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Tomaso Vittorio; Guermandi Maria Pia; Mo
“No” alla privatizzazione per decreto di Brera. La protesta si allarga
18 Settembre 2012
Beni culturali
Rilanciamo le ragioni dell’appello contro la Fondazione Grande Brera nella pasticciata versione di Passera (!) contro la quale studiosi di tutto il mondo stanno protestando. 17 settembre 2012

Il nostro appello di qualche settimana contro la privatizzazione per decreto economico della Pinacoteca statale di Brera ha ricevuto centinaia di adesioni. In testa ci sono i responsabili di alcuni grandi musei e istituti stranieri, a cominciare dal conservateur en chef du Louvre, Catherine Loisel, dal direttore per la parte antica della National Gallery di Washington, Jonathan Bober, da Jennifer Montagu del Warburg Institute. Con loro, tanti direttori di grandi musei italiani: Matteo Ceriana dell’Accademia di Venezia, Anna Coliva della Galleria Borghese, Anna Lo Bianco di Palazzo Barberini, Rita Paris del Museo Archeologico nazionale di Roma, Maria Grazia Bernardini di Castel Sant’Angelo, Luisa Ciammitti della Pinacoteca di Palazzo dei Diamanti di Ferrara, Mariolina Olivari dei Musei Civici Pavia e Castello di Vigevano, ecc., il segretario generale regionale dei BC del Molise, Gino Famiglietti, la responsabile dell’Assotecnici del Ministero, Irene Berlingò, storici dell’arte, museografi, archeologi di alto livello, Licia Borrelli Vlad, Salvatore Settis, Andrea Emiliani, Antonio Pinelli, Piero Guzzo, Mario Torelli, Carlo Pavolini, editori come Rosellina Archinto, Giovanna Pesci Enriques e Mario Curia, il più volte ministro Giovanni Pieraccini, fondatore di “Roma Europa”, storici e scrittori, Carlo Ginzburg, Piero Bevilacqua, Alberto Asor Rosa, Corrado Stajano, Jacqueline Risset, Roberta De Monticelli, rappresentanti delle associazioni: Italia Nostra (la fondatrice Desideria Pasolini, Nicola Caracciolo vice-presidente, numerosi consiglieri), “R.Bianchi Bandinelli”, Comitato per la Bellezza, Amici di Cesare Brandi, Eddyburg, Patrimonio Sos, Rete dei Comitati, Mountain’s Wilderness, ecc. Docenti dell’Accademia di Belle Arti di Brera (Francesca Valli, Flaminio Gualdoni, Ezio Cuoghi e molti altri), magistrati appassionati ai temi dell’arte e del paesaggio come Paolo Maddalena, Ferdinando Zucconi Galli Fonseca, Gianfranco Amendola, architetti e urbanisti quali Pier Luigi Cervellati, Vezio De Lucia, Paolo Berdini, Sauro Turroni. Centinaia di adesioni qualificate, con tanti stimati dirigenti del MiBAC quando il Ministero aveva ancora una politica e non era ridotto al fantasma di oggi.

Contro il nostro motivato “no” ad una Fondazione Grande Brera di diritto privato nella quale lo Stato, detentore del patrimonio, immobiliare e mobiliare, perde il controllo tecnico-scientifico della gestione che passa a soggetti non ancora identificati (dopo un decreto convertito in legge!), sono volate accuse di “conservatorismo”, ma dietro di esse è rimasta una gran confusione (che senso ha, ad esempio, paragonare il complesso di Brera alla Biennale di Venezia?). Malgrado ciò, il ministro Ornaghi si è già mosso operativamente chiamando i due primi soci (Fondazione Cariplo e Camera di Commercio), parlando di “fondazione di partecipazione”, di organismo “senza fini di lucro privato”. Ma chi può credergli con queste premesse? Il nodo di fondo è infatti la natura della Fondazione “mista”. Può svelarla soltanto uno statuto che chiarisca “chi governa”, “chi comanda”, “in base a quali criteri”.

Il dibattito succeduto alla nostra presa di posizione non ha dunque fornito certezze di sorta sulla privatizzazione. Ha semmai accresciuto dubbi, perplessità, distinguo. Questo è importante. Il nostro fondato timore è che si vada – oggi per Brera, domani per il Maxxi, dopodomani per la Galleria Borghese o per Santa Maria della Scala di Siena – ad una Fondazione all’italiana in cui lo Stato ci mette gli edifici, il patrimonio, una cospicua dote finanziaria, i servizi esistenti, la tradizione, la consolidata attrattiva internazionale, e i privati, con poca spesa, si prendono la gestione, o meglio la parte redditizia della gestione.

Ci viene chiesto cosa proponiamo in alternativa: proponiamo la politica per i beni culturali che vige in ogni Paese civile, non imbarbarito come sembra il nostro, e cioè una Repubblica (Stato, Regioni, Comune, ecc.) in grado di tutelare per davvero il patrimonio storico e artistico e il paesaggio italiano, di destinare fondi correnti e investimenti decorosi quanto certi all’apparato di tutela e di gestione dei suoi beni (e non l’avvilente miseria attuale), di diminuire tasse e imposte ai proprietari di dimore e giardini storici, ai mecenati veri, agli sponsor accrescendo così investimenti, lavori, occupazione e anche ritorno fiscale. Uno Stato, un Ministero, Soprintendenze che rialzano la testa, riacquistano dignità, privilegiando merito e competenza. Musei pubblici che puntano su didattica di massa, ricerca, rapporto con città e territori, mostre di qualità e di riproposta e non ambiscono ad essere emporii, luna-park del consumo più o meno artistico. Su tutto ciò è importante discutere e il senso della nostra lettera è anche questo: non si possono assumere decisioni tanto importanti in chiave soltanto economicistica senza aver discusso a fondo i problemi strategici posti nel terzo millennio da un grande museo statale da anni in sofferenza come Brera il cui rilancio riteniamo indifferibile.

