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Vittorio Emiliani
Dobbiamo ricostruire anche le Regioni
28 Settembre 2012
Articoli del 2012
Fallimento delle regioni o della “governabilità” all’italiana?nalel'Unità, 26 settembre 2012/

Nelle autonomie si sono devitalizzati i rapporti

fra governi e opposizioni e i controlli esterni

“Vuol dire che con le Regioni si decentreranno anche le bustarelle…” Mai previsione di uno dei pionieri del regionalismo (non sto a far nomi, sono passati decenni) fu più azzeccata. “Ma vedrai che gli esempi virtuosi di certe Regioni finiranno per contagiare le altre…” Mai previsione fu meno azzeccata, purtroppo. C’è una furente indignazione attorno ai protagonisti dello scandalo alla Regione Lazio, dove il presidente sostiene di non aver neppure percepito l’odore di quella fiumana di soldi finita ai gruppi consiliari e da qualcuno – come Francesco Fiorito – utilizzata nel modo più insultante per i cittadini. E c’è subito chi propone: torniamo allo Stato centralista e ai suoi controlli.

Lo Stato delle Regioni (lasciamo perdere quello federale che non è mai nato, concepito dalla Lega per rompere l’unità del Paese) non ha fatto molto perché ora, nel pieno dell’indignazione, non si butti via, assieme all’acqua sporca (parecchia), la creatura partorita nel 1970. Sarebbe una assurdità. Ma perché tutto ciò è successo? Come ha scritto lucidamente lo studioso dell’amministrazione (ora deputato del Pd) Guido Melis sulla Rassegna sindacale, perché il sonno dei controlli genera mostri. Si sono devitalizzati, nelle autonomie, il rapporto governo-opposizioni e i controlli esterni su Regioni ed Enti locali. L'elezione diretta di sindaci, presidenti, governatori, ha certo rafforzato la governabilità, ma ha pressoché sterilizzato il ruolo delle assemblee elettive, il cui palese e impotente scontento è stato placato a suon di euro. Si sono scissi Giunte e Consigli spegnendo ogni vera opposizione, anche individuale. Siamo dunque passati da un assemblearismo a volte eccessivo (consentito peraltro da leggi che rimontavano a Giolitti) all'afasia dei Consigli. Le decisioni significative sono diventate atti di Giunta. Sovente anche quelle sulla “torta” fondiaria, immobiliare.

Mentre fondi e poteri venivano decentrati (e si avvicinavano agli appetiti locali), sono stati depotenziati i controlli effettivi, gli apparati ispettivi, i quadri tecnici, per esempio sugli appalti, con un lassismo urbanistico senza fine. Tanto più col Titolo V della Costituzione, pieno di buchi in materia. Oggi ci stupiamo che i materiali sanitari di base possano costare 10 in una Regione e 80-100 in un’altra, ma chi poteva fissare dei parametri nazionali nel clima che spingeva verso i magnifici “risparmi” del federalismo? Non rimpiango i Coreco, e però i Coreco.co – come si è sottolineato l’altra sera a “Ballarò” - impersonati non da tecnici qualificati (in economia prima che in diritto), ma da politici dell'opposizione, portano al coinvolgimento di tutti in un'unica giostra. Ed è sbagliato. E’ la stessa malattia che ha fatto diventare le nostre Authority la caricatura di quelle vere.

I partiti, purtroppo, si sono o liquefatti davanti ad un “padrone”, oppure arroccati su posizioni burocratico-oligarchiche facendo muro, in tutt’e due i casi, alle critiche interne, ai gruppi di opinione, “nominando” personaggi "mediocri purché fedeli" (lo scrivemmo Nando Tasciotti ed io in un libro lontano uscito da Laterza prima di Tangentopoli, "La crisi dei Comuni"). Tutto ciò ha spinto i movimenti, numerosi e generosi, ad essere tanto radicali quanto estemporanei, tanto “indignatos” quanto poveri di proposte. Ma cos’è rimasto ai cittadini, dopo leggi elettorali come il Porcellum, col totale permissivismo in materia di spese elettorali personali, con l’uso distorto (anche malavitoso) del nobile istituto delle preferenze? Poco o nulla. Aggiungiamoci i guasti provocati nella dirigenza pubblica di carriera dallo spoil system, dal non aver attrezzato sezioni regionali della Corte dei conti, dall’aver promosso burocrati locali “più permeabili”, ecc., e avremo un primo quadro delle tante cose da fare, da ricostruire per rendere meritocratica e trasparente la politica, per ridare alcuni strumenti di controllo ai cittadini (tramite gli eletti dal popolo) e altri ad organismi “terzi” di grande qualificazione. Nella cui nomina i partiti non devono neppur provare ad entrare. Insomma, una spending review delle Regioni non basta proprio. E’ soltanto un inizio. Ci vuole ben altro. Una ricostruzione.

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