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Carla Ravaioli
Un’altra campagna elettorale!
15 Ottobre 2005
Carla Ravaioli
Sono amici a chiedermi in questi giorni la firma...

Sono amici a chiedermi in questi giorni la firma a favore di questo o quel candidato alle primarie; amiciche stimo e con i quali divido molte convinzioni. Ma, con rincrescimento, la mia risposta non può che essere negativa.

Per molte ragioni. Innanzitutto per quelle a più riprese lucidamente illustrate da Giuseppe Chiarante su queste pagine. Il rifiuto di un istituto che inevitabilmente comporta “una visione leaderistica e personalistica della politica” e funestamente richiama l’impianto autoritario e decisionista della destra berlusconiana, con i guai che ne sono seguiti. Il rischio dunque di approdare a un ulteriore indebolimento degli strumenti democratici anziché a quella vistosa prova di partecipazione diretta che si vorrebbe. E il non infondato timore che l’iniziativa pervenga poi a un esito opposto a quello cercato, con l’affollarsi di candidature fatalmente destinate a ridurre gli spazi delle presenze più forti in gara. E la gran confusione che ne è nata e che va scivolando verso una pericolosa deriva trasformista, per il rilancio nientemeno che di un “grande centro”.

Ma le mie ragioni sono anche altre. Il programma a ottobre, dopo le primarie, ha annunciato fin da subito Prodi. E ancora qualche giorno fa, interrogato in proposito, non è andato oltre generiche vaghezze del tipo “una cornice di valori comuni che abbiamo chiamato il progetto dell’Unione”, o “un filo comune sui grandi temi”: che sarebbero a suo dire “Bankitalia, risparmio, nuove regole, valori”. La cosa francamente mi riesce difficile da capire, e più ancora da accettare. Perché, insomma, un soggetto politico (e chiunque si candida a governare, partito o gruppo o singola persona che sia, è certamente tale) in che modo definisce la propria identità se non per la sua lettura della realtà, per il giudizio che ne esprime, e per il modo in cui vorrebbe modificarla così da avvicinarla il più possibile al modello da lui ritenuto ottimale? Se non, in una parola, per il programma che propone agli elettori nel momento in cui ne chiede il voto? Non si vede dunque perché mai si dovrebbe votare una persona, sia pure della migliore qualità, per la quale si nutra stima e magari amicizia, se non dice che cosa farà una volta eletto. Ed è stata infatti proprio la mancanza di programmi dell’Unione a provocare la scesa in campo di nuove candidature, specie della sinistra radicale, provviste di qualche corredo programmatico

Ma tra i tanti motivi per cui queste primarie non mi convincono, quello che subito m’è venuto a mente al loro annuncio, è che davvero di un'altra tornata elettorale in Italia non si sentiva il bisogno. Elezioni politiche e amministrative, referendum su questa o quella materia, hanno luogo periodicamente in tutti i paesi democratici. In più nel nostro continente abbiamo le “europee”. Sono momenti fondamentali della vita collettiva che naturalmente, doverosamente, assorbono per qualche tempo l’attività politica e polarizzano l’attenzione pubblica. Accade ovviamente anche in Italia. Non diversamente che in ogni altra nazione, parrebbe ovvio pensare. Eppure, a guardar bene, non è così. E non sembra gratuita la sensazione, non solo mia, di un paese in perenne campagna elettorale. Proviamo a fare il punto. C’è innanzitutto la proverbiale instabilità dei governi italiani. Una legislatura che giunga al suo termine naturale da noi è praticamente un’eccezione, e già questo moltiplica il numero delle consultazioni nazionali. Ma crisi tutt’altro che rare colpiscono anche comuni provincie regioni, esigendo nuovi ricorsi alle urne, e creando uno sfasamento rispetto alla data fissata per il grosso delle amministrative, che comporta non poche elezioni locali svolte in ordine sparso e in tempi diversi. Al tutto si somma la proliferazione dei referendum, che nessuno mai si sogna di accorpare con altri eventi elettorali.

Cose che accadono anche negli altri paesi? Certo, anche se certo con minore frequenza, e soprattutto agite in altro modo. Perché, a parte il numero degli episodi elettorali, proviamo a domandarci: anche in Germania, Francia, Inghilterra, ecc., il rinnovo di un piccolo gruppo di amministrazioni locali comporta, come da noi, l’interruzione dei lavori parlamentari e la mobilitazione non solo dei politici direttamente interessati ma di tutti i leader di prima grandezza? E ogni referendum, anche riguardante materie che dovrebbero interessare gruppi limitati, finisce, come da noi, per assumere valenze di portata universale, con richiami a valori eterni e sconfinamenti nel trascendente? E appena chiusi i seggi, spente le telecamere sugli exit poll, terminata la serie delle interviste in cui ognuno si dichiara vincente, immediatamente si incomincia a parlare delle elezioni prossime venture, in qualche modo avviando la nuova campagna? Non ho fatto ricerche in proposito, ma credo proprio si possa rispondere no.

E però le elezioni riaccendono il dibattito politico che altrimenti si affloscerebbe, mi faceva notare un amico. Vero. Ma che tipo di dibattito, che tipo di politica? Vincere, conquistare il governo o il seggio, raccogliere per sé e/o per il proprio partito il maggior numero possibile di voti, è in campagna elettorale l’obiettivo di quanti accendono e tengono vivo il dibattito. Un obiettivo estremamente ravvicinato, da conseguire passando per le esigenze, gli interessi, gli umori, la disponibilità, la capacità ricettiva, i condizionamenti pregressi, degli elettori; e pertanto inevitabilmente puntando su problemi (che si suppone) per loro prioritari, facendo leva su argomenti (che si ritiene) di sicuro gradimento, elencando promesse (che si spera) non difficili da mantenere, omettendo ogni ipotesi (che si teme) non agevolmente accettabile, e così via. Seguendo la precettistica del politichese corrente o affidandosi all’inventiva personale, ma sempre necessariamente attenendosi a una dimensione contingente delle questioni trattate, di fronte a ogni materia tralasciando di cercarne le radici, di rapportarle a fenomeni analoghi ancorché di terre lontane, di ricondurle al più vasto orizzonte della politica-mondo, quella che in misura sempre più cogente determina anche il nostro piccolo orizzonte quotidiano. Necessariamente scontando un drastico impoverimento del discorso, una brutale riduzione dei problemi all’utile più spicciolo e immediato.

E’ vero che in generale, anche quando ce ne sarebbero spazio e opportunità, i nostri politici (e, diciamolo, non i nostri soltanto) non sembrano gran che vogliosi di avventurarsi su sentieri che appena oltrepassino la siepe del giardino. Ma certo gli impegni elettorali che a ritmi accelerati si susseguono e si accavallano praticamente senza sosta, non sono d’aiuto. E penso con terrore che cosa accadrebbe qualora l’invenzione prodiana delle primarie facesse scuola, e ogni elezione si raddoppiasse. Dio non lo permetta.

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