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Primarie. Anche a Genova, sorpresa per il PD
14 Febbraio 2012
Articoli del 2012
Problemi ogni volta che incontra il suo potenziale elettorato, per il partito che non c’è. Articoli di Marco Imarisio e Maria Teresa Meli, Corriere della Sera 14 febbraio 2012 (f.b.)

Elettori trascurati pensando soltanto agli equilibri interni

di Marco Imarisio

Genova è un caso di scuola. Come farsi male da soli, da predestinati alla sofferenza, e riuscirci benissimo. Missione compiuta. Naturalmente è del Partito democratico che stiamo parlando, ancora una volta colpito e affondato dall'esito delle «sue» primarie. Senza mai fare tesoro delle legnate subite in precedenza, lezioni che sarebbero state facilmente comprensibili per chiunque. Se le vicende di Cagliari e soprattutto Milano hanno le loro peculiarità, la disfatta ligure, con i suoi profili netti, autorizza qualche domanda sulla capacità del maggiore partito di centrosinistra di capire le realtà che amministra, compresi i desideri e le frustrazioni dei propri potenziali elettori, determinati a non seguire incomprensibili equilibrismi sempre anteposti alla necessità.

E alla propria convenienza. Eppure, fin dall'inizio, i segnali c'erano tutti. Quali sentimenti, se non noia e irritazione, potrà mai evocare nel cittadino una sfida all'arma bianca tra due contendenti che rappresentano al meglio le due anime presenti nel corpo di un solo partito, per altro lanciata con un anno e mezzo di anticipo sulla data delle amministrative? Quella rivalità interna era garanzia di un insuccesso annunciato, ma nessuno ha potuto o voluto fermare il treno lanciato a pieno velocità contro il muro.

L'ormai sindaco uscente Marta Vincenzi è diretta discendente della tradizione Pci e poi Ds, in tutto e per tutto esponente della tendenza socialdemocratica del Pd. Roberta Pinotti, che non merita di diventare un capro espiatorio, si è prestata in buona fede a recitare da candidata di un altro pezzo del suo partito, da lei ben rappresentato. È una boy scout, cattolica osservante, lanciata allo sbaraglio nella città più laica d'Italia. A farla breve, una ex esponente della Margherita che nella corsa alla segreteria si era spesa per sostenere Dario Franceschini. Le primarie fratricide di Genova sono nate dalla decisione pilatesca dei vertici nazionali, che hanno così scelto di non scegliere, rimettendo agli elettori ogni scelta sulle risse del Pd locale. Ma se due galli continuano a beccarsi nel pollaio, spetta al padrone della fattoria scegliere il capo del proprio allevamento.

A Genova, e altrove, questo non è mai avvenuto. Il Pd si è ben guardato dall'esprimere un giudizio sul suo sindaco, se aveva fatto bene o male, se meritava la riconferma. E sempre nel nome degli equilibri interni, Roberta Pinotti ha corso con una mano legata dietro alla schiena, costretta dalla ragion di partito a urlare ai quattro venti di non volere alcuna discontinuità con la sua «amica», come no, Marta Vincenzi. Domenica sera un dirigente locale del Pd, padre di bimbi piccoli, paragonava il suo partito a Buzz, il giocattolo astronauta del film Toy Story, potenzialmente fortissimo ma sempre frenato dalla sua monolitica incapacità di capire la situazione che ha di fronte. In questo caso Genova, città in crisi, dove l'insoddisfazione si taglia a fette, e la richiesta di una vera discontinuità che veniva dalla società civile era visibile come la lanterna all'orizzonte.

Il professor Marco Doria ha raccolto queste esigenze di cambiamento, e ha stravinto anche nei quartieri roccaforte del Pd. Corre da indipendente, non è portatore di alcuna rivoluzione, arancione o di qualunque colore essa sia. Ha fatto poche promesse, molte meno di quelle spese dalle sue rivali. Non si sogna neppure di abbassare le tasse, si limita a giurare che non taglierà mai i servizi essenziali. Ha semplicemente ascoltato i suoi cittadini, rivolgendosi a loro libero da lacci e lacciuoli, da alambicchi che cercano di mantenere un delicato equilibrio nazionale, magari tutelando future alleanze. Era proprio questo che chiedeva Genova. La soluzione era semplice, sotto agli occhi di tutti. Invece, il Pd ha fatto finta di non vedere, ancora una volta. E ha perso, come spesso succede al prode astronauta Buzz. Avanti così, verso l'infinito e oltre.

