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Francesco Erbani
Se il museo della musica è un cimitero di violini
20 Ottobre 2012
Beni culturali
L’ennesima vergogna di un Ministero allo sbando: non solo inutile, ma ormai dannoso per le sorti del nostro patrimonio culturale. La Repubblica, 19 ottobre 2012 (m.p.g.)

Non bastano la seicentesca Arpa Barberini o il primo esemplare di pianoforte, un Cristofori del 1722, a evitare che il Museo nazionale degli strumenti musicali in cui sono esposti sia un vertiginoso buco nero della tutela in Italia, il simbolo dello stato comatoso in cui versa il patrimonio storico artistico. Dal 9 giugno il Museo, che ha sedea Roma in una palazzina dietro la chiesa di santa Croce in Gerusalemme,è chiuso. Si dice che lo si debba ristrutturare, ma non c' è alcun cantiere aperto. Solo sei custodi divisi su tre turni vigilano su quasi novecento oggetti che hanno pochi eguali al mondo per valore e bellezza e che, senza climatizzazione perché l' hanno staccata, sono rosicchiati dai tarli. Nei tre magazzini al piano terra si accatastano sotto la polvere pianoforti, cembali e violoncelli. Negli scaffali brandelli di violini, tastiere fatte a pezzi. Dovunque lo struggente senso di un tesoro in abbandono. E sul futuro solo voci. Lo scenografo Pier Luigi Pizzi starebbe lavorando a un progetto di allestimento, ma intanto alcune parti sono state inglobate e altre lo sarebbero dalla vicina Direzione generale del cinema e da quella dello spettacolo dal vivo che, come il Museo, appartengono allo stesso ministero dei Beni culturali. Ma c' è chi sostiene che il secondo piano, dove altri strumenti sono ammassati, potrebbe far gola a società private che organizzerebbero mostre, anche con la consulenza di ex dirigenti del ministero in pensione. Sulla vicenda è scattata una denuncia della Cgil che ha diramato un comunicato e che, insieme al Comitato per la Bellezza, ha lanciato un appello per salvare il museo dalla distruzione. Così deperisce un prezioso ma debole presidio che ha un solo difetto agli occhi di chi misura tutto in termini contabili: non attira molti visitatori, circa 13 mila l' anno, anche se fra questi figurano studiosi del mondo intero e storici della musica che vengono a Roma per vedere uno dei tre esemplari esistenti del Cristofori del 1722, campanelli d' età ellenistica, sistri in bronzo del VII secolo a.C., tamburelli cinesi, cembali del Seicento con delicate pitture, ghironde, chitarre settecentesche, arpe, organi intarsiati e poi il ciacciac futurista di Giacomo Balla. Un repertorio accumulato in gran parte da un solo collezionista, Evangelista Gorga, un tenore che nel 1896 fu Rodolfo nella prima esecuzione della Bohème di Puccini e che si dedicò a raccogliere strumenti di tutte le epoche e di tutto il mondo. Dal 1964 la collezione è nel museo, unico in Europa per quantità e valore del materiale. Ma sempre bistrattato, vilipeso, senza che nessuno si impegnasse in politiche di valorizzazione, come attestano le denunce di Antonio Latanza, che lo ha diretto per vent' anni. Ora l' abbandono è completo. La chiusura del Museo è stata decisa dalla direttrice ad interim Rossella Vodret, che nel giugno scorso era Soprintendente al Polo museale romano (di cui il Museo degli strumenti fa parte) e che da lunedì scorso è in pensione. La Vodret aveva destituito la precedente direttrice, Luigina Di Mattia. Nell' ultimo anno dal museo sono state staccate alcune sale, che tuttora sono inutilizzate. Fra queste anche la cosiddetta "sala dell' azoto" dove pianoforti e spinette venivano ricoverate per uccidere i tarli. Un' operazione che ora non si fa più se non mandando gli strumenti in laboratori privati. È stato anche smantellato l' auditorium che ospitava concerti e conferenze. Ora vi stazionano le scrivanie di tre funzionari amministrativi sfrattati dai loro uffici passati ai colleghi di Spettacolo e Cinema. Senza manutenzione, senza una temperatura costante di 19-20 gradi gli strumenti musicali rischiano danni irreparabili. Il legno è materiale vivo, l' umidità lo gonfia. In agosto, denunciano alla Cgil, si superavano di molto i 40 gradi. Gli studiosi ancora ricordano il signor Pietro Patacchiola, restauratore capo, che con la direttrice Luisa Cervelli passava in rassegna gli strumenti anche due, tre volte la settimana, uno per volta. E qualcuno lo rammenta seduto a suonarli, quando c' era bisogno che anche solo per un attimo riprendessero vita. Ora pianoforti, organi e cembali giacciono muti, in attesa che il ministero ne fissi la sorte.

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