere concepito eadoperato come avveniva all’epoca di Lenin e come può accadere in altri paesi solocome tribuna per la denuncia dei mali del capitalismo e dei governi borghesi eper la propaganda del socialismo. Esso, in Italia, è anche e soprattutto unasede nella quale i rappresentanti del movimento operaio sviluppano e concretanouna loro iniziativa, sul terreno politico e legislativo, cercando di influiresugli indirizzi della politica nazionale e di affermare la loro funzionedirigente. Ma il Parlamento può adempiere il suo compito se, come disseTogliatti, esso diviene sempre più «specchio del paese» e se l’iniziativaparlamentare dei partiti del movimento operaio è collegata alle lotte dellemasse, alla crescita di un potere democratico nella società e all’affermarsidei princìpi democratici e costituzionali in tutti i settori e gli organi dellavita dello Stato.

A questo preciso orientamento sisono ispirate le molteplici battaglie che abbiamo condotto per la Repubblica eper la Costituzione; per realizzare con il voto alle donne la pienezza delsuffragio universale; per difendere il principio della rappresentanzaproporzionale contro il tentativo di liquidarlo; per assicurare giorno pergiorno alle Camere le loro prerogative contro ogni tendenza dell’esecutivo e dialtri centri del potere economico, politico e amministrativo di limitarle e svuotarle;e per affermare il principio e la prassi di una libera dialettica, senzapreclusioni e discriminazioni, fra tutte le forze democratiche rappresentatenel Parlamento. A questo stesso orientamento hanno obbedito e obbediscono lenostre battaglie per l’istituzione delle Regioni e per il rispettodell’autonomia e dei poteri degli enti locali.

Ma vi è anche un altro aspettoassai importante della nostra strategia democratica. La decisione del movimentooperaio di mantenere la propria lotta sul terreno della legalità democraticanon significa cadere in una sorta di illusione legalitaristica rinunciandoall’impegno essenziale di promuovere, sia da posizioni di governo che standoall’opposizione, una costante iniziativa per rinnovare profondamente in sensodemocratico le leggi, gli ordinamenti, le strutture e gli apparati dello Stato.La stessa nostra esperienza, prima ancora di quella di altri paesi, ci richiamaa tenere sempre presente la necessità di unire alla battaglia per letrasformazioni economiche e sociali quella per il rinnovamento di tutti gliorgani e i poteri dello Stato.

L’impegno in questa direzione deve tradursi inuna duplice attività: quella diretta a far sì che in tutti i corpi dello Statoe in coloro che vi lavorano penetrino e si affermino sempre più estesamenteorientamenti ispirati a una cosciente fedeltà e lealtà alla Costituzione esentimenti di intimo legame con il popolo lavoratore; e quella diretta apromuovere misure e provvedimenti concreti di democratizzazionenell’organizzazione e nella vita della magistratura, dei corpi armati e ditutti gli apparati dello Stato. Quest’azione può contribuire in misura assairilevante a far sì che il processo di trasformazione democratica della societànon prenda indirizzi unilaterali e non determini uno squilibrio tra settori chevengono investiti da questi processi e altri che ne vengono lasciati fuori oche vengono respinti in posizioni di ostilità: rischio, questo, gravissimo eche può divenire fatale.

In definitiva, le prospettive disuccesso di una via democratica al socialismo sono affidate alla capacità delmovimento operaio di compiere le proprie scelte e di misurare le proprieiniziative in relazione, oltre che al quadro internazionale, ai concretirapporti di forza esistenti in ogni situazione e in ogni momento, e alla suacapacità di badare, costantemente, alle reazioni e contro-reazioni chel’iniziativa trasformatrice determina in tutta la società: nell’economia, nellestrutture e negli apparati dello Stato, nella dislocazione e negli orientamentidelle varie forze sociali e politiche e nei loro reciproci rapporti. Si ripropongono così i problemidei criteri di valutazione dei rapporti di forza, della politica dellealleanze, del rapporto tra trasformazioni sociali e sviluppo economico e iproblemi degli schieramenti politici.