Ma sul sostegno all'uomo di Vendola il partito è già diviso

di Maria Teresa Meli

ROMA — Era inevitabile: la crisi della politica non poteva lasciare indenne il solo Pd. E le primarie di Genova sono lì a testimoniarlo. Per dirla con il senatore Stefano Ceccanti, «basta che si presenti un outsider, qualcuno che non appare come espressione di partiti o di correnti, e vince». Era già successo, d'altra parte. A Milano e a Napoli. Perché la crisi ha raggiunto ora il suo picco massimo, ma data a ben prima. Pier Luigi Bersani preferisce minimizzare ufficialmente, ma che il Pd abbia qualche problema è innegabile. Walter Veltroni e i suoi ne hanno ragionato a lungo ieri. Questo il succo delle riflessioni dell'ex segretario: non è una vittoria della sinistra, perché Sel non cresce mai più di tanto, quel che sta accadendo è ancora più pericoloso, c'è una rivolta dal basso del nostro elettorato che ci vede come una casta, un partito d'apparato.

Parole amare, quelle di Veltroni, che riecheggiano nei tanti discorsi dei parlamentari del Pd. «L'attuale classe dirigente — osserva Salvatore Vassallo — non è in grado di corrispondere alle esigenze dei nostri elettori che chiedono di essere rappresentati da gente credibile». «Paghiamo la mancanza di coraggio e di innovazione, siamo visti come qualcosa di vecchio e di conservatore», spiega il senatore Roberto Della Seta. «Le primarie di Genova fotografano il distacco dei cittadini dalla politica», ammette la vicecapogruppo alla Camera Marina Sereni.

E ora? Ora Bersani non si dà per vinto, sostiene di essere «orgoglioso» del suo partito e medita di cambiare le regole delle primarie: «Del resto — spiega il segretario ad alcuni compagni di partito — avremmo dovuto occuparci proprio di questo nella conferenza organizzativa che abbiamo rinviato. Non possiamo scontrarci tra di noi. Dobbiamo selezionare il candidato del Pd con una consultazione interna e poi andare alle primarie del centrosinistra con un solo nome». Altrimenti, avverte il deputato Dario Ginefra, «rischiamo il suicidio».

Ma tra gli stessi bersaniani serpeggia il dubbio che non sia «solo una questione di regole», che ci sia qualcosa da registrare nel partito. Tra l'altro il risultato di Genova sta creando anche altri problemi. L'ex ppi Beppe Fioroni parla senza peli sulla lingua: «Come possiamo appoggiare Doria, che è uno che ha fatto tutta la campagna elettorale per le primarie contro Monti e il suo governo? Non possiamo comportarci come degli schizofrenici, che a livello nazionale facciamo una cosa e nelle realtà locali il suo opposto». Fioroni dà voce ai dubbi degli ex popolari, che si sono raddoppiati dopo la decisione dell'Udc di non sostenere il candidato del centrosinistra. Si profila un accordo tra centristi e Pdl che potrebbe far perdere al Pd Genova.

Enrico Letta prova a vestire i panni del pompiere e a circoscrivere il significato di quello che è successo. Secondo il vicesegretario la sconfitta dipende da due elementi: dalla divisione che ha portato a due candidature e dal fatto di non essersi concentrati sui bisogni della città di Genova. Però nel partito sono in molti a pensarla come Sergio Cofferati: «Quello delle primarie è stato un voto contro il Pd». E ora c'è chi teme che per recuperare consensi il gruppo dirigente si butti all'inseguimento di Vendola e Di Pietro, tirando fuori dal cassetto la foto di Vasto. In realtà Bersani è sempre rimasto in buoni rapporti con il leader di Sel e, anche nei momenti di maggior tensione, ha mantenuto i contatti con il leader dell'Idv. In vista delle elezioni, e non solo. Il segretario del Pd ha cercato un'intesa pure sulle primarie che verranno (se mai verranno) perché punta ancora a presentarsi come candidato premier.

Ma ormai in politica è pressoché impossibile fare piani a lungo termine. Come prova quel che è accaduto a Palermo. Lì Bersani, per evitare che le primarie finissero con una sconfitta del suo partito, ha candidato Rita Borsellino, con l'appoggio di Nichi Vendola e Antonio Di Pietro. La maggioranza del Pd locale, legata a filo doppio con il governatore Raffaele Lombardo, ha sconfessato questa scelta e ieri ha sfiduciato il segretario regionale Lupo, reo di seguire le indicazioni di Roma.

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