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Martini. Daniele
Venezia, il Mose nelle mani di un inquisito
10 Novembre 2011
MoSE
Sono goloso, ma non mi piace né questa torta né la nuova ciliegina che sembra adornarla.Il Fatto Quotidiano, 8 novembre 2011

Ciriaco D'Alessio, prescritto in un'inchiesta per tangenti, sarà Magistrato delle acque. Arrestato nel '93 a Milano, aveva incassato una bustarella da 400 milioni di lire per un appalto stradale

Un’attrazione fatale lega le opere pubbliche e i manager che hanno avuto guai con la giustizia. L’ultimo caso è quello del Magistrato delle acque di Venezia, un incarico di peso, uno dei più importanti a livello nazionale perché tra l’altro deve gestire i lavori del Mose, il gigantesco sistema delle paratie mobili contestato da molti, ma che nelle intenzioni di chi l’ha voluto dovrebbe salvare la città dall’acqua alta, una delle poche grandi opere uscita a fatica dal libro dei sogni dei governi Berlusconi ed effettivamente trasformata in lavori. Secondo i piani ufficiali l’imponente struttura, la cui prima pietra fu posta la bellezza di 22 anni fa, dovrebbe essere finalmente pronta nel 2014, quindi stando almeno alle promesse siamo alle fasi finali e cruciali. Proprio in vista di questo rush è prevista un’ulteriore pioggia di finanziamenti (crisi permettendo) sull’ordine dei miliardi di euro in direzione Venezia.

A SOVRINTENDERE questa enorme partita mattonar-finanziaria, il ministro delle Infrastrutture, Altero Matteoli ha voluto all’inizio di novembre un dirigente pubblico che in passato ebbe guai serissimi con i tribunali e che si salvò per il rotto della cuffia da una condanna certa. Questo manager si chiama Ciriaco D’Alessio, 63 anni di Bonito nell’Avellinese, è un dirigente di prima fascia del ministero e le avventure giudiziarie che lo hanno riguardato non solo non gli hanno troncato la carriera, ma è come se fossero state considerate un attestato di benemerenza e avessero fatto curriculum. D’Alessio fu arrestato il 14 maggio 1993 a Milano, città dove fino a poco tempo prima aveva svolto il delicato incarico di Provveditore alle opere pubbliche. Aveva incassato una bustarella di 400 milioni di lire per un appalto stradale e i magistrati lo accusarono quindi di corruzione aggravata e violazione della legge sul finanziamento dei partiti, perché parte di quei quattrini erano finiti proprio nelle casse dei partiti.

Nell’inchiesta era coinvolto anche Gianni Prandini, allora ministro democristiano dei Lavori pubblici, lo stesso che alcuni anni prima, nel 1989, aveva inaugurato l’avvio dei lavori del Mose assieme al ministro socialista e veneziano Gianni De Michelis. Le testimonianze rese da D’Alessio su quegli affari di corruzione furono giudicate di “fondamentale importanza” dalla Giunta per le autorizzazioni a procedere del Parlamento che poi dette il suo assenso alla possibilità di processare il ministro democristiano. La Giunta scrisse che “anche il Provveditore delle opere pubbliche di Milano, Ciriaco D’Alessio, ha confermato di aver consegnato personalmente al Prandini somme di denaro da parte di imprenditori”. Al processo l’ex ministro fu condannato a 6 anni e 4 mesi di reclusione per le tangenti sugli appalti, sentenza poi annullata nel 2003 per un vizio di forma. D’Alessio fu più fortunato perché nel 2001 il reato che gli veniva contestato fu ritenuto caduto a causa della prescrizione.

DA MAGISTRATO delle acque, D’Alessio si occuperà non solo del Mose, ma anche della bonifica di Marghera e in entrambi i casi incrocerà un altro manager che sembra un suo gemellino: Piergiorgio Baita. Anche Baita ebbe guai seri con la giustizia ai tempi della Prima Repubblica, anche lui 19 anni fa fu arrestato e rinchiuso nel carcere di Venezia, fu poi prodigo di testimonianze e di racconti sulle “logiche di spartizione tra Dc e Psi”, come scrissero allora i giornali, e alla fine sfuggì per un soffio alla condanna mentre venivano giudicati colpevoli 7 tra amministratori e manager che con lo stesso Baita avevano fatto affari. Anche Baita non solo non è rimasto azzoppato per questi episodi, ma è stato baciato da una carriera luminosa. Ora ricopre 72 incarichi in 40 società diverse, presidente, consigliere, amministratore, è diventato il re del mattone della Laguna e con la sua ditta Mantovani è presente in tutte le grandi opere pubbliche della città e dei dintorni. Con D’Alessio farà coppia fissa e avrà le mani in pasta su tutto ciò che conta, dal Mose al disinquinamento, appunto.

Prima dell’approdo a Venezia, D’Alessio non era stato affatto relegato in un qualche sottoscala del ministero di Porta Pia a Roma, anzi. È stato Provveditore per le opere pubbliche in Piemonte e in Calabria, per esempio, e nel 2005, ai tempi del precedente governo Berlusconi, fu indicato dal ministro Beppe Pisanu come rappresentante dell’Interno nel comitato per le Olimpiadi invernali di Torino. Un anno fa Matteoli gli affidò l’ennesimo incarico prestigioso e delicato: Provveditore per le opere pubbliche in Toscana, proprio al posto di uno dei massimi esponenti della cricca degli appalti statali, quel Fabio De Santis tanto caro a Denis Verdini, coordinatore Pdl. Già allora ci fu chi ebbe da ridire per quella designazione ritenuta azzardata. Parole al vento: non solo hanno fatto finta di niente, ma con la nomina di D’Alessio a Venezia hanno rincarato la dose.

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