12.10.1973
RIFLESSIONI SULL’ITALIA DOPO I FATTI DEL CILE.
ALLEANZE SOCIALI E SCHIERAMENTI POLITICI
di Enrico Berlinguer


Abbiamo constatato che la viademocratica non è né rettilinea né indolore. Più in generale il cammino delmovimento operaio quali che siano le forme di lotta, non è stato mai né può essereuna ascesa ininterrotta. Ci sono sempre alti e bassi, fasi di avanzata cuiseguono fasi in cui il compito è di consolidare le conquiste raggiunte, e anchefasi in cui bisogna saper compiere una ritirata per evitare la disfatta, perraccogliere le forze e per preparare le condizioni di una ripresa del camminoin avanti. Questo vale sia quando il movimento operaio combatte standoall’opposizione sia quando esso conquista il potere o va al governo.

Ha scritto Lenin: «Bisognacomprendere - e la classe rivoluzionaria impara a comprendere dalla propriaamara esperienza - che non si può vincere senza aver appreso la scienzadell’offensiva e la scienza della ritirata». Lenin stesso, che è statocertamente il capo rivoluzionario più audace nella scienza dell’offensiva, èstato anche il più audace nel saper cogliere tempestivamente i momenti delconsolidamento e della ritirata, e nell’utilizzare questi momenti per prenderetempo, per riorganizzare le forze e per riprendere l’avanzata. Due esempirivelatori di queste geniali capacità di lenin furono il compromesso conl’imperialismo tedesco sancito con la pace di Brest Litovsk, e il compromessocon forze capitalistiche interne che caratterizzò quell’indirizzo che va sottoil nome di Nep (Nuova Politica Economica). Né va dimenticato che Lenin nonesitò a compiere tali scelte andando contro corrente. Queste due grandioperazioni rivoluzionarie, che contribuirono in modo decisivo a salvare ilpotere sovietico e a garantirgli l’avvenire, vennero attuate in condizioni storicheirripetibili, ma il loro insegnamento di lungimiranza e sapienza tattica rimaneintegro.

L’obiettivo di una forzarivoluzionaria, che è quello di trasformare concretamente i dati di unadeterminata realtà storica e sociale, non è raggiungibile fondandosi sul purovolontarismo e sulle spinte spontanee di classe dei settori più combattividelle masse lavoratrici, ma muovendo sempre dalla visione del possibile, unendola combattività e la risolutezza alla prudenza e alla capacità di manovra. Ilpunto di partenza della strategia e della tattica del movimento rivoluzionarioè la esatta individuazione dello stato dei rapporti di forza esistenti in ognimomento e, più in generale, la comprensione del quadro complessivo dellasituazione internazionale e interna in tutti i suoi aspetti, non isolando maiunilateralmente questo o quello elemento.

La via democratica al socialismo èuna trasformazione progressiva - che in Italia si può realizzare nell’ambitodella Costituzione antifascista - dell’intera struttura economica e sociale,dei valori e delle idee guida della nazione, del sistema di potere e del bloccodi forze sociali in cui esso si esprime. Quello che è certo è che la generaletrasformazione per via democratica che noi vogliamo compiere in Italia, ha bisogno,in tutte le sue fasi, e della forza e del consenso.

La forza si deve esprimere nellaincessante vigilanza, nella combattività delle masse lavoratrici, nelladeterminazione a rintuzzare tempestivamente - ci si trovi al governo oall’opposizione - le manovre, i tentativi e gli attacchi alle libertà, aidiritti democratici e alla legalità costituzionale. Consapevoli di questanecessità imprescindibile, noi abbiamo messo sempre in guardia le masselavoratrici e popolari, e continueremo a farlo, contro ogni forma di illusioneo di ingenuità, contro ogni sottovalutazione di propositi aggressivi delleforze di destra. In pari tempo, noi mettiamo in guardia da ogni illusione gliavversari della democrazia. Come ha ribadito il compagno Longo al XIII Congresso,chiunque coltivasse propositi di avventura sappia che il nostro partitosaprebbe combattere e vincere su qualunque terreno, chiamando all'unità e allalotta tutte le forze popolari e democratiche, come abbiamo saputo fare neimomenti più ardui e difficili. Del “consenso” la profondatrasformazione della società per via democratica ha bisogno in un significatoassai preciso: in Italia essa può realizzarsi solo come rivoluzione dellagrande maggioranza della popolazione; e solo a questa condizione, “consenso eforza” si integrano e possono divenire una realtà invincibile.

