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Luciano Gallino
Le donne precarie
17 Agosto 2005
Articoli del 2004
Si potrebbe chiamare "un risvolto" delle attuali politiche del lavoro, se non interessasse il 50% degli italiani. Da la Repubblica dell'8 dicembre 2004

È noto da anni che i lavori precari ricadono soprattutto sulle donne. Tempo determinato, co.co.co., stages, part time forzato (che la persona accetta perché non trova un tempo pieno), lavoro intermittente e simili: in complesso circa due terzi dei lavori che prevedono un´occupazione e un reddito discontinui sono svolti da donne. Un recente decreto interministeriale accentua tale forma di discriminazione a loro danno. Esso prevede infatti che in tutte e 20 le regioni italiane, non solo in quelle meno sviluppate, si possano offrire dei contratti di lavoro di durata compresa tra i 9 e i 18 mesi, non rinnovabili, unicamente alle donne di qualsiasi età. A tutte le donne, si noti, per il mero fatto di appartenere a tale genere. Viene così offerta a qualunque datore di lavoro un´altra possibilità di offrire contratti di breve durata alle centinaia di migliaia di donne che ogni anno sono in cerca di occupazione. Quelle che si affacciano per la prima volta sul mercato del lavoro, come quelle che sono state licenziate o che vorrebbero cambiare lavoro.

I passi compiuti dal legislatore per arrivare a peggiorare in tal modo le prospettive lavorative delle donne, quali che fossero le sue intenzioni, sono due. Primo passo: l´art. 54 del decreto legislativo n. 276, emanato oltre un anno fa per dare attuazione alla legge 30 di riforma del mercato del lavoro, prevede un contratto definito "di inserimento". È un erede dei vecchi contratti di formazione e lavoro, diretto a realizzare l´inserimento d´un lavoratore nel mercato del lavoro mediante un progetto individuale di adattamento delle sue competenze professionali. Il decreto precisa che esso è riservato ad alcune categorie di persone. Tra di esse figurano le donne di qualsiasi età residenti in un´area geografica in cui il tasso di occupazione femminile sia inferiore almeno del 20% a quello maschile. Le aree in cui codesto tasso sussiste dovevano essere individuate in un altro decreto del ministro del Lavoro di concerto con il ministro dell´Economia.

Si poteva pensare che tali aree sarebbero state identificate quasi esclusivamente nel Mezzogiorno, dove è pure possibile erogare incentivi economici alle imprese come previsto dalla Commissione Europea. È qui che interviene il secondo passo. Il ministero del Lavoro ha infatti scoperto ora, a distanza di un anno, un dato noto in realtà da decenni: il tasso d´occupazione femminile è inferiore a quello maschile di almeno 20 punti in tutte indistintamente le regioni italiane. Magari di pochi decimi di punto, come in Friuli-Venezia Giulia, dove lo scarto è di appena lo 0,1% (51,7 per le femmine, 71,8 per i maschi), o in Piemonte, dove tocca lo 0,3% (51,6 contro il 71,9). Ma è comunque inferiore di almeno 20 punti. Lo dicono le rilevazioni Istat. Lo sottolinea la Relazione tecnica che accompagna il decreto ministeriale, con tanto di tabella che calcola le aree secondo quanto previsto dal precedente decreto legge attuativo della riforma. Sulla base di tale tabella il ministro del Lavoro, di concerto con il ministro dell´Economia, ha quindi decretato che "le aree territoriali di cui all´articolo 54 ecc. ecc. sono identificate per gli anni 2004, 2005 e 2006 in tutte le Regioni e Province autonome". Decreto e relazione tecnica si possono leggere nel sito del ministero.

Il nuovo decreto ministeriale stabilisce che gli incentivi economici alle imprese previsti dalla legge del 2003 per i contratti di inserimento di lavoratrici si applicano solamente alle regioni del Mezzogiorno e delle Isole, più il Lazio. Ma non esclude l´estensione a tutte le regioni d´un altro dispositivo di sicuro interesse per le imprese. Si tratta della possibilità di inquadrare chi è assunto con un contratto d´inserimento anche a due livelli al disotto della categoria che spetta alle mansioni corrispondenti a quelle cui è finalizzato il progetto di inserimento. In tal modo alle donne di qualsiasi età, che per ora significa legalmente compresa tra i 15 e i 64 anni, si aprono straordinarie opportunità di occupazione in tutte le regioni italiane. Per il mero fatto di essere donne, possono ora venire assunte dovunque con contratti di inserimento della durata massima di diciotto mesi, ed essere inquadrate sotto il profilo professionale e retributivo appena due categorie più in basso di coloro che nell´ufficio o nel reparto di fianco fanno il loro stesso lavoro.

L´obiezione più trita che si possa fare ai suddetti rilievi è che il decreto ministeriale ammette una possibilità, senza imporre nulla. In primo luogo va sottolineato che è l´occasione a rendere il lavoro precario. Si offra per legge agli enti pubblici economici, alle imprese e loro consorzi o gruppi, agli enti di ricerca pubblici e privati, come elenca puntigliosamente il decreto legislativo del 2003, l´occasione di stipulare in 20 regioni dei contratti aventi le caratteristiche sopra indicate, ed essi, anche per le difficoltà che molti attraversano, non mancheranno di approfittarne, a fronte della vastissima platea di donne che sono alla ricerca assillante di un lavoro. Ma soprattutto l´obiezione suddetta ignora l´offesa insita nell´etichettare l´intero universo femminile come uno strato sociale assoggettabile per legge ad ulteriori discriminazioni sul mercato del lavoro.

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