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Francesco Erbani
Il piano di Caserta per fermare il cemento
15 Maggio 2012
Articoli del 2012
Tutela integrale delle aree agricole e riqualificazione dell’urbanizzato: uno strumento per recuperare il degrado del territorio. Finalmente! Repubblica, ed. Napoli, 15 maggio 2012 (m.p.g.)

Stop. Niente più cemento nei suoli agricoli di Gomorra, su molti dei quali vigilano gli uomini delle cosche, che controllano anche tanta parte del ciclo dell’edilizia. Se in provincia di Caserta si dovrà costruire, lo si farà nelle aree già urbanizzate, abbandonate, stravolte dall’abusivismo e da un’espansione dissennata. Si potrà persino demolire e tirare su nuovi edifici. Tutela integrale, invece, per quel che è sopravvissuto alle discariche legali e illegali, alla semina sparpagliata di ville e villette, e cioè per i terreni un tempo baciati da coltivazioni di pregio, come la vite maritata, che sfilava di pioppo in pioppo, raccontata già da Virgilio.

Lo prevede il nuovo Piano di coordinamento territoriale della provincia di Caserta, approvato all’unanimità (la giunta è di centrodestra a guida dell’Udc Domenico Zinzi, ma il Piano è partito con il centrosinistra, con l’assessore Maria Carmela Caiola). Un documento che indica i paletti per cento e più Comuni, fra i quali Casal di Principe, Casapesenna e Castel Volturno sciolti per camorra, i quali hanno tempo diciotto mesi per varare i loro Piani regolatori. Paletti rigorosi: il territorio di ogni Comune va diviso in due insiemi, quello urbanizzato, intorno al quale è come se si tracciasse un perimetro con una matita rossa, invalicabile; e quello rurale.

Nel primo, gran parte dell’attività edilizia deve recuperare costruzioni scadenti, dismesse o sottoutilizzate, anche demolendo e ricostruendo su superfici più piccole per lasciare lo spazio ai servizi che non ci sono (in primo luogo il verde). Eccezionalmente, si legge nel documento, ci può essere espansione edilizia, ma mai nel territorio rurale: qui solo fabbricati per le produzioni agricole. E poi, niente più centri commerciali.

Il tono usato dai progettisti, guidati dall’urbanista Vezio De Lucia insieme a Georg Frisch, è secco: «Qualunque nuovo impegno di suolo è consentito esclusivamente a condizione che si dimostri l’impossibilità assoluta di soddisfare le nuove esigenze all’interno del territorio già urbanizzato». Un tono che sembra imposto da un dato: la provincia di Caserta ha raddoppiato in trent’anni il proprio edificato. Ma si è trattato di una crescita «sciatta, rapace e a bassa densità», la definisce Antonio Di Gennaro, che ha curato la parte del Piano sul paesaggio agrario. «La superficie urbanizzata è di 250 metri quadrati per abitante, più del doppio di quella napoletana, segno che qui si è immaginato un sogno americano di non-luoghi spersi per la campagna», aggiunge.

Il Piano tenta di arginare una vorace periferia. Almeno 5 mila ettari, un quinto di tutto l’edificato, sono definiti "aree negate", disseminate di macerie edilizie, fra capannoni dismessi e manufatti ridotti a baracche. Tre quarti di questo territorio non sono stati pianificati, abbandonati a una crescita senza regole. «Ormai gli spazi agricoli intorno ad Aversa e a Caserta sono i frammenti di un arcipelago circondato da una desolante edificazione», spiega De Lucia, che negli anni Novanta è stato assessore nella prima giunta napoletana di Antonio Bassolino.

Il paesaggio agrario che è stato sacrificato era fra i più celebrati (gli ettari con la vite maritata raggiungevano quota 18 mila ancora nel 1954, ora sono 400). Ma una parte di esso resiste lungo la valle del Garigliano, intorno ai castagni vicino al vulcano dormiente del Roccamonfina. Resiste a fatica il tracciato borbonico dei Regi Lagni. E perfino la vite maritata, per iniziativa di alcuni produttori, riprende a vinificare.

«Bisogna vedere questi paesi per comprendere che cosa vuol dire vegetazione e perché si coltiva la terra», scrive Goethe nel Viaggio in Italia (citato in esergo al Piano). E poi ci sono un patrimonio di piccoli centri storici, l’acquedotto di Carlo III di Borbone e quindi le regge, da Caserta a Carditello (che, derelitta, rischia di essere venduta all’asta).

«Conservare il suolo agricolo non significa che non ci sarà sviluppo», sottolinea De Lucia, «anzi le cose da fare sono molte: cinquantamila alloggi in dieci anni per una popolazione che cresce, almeno un migliaio di ettari per verde pubblico e servizi, spazi per la mobilità...». «Ora bisogna vigilare affinché la Provincia talloni i Comuni e li accompagni in una corretta pianificazione», chiosa Maria Carmela Caiola, che da assessore all’urbanistica della precedente giunta diede l’avvio al Piano.

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