Tale rapporto tra forza e consenso è del resto necessario quali che siano leforme di lotta adottate, anche se si tratta di quelle più avanzate fino aquelle cruente. Il nostro movimento di liberazione nazionale, che fu unmovimento armato, ha potuto resistere e vincere perché era fondato sull’unitàdi tutte le forze popolari e democratiche e perché ha saputo conquistarsi ilsostegno e il consenso della grande maggioranza della popolazione. Del resto,anche sulla sponda opposta, si è visto che i movimenti antidemocratici e lostesso fascismo non possono affermarsi e vincere unicamente con il ricorso allaviolenza reazionaria, ma hanno bisogno di una base di massa più o meno estesa,soprattutto in paesi con una struttura economica e sociale complessa edarticolata. Ed è perfino ovvio ricordare che, più in generale, il dominio dellaborghesia non si regge solo sugli strumenti (da quelli più brutali a quelli piùraffinati) della coercizione e della repressione, ma si regge anche su una basedi consenso più o meno manipolato, su un certo sistema di alleanze sociali epolitiche. È il problema delle alleanze,dunque, il problema decisivo di ogni rivoluzione e di ogni politicarivoluzionaria, ed esso è quindi quello decisivo anche per l’affermazione dellavia democratica.

In paesi come l’Italia si devemuovere dalla constatazione che si sono create ed esistono una stratificazionesociale e una articolazione politica assai complesse. Lo sviluppo capitalistico italiano ha dato luogo alla formazione di unproletariato consistente. Questa classe che una lunga esperienza di lotte -siamo quasi a un secolo di battaglie proletarie - che l’opera educatrice delmovimento socialista che l’influenza decisiva che su di essa esercita dacinquant’anni il partito comunista, hanno reso particolarmente combattiva ematura; questa classe, che è la forza motrice di ogni processo ditrasformazione della società, tuttavia rimane pur sempre una minoranza dellapopolazione del nostro paese e della stessa popolazione lavoratrice. Così èanche, in misura maggiore o minore, in quasi tutti gli altri paesicapitalistici. Tra il proletariato e la grande borghesia - le due classiantagoniste fondamentali nel regime capitalistico - si è infatti creata, nellecittà e nelle campagne, una rete di categorie e di strati intermedi, che spessosi sogliono considerare nel loro complesso e chiamare genericamente «cetomedio», ma di ognuno dei quali in realtà occorre individuare e definire concretamentela precisa collocazione e funzione nella vita sociale, economica e politica egli orientamenti ideali.

Accanto e spesso intrecciati aquesti ceti e categorie intermedie e al proletariato esistono poi nella nostrasocietà strati di popolazione e forze sociali (si tratta, per esempio, di largaparte delle popolazioni del Mezzogiorno e delle isole, delle masse femminili egiovanili, delle forze della scienza, della tecnica, della cultura e dell’arte)che non sono assimilabili, come tali, nella dimensione di «categorie», e chetuttavia hanno una condizione nella società che le accomuna e in una certamisura le unisce, al di là della propria posizione professionale e persinodella propria appartenenza a un determinato ceto sociale.

Appare chiarissimo che per l’esitodella battaglia democratica che conduciamo per la trasformazione e ilrinnovamento della nostra società è determinante dove si situano, in che sensosono orientate e come si muovono queste masse, questi ceti intermedi, questistrati di popolazione. È del tutto evidente, cioè, come sia decisivo per lesorti dello sviluppo democratico e dell’avanzata al socialismo che il peso ditali forze sociali venga a spostarsi o a fianco della classe operaia oppurecontro di essa.
Da questa struttura economica estratificazione sociale dell’Italia noi non abbiamo ricavato soltantoconseguenze che riguardano la nostra politica nella fase attuale, ma abbiamofissato dei punti fermi che riguardano il posto che hanno nella rivoluzioneitaliana questioni come quella meridionale, femminile, giovanile, della scuolae della cultura, e la funzione dei ceti intermedi.

