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Enrico Grazzini
Ma cosa sono i beni comuni?
26 Maggio 2012
Spazio pubblico
Ancora una recensione all'ultimo libro di David Harvey, nell’ottica di uno dei punti di vista della sinistra italiana. Il manifesto, 26 maggio 2012 (f.b.)

Esistono diverse interpretazioni relative ai "beni comuni". In effetti questa dizione è ambigua; noi cercheremo di spiegare che cosa le scienze economiche e sociali intendono per "beni comuni" (o commons ) a livello internazionale, e come invece il significato di bene comune cambia in un'accezione giuridica molto diffusa in Italia, che però ci sembra limitativa e che è senz'altro differente da quella dibattuta nel mondo. In sintesi estrema: per gli economisti il common è una risorsa condivisa che dovrebbe essere gestita dalla comunità di riferimento, per i giuristi (soprattutto in Italia) il bene comune è invece un diritto universale. Come vedremo, la questione definitoria non è sofistica o frivola, ma riguarda la precisione scientifica e ha conseguenze politiche. Per dirla con le parole di Stefano Rodotà, l'autorevole giurista che tra i primi ha avuto il merito di introdurre la questione dei beni comuni in Italia, «se la categoria dei beni comuni rimane nebulosa, e in essa si include tutto e il contrario di tutto,.... allora può ben accadere che si perda la capacità di individuare proprio le situazioni nelle quali la qualità "comune" di un bene può sprigionare tutta la sua forza».

Commons, risorse condivise

Per Elinor Ostrom, premio Nobel dell'economia, e per gli economisti e gli studiosi sociali dei beni comuni a livello internazionale, i commons sono risorse materiali o immateriali condivise, ovvero risorse che tendono a essere non esclusive e non rivali (un bene è "rivale" quando l'uso da parte di un soggetto impedisce l'uso da parte di un altro soggetto), e che quindi sono fruite da comunità più o meno ampie. Occorre sottolineare che la definizione economica è nettamente distinta da quella morale e giuridica. Infatti non è detto che i beni comuni siano necessariamente anche un bene in senso morale; e non è detto neppure che costituiscano un diritto primario degli individui e dei cittadini. Un pascolo, per esempio, può essere un bene comune ma non è né buono né cattivo, e non è neppure un diritto primario. I beni comuni si distinguono in questo senso dai "beni di merito", che - come l'acqua e il codice genetico - sono indispensabili per la sopravvivenza umana o hanno un alto valore morale o sociale, e che quindi devono essere tolti dal mercato e salvaguardati giuridicamente per garantirli a tutti gli esseri umani.

A differenza dei beni meritevoli, la caratteristica specifica e peculiare (e positiva) dei beni comuni non è morale: consiste invece nel fatto che è difficile escludere qualcuno dall'utilizzarli, e che sono anche tendenzialmente non rivali, cioè possono essere fruiti contemporaneamente da più persone o da comunità di utenti - come le conoscenze, Internet, l'ambiente, Wikipedia e le reti. Quindi la definizione di common della Ostrom è oggettiva, cioè relativa innanzitutto alle caratteristiche strutturali e funzionali intrinseche di certi beni rispetto ad altri. Ma i commons hanno una specificità eccezionale: possono essere gestiti in maniera più efficiente, innovativa e sostenibile dalle comunità di riferimento. E, reciprocamente, se invece sono gestiti dai privati o dallo Stato cioè in favore di élite privilegiate, private o pubbliche - in generale vengono gestiti in maniera non ottimale, cioè con sprechi e inefficienze e in modo non sostenibile nel tempo.

