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A volte la cittadinanza attiva vince
23 Gennaio 2012
Articoli del 2012
L’acqua pubblica è salva (per ora), il Pontone è fermato, ma le trivelle sembrano continuare ovunque. Articoli di Lucarelli, Palladino, Sestito. Il manifesto, 22 gennaio 2012

ACQUA CASSATA

La volontà popolare è salva Per ora

di Alberto Lucarelli

Appena il manifesto mercoledi scorso mi ha avvertito della norma truffa contenuta nel decreto Monti bis sulle liberalizzazioni, che all'art. 20 vietava alle aziende speciali di gestire i servizi di interesse economico generale, non ho esitato a confermare il mio giudizio in merito ad un progetto eversivo, incostituzionale: una barbarie giuridica.

Ancora una volta l'immediata reattività del manifesto e del Forum dei movimenti per l'acqua consentiva di tutelare ed affermare principi elementari di convivenza e di civiltà giuridica: l'art. 20 veniva stralciato. Una vittoria dunque, la cittadinanza attiva ha resistito.

Il decreto approvato nel suo complesso è devastante e qualcuno potrebbe dire che la nostra è stata una vittoria di Pirro. Non è così! Certo, esso inasprisce quanto introdotto dalla manovra di ferragosto, ovvero il progetto di privatizzazione forzata dei servizi pubblici locali, disattendendo l'esito referendario. Tuttavia l'aver bloccato quella norma ha un forte significato. La democrazia partecipativa ha impedito alla democrazia tecnocratica di commissariare definitivamente la democrazia locale, negando ai comuni di scegliere i propri modelli organizzativi, ma soprattutto ha impedito che fosse decretato il de profundis dei soggetti di diritto pubblico, quali appunto l'azienda speciale, ente pubblico superstite nell'ordinamento giuridico italiano.

Il governo stralciando l'art. 20 dal decreto ha avuto paura di approvare un "papocchio" e soprattutto paura di 27 milioni di cittadini pronti questa volta a trasformare i voti in "spade". Ci proveranno ancora? Gli intrecci affaristici sono belli e pronti e attendono soltanto il «la» per depredare e saccheggiare i beni comuni. Per questo motivo i movimenti dovranno essere sempre più compatti e l'obiettivo finale dovrà essere il governo pubblico democratico e partecipato di tutto il ciclo integrato delle acque: dalle sorgenti, alla captazione, agli oneri di concessione, agli ambiti territoriali, alla difesa del suolo e dei bacini idrografici, alle tariffe, ai modi di gestione e finanziamento, alla trasparenza nelle gare di appalto, alla dimensione sociale.

L'azienda speciale Abc Napoli, voluta fortemente da de Magistris, e ancora avversata, nella sua prima realizzazione, da poteri oscuri e trasversali, si è, per il momento, salvata, ma forse abbiamo contribuito anche a salvare un "pezzettino" della democrazia locale, che, fino a quando i comuni non decideranno di reagire con forza alla dittatura del patto di stabilità, rischia, giorno dopo giorno, di divenire un simulacro. Ma di questo e altro se ne parlerà il 28 gennaio a Napoli nel primo Forum della rete dei comuni per i beni comuni, con l'obiettivo di smettere di scrutare il pagliaio e con la consapevolezza che è arrivata l'ora di trovare l'ago. Alcuni comuni l'ago lo stanno trovando e la novità è che lo stanno trovando trasformando in azione politico-amministrativa quanto emerso e dettato dal basso, dalle pratiche sociali: dal conflitto e dalla proposta. All'orizzonte, ma neanche tanto, nuovi modelli di democrazia e nuove soggettività con l'ambizione di esprimere alternative al dominio di una sovranità autoritaria da disincagliare dagli istituti della rappresentanza, della delega e dalle logiche proprietarie egoistiche ed escludenti.

GRANDI OPERE

Ponte sullo Stretto, lo stop definitivo

(red.)

È sicuramente una buona notizia lo stop del Cipe al Ponte sulla Stretto di Messina. E infatti esultano comitati e associazioni ambientaliste che hanno combattuto battaglie pluriennali contro la grande opera. Il Cipe, che ha sbloccato venerdì interventi infrastrutturali per 6,2 miliardi, ha bloccato il Ponte e finanziato invece piani di opere medio-piccole immediatamente cantierabili per l'ammodernamento delle scuole (556 milioni), la difesa del suolo (750 milioni), la manutenzione della rete ferroviaria (840 milioni all'interno del Contratto Rfi). Secondo il Sole24ore, che ieri ha riportato la notizia, «c'è un doppio cambio di filosofia rispetto ai tre anni gestiti dal ministro Tremonti. Si favoriscono da una parte interventi diffusi sul territorio piuttosto che mega opere dai tempi lunghi; e dall'altra si definiscono piani dettagliati e già concordati con il territorio allo scopo di far partire prima possibile le ruspe». Ora andrebbe sciolta la società che avrebbe dovuto gestire il Ponte.