A proposito di questi ultimi, neldocumento, più impegnativo del nostro partito, che è la Dichiarazioneprogrammatica approvata dall’VIII Congresso (1956) si afferma: «Si stabilisce,oggettivamente, una concordanza di fini fra la classe operaia, che lotta controi monopoli e per abbattere il capitalismo, non più solo con le masse proletariee semiproletarie, ma con la massa dei coltivatori diretti nelle campagne e conuna parte importante dei ceti medi produttivi nelle città, ciò che consentenuove possibilità per l’allargamento del sistema di alleanze della classeoperaia e delle basi di massa per un rinnovamento democratico esocialista.
«La massa del ceto medio ècostituita da stratificazioni e gruppi sociali diversi, in relazione allediverse caratteristiche economiche e sociali e al diverso grado di sviluppodelle diverse zone. Pur essendo quindi necessario un approfondimentodifferenziato da zona a zona, la possibilità di una alleanza permanente dellaclasse operaia con strati del ceto medio della città e della campagna èdeterminata da una convergenza di interessi economici e sociali che traeorigine dallo sviluppo storico e dalla attuale struttura delcapitalismo...
«D’altra parte deve essere chiaroche per gruppi decisivi di ceto medio il passaggio a nuovi rapporti di tiposocialista o socialisti non avverrà che sulla base del loro vantaggio economicoe del libero consenso, e che in una società democratica che si sviluppi versoil socialismo sarà garantita la loro attività economica».

La strategia delle riforme puòdunque affermarsi e avanzare solo se essa è sorretta da una strategia dellealleanze. Anzi, noi abbiamo sottolineato che, nel rapporto tra riforme ealleanze, queste sono la condizione decisiva perché, se si restringono lealleanze della classe operaia e si estende la base sociale dei gruppidominanti, prima o poi la realizzazione stessa delle riforme viene meno e tuttala situazione politica va indietro, fino anche a rovesciarsi. Naturalmente, la politica dellealleanze ha il suo punto di partenza nella ricerca di una convergenza tra gliinteressi economici immediati e di prospettiva della classe operaia e quelli dialtri gruppi e forze sociali. Ma tale ricerca non va concepita e attuata inmodo schematico o statico. Occorre, cioè, indicare rivendicazioni e perseguireobiettivi che offrano concretamente a questi strati di popolazione e a questeforze e gruppi sociali una certezza di prospettive che garantiscano in formenuove e possibilmente migliorino il loro livello di esistenza e il loro ruolonella società, ma in un diverso sviluppo economico e in un più giusto e piùmoderno assetto sociale.

A questo scopo diviene necessariolavorare anche per determinare una evoluzione nella stessa mentalità di questiceti e forze sociali, nel senso di allargare in tutta la popolazione unavisione sempre meno individualistica o corporativa e sempre più sociale delladifesa degli interessi dei singoli e di quelli della collettività.

Noi non ci limitiamo, dunque, aricercare e a stabilire convergenze con figure sociali e categorie economichegià definite, ma tendiamo a conquistare e a comprendere in un articolatoschieramento di alleanze interi gruppi di popolazione, forze sociali nonclassificabili come ceti, quali sono, appunto, le donne, i giovani e leragazze, le masse popolari del Mezzogiorno, le forze della cultura, movimentidi opinione, e proponiamo obiettivi non soltanto economici e sociali, ma disviluppo civile, di progresso democratico, di affermazione della dignità dellapersona, d’espansione delle molteplici libertà dell’uomo. Ecco il modo con cuinoi intendiamo e compiamo il lavoro concreto per costruire e preparare le basi,le condizioni e le garanzie di quello che si vuole chiamare un «modello» nuovodi socialismo.

Un grosso problema che ci impegnain sede politica e che deve impegnare di più, in sede teorica, i marxisti e glistudiosi avanzati dell’Italia e dei paesi dell’Occidente, è come far sì che unprogramma di profonde trasformazioni sociali - che determina necessariamentereazioni di ogni tipo da parte dei gruppi retrivi - non venga effettuato inmodo da sospingere in posizione di ostilità vasti strati dei ceti intermedi, mariceva invece, in tutte le sue fasi, il consenso della grande maggioranza dellapopolazione. Ciò, evidentemente, comporta una attenta scelta delle priorità edei tempi delle trasformazioni sociali e comporta, di conseguenza, l’adoperarsinon solo per evitare un collasso dell’economia ma per garantire anzi, anchenelle fasi critiche di passaggio a nuovi assetti sociali sociali, l’efficienzadel processo economico.
Questo è certamente uno deiproblemi vitali che ha dinnanzi a sé un governo di forze lavoratrici epopolari; ma è un problema altrettanto fondamentale in un paese come l’Italia,ove una forza grande come la nostra uscita da tempo dal terreno della purapropaganda, cerca, fin da ora, dall’opposizione, con l’arma della pressione dimassa e dell’iniziativa politica unitaria, di imporre l’avvio di un programmadi trasformazioni sociali. Se è vero che una politica dirinnovamento democratico può realizzarsi solo se è sostenuta dalla grandemaggioranza della popolazione, ne consegue la necessità non soltanto di unapolitica di larghe alleanze sociali ma anche di un determinato sistema dirapporti politici, tale che favorisca una convergenza e una collaborazione tratutte le forze democratiche e popolari, fino alla realizzazione fra di esse diuna alleanza politica. D’altronde, la contrapposizione el’urto frontale tra i partiti che hanno una base nel popolo e dai quali masseimportanti della popolazione si sentono rappresentate, conducono a unaspaccatura a una vera e propria scissione in due del paese, che sarebbeesiziale per la democrazia e travolgerebbe le basi stesse della sopravvivenzadello Stato democratico.