Questa è la vera grande scoperta scientifica di Elinor Ostrom: non è vero che se i commons sono gestiti dalle comunità allora vengono devastati, e che si verifica necessariamente la "tragedia dei beni comuni" come sosteneva la teoria dominante di Garrett Hardin. Non è vero, come suggeriva Hardin, che per gestire i beni comuni ed evitare la tragedia del sovraconsumo occorra privatizzarli o statalizzarli, cioè imporre delle regole esogene. Anzi è vero il contrario: le foreste gestite (o cogestite) dalle comunità locali sono in generale (non sempre) gestite meglio e in maniera più sostenibile di quelle sotto il dominio dello stato o delle corporations . Internet deve il suo grande successo al fatto che è gestita dalle comunità di scienziati, ricercatori, informatici, utenti, i quali impongono che i suoi standard non siano brevettati e siano aperti e gratuiti.

Wikipedia è la principale enciclopedia al mondo ed è gestita in maniera aperta dalle comunità di utenti e da una fondazione che li rappresenta. La scoperta della Ostrom è che le comunità possono consolidare rapporti di fiducia reciproca e autoregolarsi grazie a interessi comuni, a pratiche comuni, alla comunicazione costante, a sperimentazioni per prova ed errori, e possono sviluppare competenze elevate. Il vantaggio rispetto ai privati e allo stato è che le comunità hanno più interesse a conservare e sviluppare i beni comuni perché per loro i commons possono costituire risorse essenziali, e perché ne hanno esperienza diretta, e quindi in generale (anche se non sempre) le comunità hanno la migliore competenza per gestire i "loro" commons in maniera sostenibile. Inoltre - e questo è l'altro fattore di novità rivoluzionaria - la gestione comunitaria dei beni comuni comporta un nuovo modo di produzione cooperativo e non competitivo.

Il messaggio della Ostrom deriva la sua forza diromenpte proprio da questi due fattori: la gestione comunitaria dei commons è più efficiente di quella privata e statale grazie a un modo di produzione autoregolato e fondato sulla cooperazione, sulla partecipazione, e su gerarchie concordate e non autoritarie (come nelle scienze e nel software open source ). È su questi elementi forti che le teorie della Ostrom si collegano in qualche modo alle teorie di Marx, che voleva che nel comunismo i mezzi di produzione diventassero comuni in quanto frutto della cooperazione sociale.

L'economia policentrica e i semicommons

Ostrom "ha scoperto" (e auspica) un'economia policentrica non più costretta al dilemma privato o stato8 ma fondata anche sulla proprietà comune. Avverte che la questione dei beni comuni non è "arcaica" e non riguarda solo beni e modi di produzione "marginali o primitivi", come i pascoli alpini o le zone costiere di pesca, ma riguarda anche Internet, l'ambiente, le scienze, il software e le stesse aziende: queste ultime sarebbero infatti dei semicommons, dei sistemi ibridi che combinano beni privati esclusivi e beni comuni9 . Ostrom avverte anche di non confondere i regimi di Common Property con quelli Open-Access. I regimi open access, ad accesso libero, sono quelli - come il mare aperto e l'atmosfera - in cui nessuno ha il diritto legale di escludere altri; al contrario i regimi di common property sono quelli in cui i membri di un determinato gruppo condividono la risorsa comune ma possono disporre anche dei diritti di esclusione dall'uso di quella risorsa.

Enti per gestire i commons

Le analisi sui commons sono riprese dall'imprenditore sociale Peter Barnes. Barnes suggerisce che per difendere e sviluppare i commons occorre che questi siano dati in proprietà a delle fondazioni no profit che abbiano per statuto come scopo sociale quello di preservarli e svilupparli a favore delle comunità e delle generazioni future. Le organizzazioni no profit dovrebbero essere completamente autonome dallo stato e dai privati, e potrebbero inoltre vendere sul mercato il surplus eventualmente disponibile a prezzi equi e non discriminatori, e redistribuire i proventi alle comunità. Il riferimento di Barnes è l'Alaska Permanent Fund Foundation che ogni anno remunera i cittadini con i dividendi derivati dai ricavi del petrolio dello Stato. A Napoli la gestione dell'acqua è stata finalmente affidata a un ente pubblico aperto alla partecipazione dei cittadini.