La trivella non si ferma nelle aree protette

di Andrea Palladino

Giallo sulle perforazioni. L'articolo 17 del decreto «Cresci Italia» consente le ricerche petrolifere nelle «nuove aree protette». I Verdi attaccano, Clini smentisce

È un corpo fluido il decreto Monti, una sorta di ectoplasma che si aggira tra i corridoi dei palazzi romani, pronto a cambiare colore, odore, consistenza. Impossibile avere un testo certo, che possa fugare i tanti dubbi sulle scelte dell'esecutivo. Ed è un vero giallo la questione della trivella libera, ovvero della norma contenuta nell'articolo 17 dell'unico documento arrivato informalmente nelle redazioni dopo le otto ore di discussione a Palazzo Chigi. Non è roba da poco: se quel testo fosse confermato le parole del ministro dell'ambiente Corrado Clini - che assicurava tutti sul rispetto delle aree protette - sarebbero clamorosamente smentite, aprendo le porte alle piattaforme offshore nelle zone più pregiate del nostro mare.

A lanciare l'allarme ieri mattina, quando tutti i giornali riportavano quell'unico testo conosciuto, è stato il presidente dei Verdi Angelo Bonelli: «Sulle trivellazioni petrolifere avevamo ragione noi: confermiamo quello che abbiamo denunciato ieri e le smentite che sono arrivate suonano come delle prese in giro». Venerdì sera, subito dopo la chiusura del consiglio dei ministri, Corrado Clini aveva assicurato che «il decreto liberalizzazioni non contiene alcuna norma relativa alle trivellazioni in mare». Una smentita che però non toglie il legittimo dubbio. Il ministero dell'ambiente, contattato ieri da il manifesto, non ha voluto divulgare il testo definitivo approvato dal consiglio dei ministri, limitandosi a ribadire le dichiarazioni di Clini: «Mandarvi il testo di sabato pomeriggio? Impossibile. Lo renderà noto Palazzo Chigi», hanno spiegato i collaboratori di Corrado Clini. C'è di più: il documento pubblicato sui siti dei principali giornali italiani - che porta la data del 21 gennaio, ore 9.37 - non è stato mai smentito da Palazzo Chigi o dal ministro Passera, autore di gran parte del decreto. E su quel documento l'articolo 17 è presente.

Il testo, se confermato, renderebbe di fatto possibile aggirare il divieto di estrarre il petrolio nelle aree protette, compresi i santuari marittimi. Fino ad oggi il testo unico sull'ambiente del 2006 vietava la trivellazione «all'interno del perimetro delle aree marine e costiere a qualsiasi titolo protette per scopi di tutela ambientale». L'articolo 17 del decreto Monti - o almeno del testo divulgato venerdì pomeriggio - cambia sostanzialmente questo passaggio. Primo punto: «Nel caso di istituzione di nuova area protetta restano efficaci i titoli abilitativi già rilasciati». Le zone marine in attesa di completamento dell'istruttoria - in carico al dicastero di Corrado Clini - per essere dichiarate protette sono ben dodici: Costa del Piceno, l'isola di Gallinara, l'arcipelago toscano, la costa del Monte Conero, capo Testa, il Golfo di Orosei, capo Monte Santu, le Isole Eolie, l'isola di Pantelleria, la Penisola salentina, Pantani di Vindicari in Sicilia, l'arcipelago della Maddalena. Zone che in molti casi - come nel canale di Sicilia e nella zona della Penisola salentina - coincidono con aree di possibili estrazioni di petrolio attraverso le piattaforme offshore.

Secondo i dati pubblicati dal ministero dello sviluppo economico - il dicastero che rilascia le concessioni petrolifere - ad oggi sono state autorizzate 25 attività di ricerca di idrocarburi in mare e 91 in terra ferma. Altre 45 richieste per attività al largo delle nostre coste sono in attesa di essere analizzate. In molti casi le aree interessate coincidono o sfiorano quelle zone che dovrebbero un giorno essere dichiarate protette. È il caso, ad esempio, della vasta area richiesta dalla società inglese Spectrum, che attraversa buona parte del mare Adriatico, dal Golfo di Manfredonia fino alla punta del Salento, zona candidata a divenire protetta. In questa stessa zona del mare della Puglia potrebbero iniziare a breve le prospezioni della Northern Petroleum, altra società del Regno Unito, specializzata in ricerche petrolifere. Questa stessa società ha chiesto al governo italiano la concessione per altre aree nel canale di Sicilia, comprese tra il mare di Agrigento e l'isola di Pantelleria, zona inclusa nell'elenco delle aree protette ancora da approvare.

