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Giovanni Losavio
Sugli immobili di Stato e Comuni spetta ad Ornaghi presidiare la riserva del demanio culturale
14 Agosto 2012
Beni culturali
Di questi tempi occorre ricordare al ministro dei bb.cc. le pur elementari competenze che il suo ruolo gli assegna: repetita iuvant… 14 agosto 2012 (m.p.g.)

E’ vero che la legge di revisione della spesa non assegna al ministro per i beni e le attività culturali alcuno specifico compito attuativo. E se ne intende bene la ragione. Perché la legge approvata con la fiducia tra luglio e agosto, nel suo articolo 23ter, come già l’articolo 33 della legge 111 del 2011 (la legge di stabilizzazione finanziaria), non modifica in alcun modo il rigoroso regime del demanio culturale come disegnato nel codice dei beni culturali e del paesaggio. Lo aveva sfrontatamente modificato, con il dichiarato fine di dare “massima attuazione al federalismo demaniale”, la legge 116 del 2011 (con le sue “prime disposizioni urgenti per l’economia”), aprendo le maglie dell’assegnazione ai comuni dei beni dello stato, esclusa per i beni di interesse culturale pur soltanto presunto: l’art. 4, comma 16, di quella legge aveva modificato per i soli beni immobili uno dei consolidati requisiti della tutela, spostando a settanta’anni il limite temporale a ritroso che convenzionalmente fin dalla pioniera legge del 1909 era stato fissato al riconoscimento dell’interesse storico e artistico delle “cose”(non essendo soggette alla disciplina di tutela “le cose … la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquant’anni”).

Ebbene, se la legge di revisione della spesa lascia invece integra la disciplina dettata dal codice dei beni culturali e del paesaggio per il patrimonio pubblico, assoggettato alle stringenti regole degli articoli 12 e 53 – 55, si deve constatare che rimangono integralmente estranei all’automatismo di quella legge, con i complessi meccanismi del suo articolo 23ter, i beni di interesse culturale, pur soltanto presunto, e dunque ai costituendi “fondi comuni di investimento immobiliare” potranno essere trasferiti soltanto i beni immobili (la cui esecuzione risalga ad oltre settant’anni) che siano stati riconosciuti privi di alcun interesse culturale con una espressa dichiarazione negativa (che spetta alle direzioni regionali del ministero).

Se il ministro per i beni e le attività culturali non è chiamato a partecipare agli sviluppi attuativi della spending review, alla sua diretta responsabilità è affidata la vigilanza sul rispetto della esclusione del demanio culturale dall’ambito esecutivo della nuova disciplina legislativa.

Sa bene il ministro che il patrimonio pubblico è presidiato dalla presunzione di interesse culturale in forza della quale ogni bene (se immobile) la cui esecuzione risalga ad oltre settant’anni, pur se non sia stato oggetto di formale riconoscimento, è assoggettato al regime del codice dei beni culturali e che i beni immobili di interesse culturale degli enti pubblici territoriali (quindi stato e comuni) costituiscono il demanio culturale. Sa bene che il bene pubblico è soggetto a tutela pur se rivesta un interesse culturale non qualificato, a differenza del bene di appartenenza privata per il quale requisito della tutela è l’interesse culturale “particolarmente importante”; che la vendita dei beni del demanio culturale è preclusa per quelli cui si riconosca valore identitario, come documenti della storia delle istituzioni, e che l’alienazione è altrimenti ammessa (su specifica autorizzazione delle direzioni regionali del ministero) quando “assicuri la tutela, la fruizione pubblica e la valorizzazione dei beni” e che l’osservanza delle prescrizioni dettate al riguardo per conservazione e destinazione è rafforzata dalla clausola legale di risoluzione espressa. Un regime del tutto incompatibile con i meccanismi automatici e indiscriminati - e con gli stessi fini - della legge di revisione della spesa, perciò inapplicabili al demanio culturale.

Non può aver dubbio il ministro che la riserva del demanio culturale, così strutturato, non è forzata dalla legge che avvia il procedimento di valorizzazione economica degli “immobili di proprietà dello stato non utilizzati per finalità istituzionali” “allo scopo di conseguire la riduzione del debito pubblico”, attraverso la costituzione dei “fondi comuni d’investimento immobiliare” affidati alla gestione esclusiva del ministero dell’economia e delle finanze. Spetta al ministro per i beni e le attività culturali presidiare quella riserva con la doverosa fermezza (mettendo innanzitutto in allerta i suoi direttori regionali).

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