Di ciò consapevoli noi abbiamosempre pensato - e oggi l’esperienza cilena ci rafforza in questa persuasione -che l’unità dei partiti di lavoratori e delle forze di sinistra non ècondizione sufficiente per garantire la difesa e il progresso della democraziaove a questa unità si contrapponga un blocco di partiti che si situano dalcentro fino alla estrema destra. Il problema politico centrale in Italia èstato, e rimane più che mai, proprio quello di evitare che si giunga a unasaldatura stabile e organica tra il centro e la destra, a un largo fronte ditipo clerico-fascista e di riuscire invece a spostare le forze sociali epolitiche che si situano al centro su posizioni coerentementedemocratiche.

Ovviamente, l’unità, la forzapolitica ed elettorale delle sinistre e la sempre più solida intesa tra le lorodiverse e autonome espressioni, sono la condizione indispensabile per mantenerenel paese una crescente pressione per il cambiamento e per determinarlo. Masarebbe del tutto illusorio pensare che, anche se i partiti e le forze disinistra riuscissero a raggiungere il 51 per cento dei voti e dellarappresentanza parlamentare (cosa che segnerebbe, di per sé, un grande passoavanti nei rapporti di forza tra i partiti in Italia) questo fatto garantirebbela sopravvivenza e l’opera di un governo che fosse l’espressione di tale 51 percento.

Ecco perché noi parliamo non diuna «alternativa di sinistra» ma di una «alternativa democratica» e cioè dellaprospettiva politica di una collaborazione e di una intesa delle forze popolaridi ispirazione comunista e socialista con le forze popolari di ispirazionecattolica, oltre che con formazioni di altro orientamento democratico. La nostra ostinazione nel proporrequesta prospettiva è oggetto di polemiche e di critiche di varia provenienza.Ma la verità è che nessuno dei nostri critici e obiettori ha saputo e saindicare un’altra prospettiva valida, capace di far uscire l’Italia dalla crisiin cui è stata gettata dalla politica di divisione delle forze democratiche epopolari, di avviare a soluzione gli immani e laceranti problemi economici,sociali e civili che sono aperti e di garantire l’avvenire democratico dellanostra Repubblica.

E del resto, a veder bene, lepolemiche e i tentativi di rendere impossibile la prospettiva che noiproponiamo non hanno impedito che essa, invece, si sia affermata e si afferminella coscienza di sempre più larghe masse popolari e nei loro movimenti reali,come anche, in una certa misura e in vari modi, nella stessa vita politica enei partiti. Sta qui la comprova che il problema da noi posto diventa ognigiorno più maturo e urgente. E se nessuno è in grado di prospettare una diversaalternativa democratica altrettanto valida e credibile rispetto a quella da noiproposta, ciò è perché tale diversa alternativa, in Italia, non c’è.

La nostra politica di dialogo e diconfronto con il mondo cattolico si sviluppa necessariamente su diversi piani econ diversi interlocutori. Vi è innanzitutto il problema, sulquale la nostra posizione di principio e la nostra linea politica sono note,posto dalla presenza in Italia della Chiesa cattolica, e dai suoi rapporti conlo Stato e con la società civile. Vi è poi il problema della ricerca di una piùampia comprensione reciproca e di una intesa operante con quei movimenti etendenze di cattolici che, in numero crescente, si collocano nell’ambito delmovimento dei lavoratori e si orientano in senso nettamente anticapitalistico eantiimperialistico.

