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Giovanni Caudo
L’occasione del “piano città”
28 Giugno 2012
Scritti ricevuti
Un appello a cogliere l’occasione dell’ambiguo “piano città” del governo Monti per rilanciare l’esigenza di una nuova strategia nazionale per le città (e il territorio). Scritto per eddyburg. La discussione è aperta

Duecentoventiquattromilioni di euro sono i finanziamenti disponibili per i progetti da finanziare con il Piano Città promosso la settimana scorsa dal Governo Monti con il Decreto Legge cosiddetto sviluppo. Pochi spiccioli per poter dire che c’è un reale cambio di rotta sullo stato in cui versano le nostre città. Si potranno finanziare forse dieci quindici progetti in altrettante città. I Comuni recupereranno progetti che giacciono nel cassetto o che non si sono guadagnati altre forme di finanziamento e li riproporranno. Ci sarà da augurarsi che si riesca almeno in parte a selezionare quelli più robusti, quelli che pur presentando interventi puntuali si applicano ad ambiti urbani unitari e che possano dare una qualche consistenza all’obiettivo della rigenerazione. L’attenzione dedicata dai media alla proposta, due pagine su Repubblica e il titolo di apertura, mette in luce il delicato momento che sta attraversando il governo: ci si aggrappa e quello che c’è, si fa quel che si può.

Rimesso nelle giuste misure l’intento del governo resta però la questione di fondo: la mancanza da anni nel nostro paese di politiche urbane di livello nazionale. Su questo chiamerei a riflettere, dipanando la nebbia della notizia che avvolge i fatti.

Il decreto riafferma la potestà del governo centrale a formulare iniziative rivolte alle Città, alla rigenerazione della città costruita. Mi pare un punto da non sottovalutare e sul quale pretendere che si vada avanti in modo serio, non frettoloso o perché sospinti dalla sollecitazione mediatica.

Rivendichiamo la possibilità che ci sia un’attenzione nazionale sulle città. In Italia da decenni non ci sono più politiche urbane e, invece, le città costituiscono una carta da giocare per uscire dal declino. Le politiche urbane degli anni Novanta (ricordate i vari Pru, Prustt, ecc…) sono ormai finite in una sorta di vicolo cieco, lasciate alle capacità dei singoli comuni.

Il secolo nuovo, nei suoi primi dieci anni, ha portato una “mistificazione” della questione urbana. Le politiche della sicurezza da una parte e il dibattito sul federalismo municipale, dall’altro, hanno dominato il discorso pubblico e hanno evitato che si affrontassero le questioni urbane entro a un quadro di respiro strategico che ne evidenziasse l’interesse nazionale dinanzi ai cambiamenti che le città hanno registrato nel ventennio a cavallo tra il secolo vecchio e il nuovo. Le città hanno subito cambiamenti profondi, per alcuni versi radicali.

Pretendiamo che l’affermazione di centralità delle Città nella politica del governo centrale, pur nel rispetto delle competenze e delle attribuzioni che restano alle Regioni, alle Province e ai Comuni, si affermi; pretendiamo che si individui un percorso reale che porti alla costruzione di un vero Piano nazionale per le Città d’Italia. Dobbiamo pretendere, anche in vista dei futuri programmi di governo, che le forze politiche si pongano l’obiettivo di ricostituire in sede nazionale un luogo di elaborazione e di attuazione di queste politiche (meno improvvisato e spartitorio della cabina di regia prevista dal decreto). Sparare sul Piano Città di Monti è come sparare sulla Croce Rossa e ci distoglie dalla questione vera che merita di essere affrontata: se e come le città possono tornare al centro dell’Agenda politica nazionale.

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