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Antonio Cederna
1973, Perché l'Italia frana quando piove
8 Novembre 2011
Scritti di Cederna
C’era chi aveva previsto tutto: oltre quarant’anni fa. E’ il 1973 e Cederna, sul Corriere della Sera del 3 gennaio, ripete la sua lezione: per i posteri. Ma non siamo noi. (m.p.g.)

Un’Italia che frana e si sbriciola non appena piove per due giorni di fila, ecco l’immagine che subito ci propone il 1973, quasi a imporre alla nostra attenzione il problema di fondo e il più trascurato della politica italiana: la difesa dell’ambiente, la sicurezza del suolo, la pianificazione urbanistica.

I disastri arrivano ormai a ritmo accelerato: e tutti dovremmo aver capito che ben poco essi hanno di “naturale” poiché la loro causa prima sta nell’incuria, nell’ignavia, nel disprezzo che i governi da decenni dimostrano per la stessa sopravvivenza fisica del fu giardino d’Europa e per l’incolumità dei suoi abitanti.

I “miracoli economici”, i boom edilizi, industriali e autostradali, sono avvenuti tutti al di fuori di qualsiasi programmazione di autentico e lungimirante interesse generale: abbiamo sistematicamente trascurato di realizzare tutta l’armatura dei servizi pubblici e delle attrezzature collettive (dalle scuole agli impianti di depurazione, dalle riserve naturali ai piani di bacino idrografico, dal verde pubblico ai trasporti collettivi, dal rimboschimento alla difesa dei litorali ecc.), indispensabili alle esigenze di vita della popolazione in un’epoca di sempre più veloci trasformazioni economiche e sociali. Gli eventi franosi sono due-tremila l’anno, con un morto ogni otto giorni: i geologi del Servizio di stato sono cinque, uno ogni dieci milioni di abitanti (mentre nel Ghana sono uno ogni settantamila). Sarebbe davvero strano che l’Italia non andasse periodicamente sott’acqua. Gli interventi pubblici sono saltuari, sono frammentari, non coordinati (nulla di decisivo è stato ancora fatto per il bacino dell’Arno, a sei anni di distanza dall’alluvione). Nel 1970 la commissione interministeriale De Marchi ha calcolato che per la difesa idraulica del suolo italiano occorrono 5300 miliardi nel prossimo trentennio. Ecco il costo dell’imprevidenza, i conti sbagliati della nostra economia, che ha puntato tutto sul tornaconto immediato e sul profitto.

Fino a che la difesa della natura e del suolo non diventerà la base della pianificazione del territorio, fino a che questo non sarà considerato patrimonio comune (anziché res nullius, come è stato finora), continueremo a contare le morti e le distruzioni. Ma intanto questa Italia, sempre pronta a invocare la propria “povertà” per non fare le cose indispensabili, ha stanziato la settimana scorsa altri cinquecento miliardi di lire per costruire nuove autostrade.

Gennaio 1973

Nell’87 il Sevizio geologico è passato alle dipendenze del Ministero dell’Ambiente e successivamente alle dipendenze del Consiglio dei Ministri. Trentatré miliardi sono stati finanziati dalla legge finanziaria ’88, l’organico è stato portato a 128 unità, un nuovo impulso è stato impresso alla redazione della carta geologica in scala al 50.000. E’ pronto il progetto per il consolidamento e la ristrutturazione della sede di Largo Susanna. Tra gli anni settanta e ottanta l’edificio rappresentò un autentico pericolo per l’incolumità di chi ci lavorava, a causa di gravi dissesti statici: minacciava di crollare la sede che ospitava il servizio preposto alla prevenzione del collasso idrogeologico nazionale. (A.C.1991)

Per gentile concessione dell'Archivio Cederna www.archiviocederna.it

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