Vi riproponiamo di seguito il testo della lettera rivolta al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, al presidente del Consiglio, Mario Monti e al ministro per i Beni e le Attività culturali, Lorenzo Ornaghi e ad essa alleghiamo l’elenco completo dei firmatari.

Gentile presidente della Repubblica, Gentile presidente del Consiglio, Gentile ministro per i Beni culturali,

leggendo con più attenzione il decreto, poi disegno di legge, sullo sviluppo approvato nei giorni scorsi, abbiamo amaramente constatato che all’art. 8 del medesimo è stato inserito un provvedimento che con lo sviluppo ha ben poco a che fare e che invece apre un varco, a nostro avviso decisivo, in direzione della trasformazione dei grandi musei italiani da pubblici a Fondazioni di diritto privato, con tutte le implicazioni che ciò comporta. Si stabilisce infatti la creazione della “Grande Brera” quale Fondazione privata incaricata di gestire la Pinacoteca Nazionale di Brera e i suoi beni, mobili e immobili.

Anzitutto notiamo che, nel “concerto” ministeriale predisposto per questo importante disegno di legge governativo, non figura il ministro competente per i Beni culturali il cui apporto (e ciò è gravissimo) viene giudicato palesemente inessenziale.

In secondo luogo l’art. 8 del decreto-legge n.83 del 22.6.12 ora convertito in legge, conferisce ad una Fondazione di diritto privato l’intera collezione di Brera, stratificatasi in due secoli, il grande immobile che la ospita (dal quale l’ex commissario Resca ha provveduto a sloggiare l’Accademia di Belle Arti antecedente alla Pinacoteca), nonché ulteriori beni mobili e immobili. E’ pienamente costituzionale un simile trasferimento? Rappresenta davvero una prosecuzione della tutela garantita dall’art. 9 della Costituzione al patrimonio storico-artistico? O non apre al contrario, da apripista, una fase del tutto nuova con l’ingresso di soci privati in un grande museo statale? Dopo la Grande Brera privatizzata, sarà più facile avere i Grandi Uffizi privatizzati o la Galleria Borghese, gli Archeologici di Napoli e di Taranto.

Fra l’altro nell’ultimo comma dell’art. 8 della legge Passera (Ornaghi assente) si dice che “la Fondazione può avvalersi di personale appartenente ai ruoli del Ministero per i beni e le attività culturali e degli enti territoriali che abbiano acquisito la qualità di soci promotori”. Può avvalersi: dunque può ancora non avvalersene, può essere tagliato in ogni momento il cordone ombelicale che lega da sempre questa Pinacoteca Nazionale al Ministero specificamente incaricato della tutela e al personale tecnico-scientifico che esso seleziona.

Il fine generale è quello di una “gestione secondo criteri di efficienza economica”. Il che, se ci consente, rappresenta uno schiaffo ai direttori dei grandi musei nazionali i quali stanno da mesi compiendo sforzi eroici per tenere aperte, vive e vitali tali istituzioni dovendo lottare con fondi ridotti al lumicino (negli ultimi dodici anni il bilancio ministeriale è crollato da 2,5 a 1,5 miliardi. Altro che “efficienza economica”. Questi valorosi servitori dello Stato e i loro predecessori hanno creato musei ammirati in tutto il mondo ed ora sono costretti ad una gestione non “secondo criteri di efficienza economica”, bensì in condizioni di umiliante sopravvivenza (i loro stipendi variano fra i 1700 e i 1900 euro netti). Una “economia di guerra” che minaccia lo sviluppo dello stesso turismo culturale, il solo in crescita, con pericoli continui di chiusure parziali o totali, con la riduzione o l’annullamento delle attività didattiche, per giovani e giovanissimi, e di quelle di ricerca ben più importanti culturalmente di altre attività prettamente “commerciali”.

Perché non si è discusso questa operazione-Grande Brera alla luce del sole? Perché si è esclusa da essa il Ministero per i Beni e le Attività culturali? Perché si è infilato un provvedimento di questa portata quasi nelle pieghe di un decretone per lo sviluppo? Eppure si tratta di una operazione che apre la strada, chiarissimamente, alla privatizzazione dei maggiori musei italiani, già tentata nel recente passato, lontana dai grandi modelli italiani ed europei, e che ora si fa passare nel fragoroso silenzio degli organi di informazione, della maggioranza degli intellettuali italiani e degli addetti ai lavori. Spettacolo avvilente rispetto alla reazione riservata anni fa ad una proposta, forse più ingenua, ma certamente più chiara e lineare, di privatizzazione avanzata dall’allora ministro Giuliano Urbani. In questo caso il ministro competente non c’è, non sente, non vede. Ci pensa il collega dello Sviluppo. Anche l’Arte è più che mai una merce. C’è ancora qualcuno che voglia discutere in positivo nel nostro Paese senza facili populismi, ma con serietà e rigore culturale?

Vittorio Emiliani, Maria Pia Guermandi, Tomaso Montanari (promotori)

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