Ma ci si potrebbe anche chiedere se non fosse possibile (e meglio) affidare la gestione dell'oro blu a una fondazione controllata direttamente dai cittadini e dal Comune, affrancata dai vincoli del diritto pubblico, e destinata a salvaguardare questo bene comune. L'intuizione di Barnes è geniale: usa il diritto borghese sulla proprietà privata per proporre di stabilire il diritto delle comunità a gestire i patrimoni comuni, come le risorse ambientali (per esempio l'acqua) e culturali (per esempio il copyright o i brevetti). In Italia la proposta di Barnes si sta concretizzando con il progetto di fondazione del Teatro Valle di Roma. Naturalmente la questione cruciale è che le fondazioni o le altre forme societarie, come le cooperative, siano controllate democraticamente dalle comunità di riferimento e agiscano come fiduciarie responsabili in maniera trasparente del loro operato verso le stesse comunità.

Il diritto ai beni comuni

Per gli economisti i beni comuni sono risorse condivise: per la maggioranza dei giuristi (specialmente in Italia) i beni comuni sono invece, o devono diventare, diritti universali. Per i giuristi i beni comuni non devono essere ridotti a merci disponibili solo per chi ha il denaro per comprarli: sono invece beni essenziali su cui lo stato ha diritti prioritari per assicurare la loro disponibilità universale. Questa interpretazione è meritoria perché punta a garantire beni indispensabili per la sopravvivenza e lo sviluppo dell'umanità sottraendoli a una logica di mercato e speculativa.

D'altro lato però, forse particolarmente in Italia, l'interpretazione giuridica dei commons sorvola le analisi socio-economiche che da Ostrom in poi caratterizzano la ricerca scientifica internazionale. Secondo uno dei principali giuristi italiani, caposcuola delle concezioni giuridiche sui beni comuni nel nostro paese, Stefano Rodotà che, come si è detto, ha il merito di avere "scoperto" per primo la questione complessa dei beni comuni in Italia: « ... Si può dare una prima definizione dei beni comuni: sono quelli funzionali all'esercizio di diritti fondamentali e al libero sviluppo della personalità, che devono essere salvaguardati sottraendoli alla logica distruttiva del breve periodo, proiettando la loro tutela nel mondo più lontano, abitato dalle generazioni future.

L'aggancio ai diritti fondamentali è essenziale». Dice inoltre Rodotà a proposito dei commons : «L' accento non è più posto sul soggetto proprietario, ma sulla funzione che un bene deve svolgere nella società. ... I beni comuni sono a titolarità diffusa, appartengono a tutti e a nessuno, nel senso che tutti devono poter accedere ad essi e nessuno può vantare pretese esclusive». Abbiamo però già visto che i beni comuni non sono necessariamente res nullius o beni ad accesso aperto. Cosa dovrebbe fare la sinistra Secondo noi la sinistra non dovrebbe solo difendere i diritti all'accesso ai beni comuni e ai beni di merito, ma dovrebbe soprattutto impegnarsi per attribuire alle comunità i diritti di proprietà dei commons - intesi come diritto al loro controllo strategico e alla gestione operativa - e dovrebbe incoraggiare la costituzione di un Terzo Settore di enti economici autonomi dallo stato e dai privati, come le fondazioni e le cooperative, per la salvaguardia e lo sviluppo di beni comuni come l'ambiente, la cultura, le scienze, Internet, l'informazione.

Comunque la sinistra dovrebbe favorire la partecipazione dei lavoratori e degli utenti negli organismi decisionali privati e pubblici in cui si decidono i destini dei commons . La questione dei beni comuni è quindi innanzitutto una questione di democrazia economica. In questo senso credo che la sinistra debba approfondire le analisi della Ostrom ed elaborare ulteriormente i suggerimenti di Peter Barnes.

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