Ma non si può certo pensare disfuggire all’altro grande problema costituito dalla esistenza e dalla forza diun partito politico come la Democrazia cristiana, che a parte la qualificazionedi «cristiana» che esso dà di se stesso, raccoglie nelle sue file o sotto lasua influenza una larga parte delle masse lavoratrici e popolari diorientamento cattolico.
Rinascita” ha pubblicato alcunimesi or sono una serie di articoli e di saggi nei quali sono stati esaminati evagliati i vari aspetti della questione della Dc. Rimandiamo a essi il lettore,limitandoci noi, in questa sede, a riproporre il tema nei suoi termini difondo. L’errore principale da cui bisognaguardarsi è quello di giudicare la Democrazia cristiana italiana, e anzi tuttii partiti che portano questo nome, quasi come una categoria astorica, quasimetafisica, per sua natura destinata, in definitiva, a essere o a diveniresempre o ovunque un partito schierato con la reazione. Ed è davvero risibileche a ciò si riduca, nella sostanza, tutta l’analisi sulla Dc che ci viene datada gente che, con tanta spocchia, cerca di salire in cattedra per impartire atutti lezione di marxismo.

Naturalmente il nostro giudiziosulla Dc è ugualmente lontano da quello che di essa danno quei suoi dirigenti iquali, rovesciando il contenuto ma mantenendo il medesimo metodo astorico cheora abbiamo criticato, presentano la Dc come un partito che, «per sua natura»,sarebbe il garante delle libertà e l’alfiere del progresso democratico. Inrealtà, entrambi i giudizi che abbiamo ricordato sono privi di effettivaserietà e hanno entrambi un carattere puramente strumentale. Il solo criteriomarxista, o che voglia essere anche solo fondato sulla serietà politica,consiste nel considerare la Dc sia nel contesto storico politico in cui ècollocata e opera che nella composita realtà sociale e politica che in essa siesprime. Solo in questo modo è possibile mettersi in grado di intervenire e diinfluire realmente sugli orientamenti e sulla condotta pratica di talepartito.

Noi abbiamo sempre avuto benpresente il legame tra la Democrazia cristiana e i gruppi dominanti dellaborghesia e il loro peso rilevante, e in certi momenti determinante, sullapolitica della Dc. Ma nella Dc e attorno ad essa si raccolgono anche altreforze e interessi economici e sociali, da quelli di varie categorie del cetomedio sino a quelli, assai consistenti soprattutto in alcune regioni e zone delpaese, di strati popolari, di contadini, di giovani, di donne ed anche dioperai. Anche il peso e le sollecitazioni provenienti dagli interessi e dalleaspirazioni di queste forze sociali si sono fatti sentire in misura più o menoavvertibile nel corso della vita e della politica della Dc e possono essere portatia contare sempre di più.

Oltre a questa varia econtraddittoria composizione sociale della Dc vanno prese in considerazione lesue origini, la sua storia, le sue tradizioni e le differenti tendenzepolitiche e ideali che si sono agitate e si agitano nel suo interno, da quellereazionarie a quelle conservatrici e moderate fino a quelle democratiche eanche progressiste. Tutto ciò contribuisce a spiegare come le vicende storichedi questo partito siano state assai tortuose e spesso contrassegnate da atteggiamentitra loro antitetici. Nato come partito popolare, democratico e laico esso sioppose all’inizio al movimento fascista, passando poi all’appoggio e allapartecipazione al primo governo Mussolini, staccandosene successivamente pergiungere, attraverso un faticoso travaglio, alla partecipazione alla lottaclandestina e all’impegno pieno e diretto nella Resistenza, al fianco e inunità con le forze proletarie e popolari.

Dopo la liberazione, dopol’avvento della Repubblica e dopo l’elaborazione della Costituzione, frutto diun accordo tra i tre grandi partiti di massa (comunista, socialista edemocristiano) fu proprio il partito democristiano - nel clima di divisione inEuropa e nel mondo creato dall’incipiente guerra fredda - il principaleartefice della rottura dell’alleanza di governo con i comunisti e con isocialisti, dell’unità sindacale e più in generale dell’intesa fra le forzeantifasciste. E fu proprio la Dc a condurre da quel momento una politica dicontrapposizione e di scontro frontale con il movimento operaio e popolare diispirazione comunista e socialista.