Con la nuova norma, qualora fosse confermata, le ricerche petrolifere in queste aree del Mediterraneo meridionale potrebbero continuare anche dopo il decreto di delimitazione delle zone protette. Mentre il Costa Concordia rischia di uccidere il mare dell'isola del Giglio, spargendo più di 2000 litri di gasolio, e in attesa che qualcuno inizi a cercare i 200 fusti di solventi sparsi nel santuario dei Cetacei nell'arcipelago toscano, il ministro Passera ha tentato di trasformare il Tirreno e l'Adriatico in un novello golfo del Messico. Corrado Clini assicura che alla fine il buon senso è prevalso e che quell'articolo ammazza mare non è passato. Di fronte ad un testo fantasma il dubbio resta, fino alla firma di Napolitano.

10 mila No-Triv in piazza contro i pozzi nell'Adriatico

(red.)

Circa 10 mila persone (8 mila per la Questura) hanno manifestato ieri a Monopoli, in provincia di Bari, contro le prospezioni geosismiche alla ricerca di petrolio nel Mare Adriatico. Al corteo, indetto dal Comitato No petrolio, Sì energie rinnovabili, hanno partecipato anche il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, il presidente del Consiglio regionale Onofrio Introna e diversi sindaci, compreso il primo cittadino di Monopoli Emilio Romani, che ha chiesto una moratoria delle trivellazioni. Per Stefano Ciafani e Francesco Tarantino, presidente nazionale e vicepresidente regionale pugliese di Legambiente, «se estraessimo gli 11 milioni di tonnellate di riserve petrolifere stimate nei fondali marini del nostro Paese, li esauriremmo in soli 55 giorni. Perciò basta con le menzogne: le trivellazioni non servono a ridurre i costi delle bollette». Per il senatore del Pd Salvatore Tomaselli, anche lui in piazza, il messaggio della manifestazione è che «nessuna scelta che porti con sè rischi gravi per l'ambiente può essere più imposta alle comunità locali, come spesso è avvenuto in passato».

I POZZI DELL'ENI NEL MARE DI CROTONE

Quelle trivelle a Capo Colonna, lo scempio nella Magna Grecia

di Filippo Sestito

La norma presente all'interno della bozza del decreto sulle liberalizzazioni prevede la possibilità di facilitare la ricerca di idrocarburi nelle acque territoriali italiane. Di fatto il governo Monti concede alle multinazionali del petrolio e dell'energia di trivellare i fondali marini anche in aree preziose dal punto di vista ambientale e protette.

Nello specifico, per quanto riguarda la città di Crotone, questo provvedimento si inserisce in una politica che ha visto da decenni l'Eni estrarre nel tratto di mare a ridosso della costa crotonese e del promontorio di Capo Colonna circa il 15% del fabbisogno nazionale di gas metano, in una logica di costante sfruttamento del territorio, senza alcuna adeguata garanzia per i danni ambientali prodotti alla flora ed alla fauna marina e che provocano inoltre il fenomeno della subsidenza - sprofondamento ed erosione del territorio - senza nessuna tutela e con scarsa ricaduta economica per la comunità del crotonese.

Numerosi pozzi per l'estrazione del gas metano e tre piattaforme di proprietà dell'Eni, collocate a qualche miglio dal litorale crotonese, svettano nell'immediata prossimità dell'area marina protetta più grande d'Europa e di uno dei più importanti siti archeologici della Magna Grecia, il promontorio di Capo Colonna. A più riprese l'Eni ha realizzato interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria dei pozzi estrattivi a poche decine di metri dall'unica colonna dorica del tempio di Hera Lacinia rimasta in piedi. Va ricordato che in quell'area è impedita la realizzazione di qualunque opera che possa compromettere la stabilità stessa della colonna e la conservazione dell'area archeologica.

Crotone aspetta da circa quindici anni la bonifica dell'ex area industriale da parte dell'Eni. Le industrie del polo chimico dismesso, infatti, hanno provocato un inquinamento fortissimo a danno dei lavoratori, di tutto il suolo ed il sottosuolo interessato dagli impianti, dello specchio di mare adiacente, delle falde acquifere e dell'aria che respiriamo. Oggi, inoltre, a seguito dell'inchiesta della magistratura crotonese, si scopre che i materiali di risulta di quelle produzioni chimiche sono stati utilizzati per costruire edifici pubblici e privati. Il danno ambientale è quantificato, secondo una perizia di parte commissionata all'Apat dal ministero dell'Ambiente, in 1.920 milioni di euro che, sommati alla richiesta di risarcimento della Regione Calabria, fa un totale di 2.720 milioni di euro che l'Eni deve pagare per la bonifica dei siti indebitamente inquinati.

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