loader
menu
© 2024 Eddyburg
Stella Cervasio
Grandi piani, ma scarsa manutenzione
9 Settembre 2012
Beni culturali
Pezzo a pezzo, si disfa Pompei: a quasi due anni dal crollo del 2010, la situazione rimane gravissima e il Mibac non è riuscito ad attivare neanche un cantiere. La Repubblica, ed. Napoli, 9 settembre 2012 (m.p.g.)

Questa volta è colpa dei tarli del terzo millennio e dell’umidità, se la trave (moderna) ha ceduto a Villa dei Misteri e non si vedono ancora i benefici del grande piano per Pompei presentato in aprile da Monti e da quattro Ministri. Piano presentato in prefettura a Napoli. Non ancora, perché la prima seduta di gara per la valutazione dei progetti per le prime cinque domus pompeiane, prevista per l’11 settembre, è stata spostata al 17 causa ricorsi. Ma la macchina è avviata e ogni tre mesi circa le gare per i progetti saranno espletate con regolarità, informano in soprintendenza. Un meccanismo studiato alla perfezione, tanto da ottenere dall’Unione europea il finanziamento di 105 milioni su fondi Fesr: la salvezza di Pompei in quattro capitoli — messa in sicurezza di strutture e impianto urbano a partire da aree qualificate ad alto rischio dalla “Carta archeologica del rischio”; irreggimentazione e drenaggio

delle acque nell’area non scavata demaniale che incombe sulla strutture antiche (e che fu alla base del crollo della cosiddetta Casa dei Gladiatori a novembre di due anni fa); messa in sicurezza restauro e valorizzazione secondo la metodologia della conservazione già programmata e infine miglioramento della dotazione e delle competenze tecnologiche della soprintendenza. Ed anche in cinque punti, i piani esecutivi: quello della conoscenza, delle opere, della fruizione e del miglioramento di servizi, della sicurezza e del rafforzamento tecnologico e della capacity building.

Bei concetti. Ottime intenzioni. Ma innanzitutto secondo le valutazioni già espresse dai tecnici sotto la soprintendenza di Pier Giovanni Guzzo, le necessità economiche per salvare Pompei dal degrado al quale è esposta soprattutto da due anni in qua, non è di 105 milioni, ma almeno di 500 milioni. 44 ettari scavati, tre quarti dei 66 totali, 1500 domus, 3 km di perimetro e confine e 56 mila metri quadri considerati ad alto rischio sono cifre spropositate anche per la disponibilità dei fondi Fesr messi a disposizione dal-

l’Europa senza alcuna integrazione, anzi con previsione di ulteriori tagli da parte del governo italiano. Il recupero alla fruibilità, per il Grande Piano per Pompei, è infatti di 23 mila metri quadri soltanto: come si vede, la metà di quelli considerati a rischio.

Il tallone di Achille dell’area archeologica tra le più importanti al mondo, Patrimonio dell’Umanità per l’Unesco dal ‘97, continua a essere incredibilmente, una cosa che uno dei suoi più grandi scopritori, l’archeologo Amedeo Maiuri, aveva risolto con mezzi di molto inferiori allo spiegamento di forze che lascia intuire un progetto del terzo millennio. Si chiama ordinaria manutenzione. Ricordando che i fondi del Grande Piano sono europei, quello che lo Stato italiano ha fatto per Pompei è circoscritto all’invio — pure necessario — di 8 architetti, 12 archeologi e 1 amministrativo: una squadra a ranghi ridotti, di veri eroi, che sta lavorando senza tregua per l’analisi e la diagnosi dei luoghi. Una corsa contro il tempo e contro le precipitazioni atmosferiche. Una corsa con il fiato corto, perché il degrado arriva comunque prima. Manutenzione ordinaria invece era quella che è stata spazzata

via dai commissariamenti straordinari e dalla loro filosofia, tesa al conseguimento immediato di benefici dalla vita breve.

La salute di un monumento è provata dal termometro della quotidianità e quando il mercurio continua a scendere, senza portare a febbroni improvvisi ai quali porre rimedio diventa difficile. Fino a una quindicina di anni fa a Pompei esisteva una squadra che si occupava dei piccoli danni quotidiani. Crolli minimali o rischi prospettati di volta in volta attraverso ispezioni continue. Gli “ispettori” giravano con un piccone telescopico, che arrivava anche ad altezze elevate, con cui sondavano la tenuta delle pietre, lo stato dei legni, la forza dei perni e dei chiodi. In caso di dubbi, l’intervento era immediato. In questo modo la grancassa del crollo avvenuto, a cui assistiamo da alcuni anni, in cui si arriva a paradossi dove la notizia arriva prima alla tv e poi alla soprintendenza, sarebbe un sistema da dismettere perché finalmente inutile.

ARTICOLI CORRELATI

© 2024 Eddyburg