La sconfitta di questa politica,dovuta alle capacità di combattimento della classe operaia, dei braccianti, deicontadini, dei lavoratori e delle loro organizzazioni sindacali e politiche, edovuta anche alla tenacia con cui il nostro partito non ha mai deflettuto dallasua linea unitaria, ha riaperto una prospettiva di avanzata al movimentodemocratico e al paese e ha creato una situazione nuova anche nella Dc. Essa,infatti, pur mantenendo l’ispirazione conservatrice e moderata della sua linea,è stata messa nella impossibilità di riportare il paese alla condizione dellaspaccatura verticale e della contrapposizione frontale. Quando un suo uomo,Tambroni, si avventurò nel tentativo estremo di ripristinare tale condizione,fu travolto rapidamente da un grande moto popolare e unitario e liquidato dalsuo stesso partito. Ma c’è di più: quando la Dc, sconfitta in questa sua linea,dette inizio a una manovra di nuovo tipo, con l’esperimento di centro-sinistraper giungere all’isolamento del Pci, essa fallì anche su questo terreno.

Dalla crisi di prospettivedeterminata dal fallimento di questi diversi tentativi per affermare una lineadi divisione nel popolo e nel paese la Dc non è ancora uscita. Essa avverte cheè assai difficile e che può essere gravido di avventure fatali per tutti e perse stessa giocare la carta della contrapposizione e dello scontro, ma non ègiunta ancora a intraprendere con coerenza una strada opposta. E sta proprio inciò una delle cause determinanti della crisi che attanaglia il paese.

Che fare? In quale direzionedobbiamo cercare noi di spingere le cose? Dalla sommaria ricapitolazione cheabbiamo fatto della composizione sociale e della condotta politica della Dcrisulta che questo partito è una realtà non solo varia, ma assai mutevole; erisulta che i mutamenti sono determinati sia dalla sua dialettica interna sia,e ancor più, dal modo in cui si sviluppano gli avvenimenti internazionali einterni, dalle lotte e dai rapporti di forza tra le classi e fra i partiti, dalpeso che esercitano sulla situazione il movimento operaio e il Pci, dalla loroforza, dalla loro linea politica e dalla loro iniziativa. Si pensi alla vicendapiù recente, quella del governo Andreotti: l’ostilità attiva delle massepopolari, la combattività e l’iniziativa unitaria dell’opposizione comunista,la battaglia del partito socialista e quella di gruppi, correnti e personalitàdella stessa Dc hanno portato allo sfaldarsi della coalizione di centro-destrae hanno creato una situazione in cui la stessa maggioranza di forze internaalla Dc che aveva portato Andreotti al governo, o che comunque lo sosteneva, èvenuta meno. La Dc ha dovuto abbandonare la linea e la prospettiva delcentro-destra.

Tali essendo la realtà della Dc eil punto in cui essa si trova oggi, è chiaro che il compito di un partito comeil nostro non può essere che quello di isolare e sconfiggere drasticamente letendenze che puntano o che possono essere tentate di puntare sullacontrapposizione e sulla spaccatura verticale del paese, o che comunque siostinano in una posizione di pregiudiziale preclusione ideologicaanti-comunista, la quale rappresenta di per sé, in Italia, un incombentepericolo di scissione della nazione. Si tratta, al contrario, di agire perchépersino sempre di più, fino a prevalere, le tendenze che, con realismo storicoe politico, riconoscono la necessità e la maturità di un dialogo costruttivo edi un’intesa tra tutte le forze popolari senza che ciò significhi confusioni orinuncia alle distinzioni e alle diversità ideali e politiche checontraddistinguono ciascuna di tali forze.

Certo, noi per primi comprendiamoche il cammino verso questa prospettiva non è facile né può essere frettoloso.Sappiamo anche bene quali e quante battaglie serrate e incalzanti sarànecessario condurre sui più vari piani, e non solo da parte del nostro partito,con determinazione e con pazienza, per affermare questa prospettiva. Ma nonbisogna neppure credere che il tempo a disposizione sia indefinito. La gravitàdei problemi del paese, le minacce sempre incombenti di avventure reazionarie ela necessità di aprire finalmente alla nazione una sicura via di sviluppoeconomico, di rinnovamento sociale e di progresso democratico rendono semprepiù urgente e maturo che si giunga a quello che può essere definito il nuovogrande «compromesso storico» tra le forze che raccolgono e rappresentano lagrande maggioranza del popolo italiano.

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