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Paolo Baldeschi
Sfrattati ormai romani ed etruschi, adesso si dovrebbe riflettere
6 Novembre 2011
Toscana
Il caso Laika, chiuso anche se malamente, suggerisce una riflessione...

Il caso Laika, chiuso anche se malamente, suggerisce una riflessione su quanto dichiarato dai protagonisti nel dibattito che ha preceduto la decisione finale del presidente Rossi. Tutti, sindacalisti, politici e in particolare la presidente della Confindustria toscana, hanno ribadito la necessità di uno sviluppo industriale sostenibile, rispettoso dell'ambiente; ma né industriali, né sindacati, né politici sono veramente entrati nel merito della questione. Non basta dire sviluppo rispettoso dell'ambiente e del paesaggio, bisogna dire quale sviluppo; né sembra credibile che gli orizzonti dello sviluppo industriale toscano possano essere inquadrati genericamente in un rilancio dell'industria manifatturiera, come più volte è stato ribadito dai presidenti di Regione Toscana e Confindustria (mi chiedo, fra l'altro, se questa categoria ottocentesca significhi ancora qualcosa nel ventunesimo secolo, o se convenga inventare altri termini, che indichino come protagonisti i talenti e i cervelli oltre che le mani). L'impressione è che ancora si proceda a forza di slogan, forse utili nella polemica, ma poco costruttivi in prospettiva. Sarebbe, invece, opportuno esaminare alcuni possibili scenari produttivi e stabilire a quali condizioni possano coniugarsi con ambiente e paesaggio. Ne indico alcuni, come emergono dagli studi dell'Irpet e da vari documenti della Regione.

Il primo è il rilancio dell'industria tradizionale, che si esprime tipicamente nel distretto. Questa potrà sopravvivere solo ricollocandosi in produzioni di alta qualità, incorporando innovazione tecnologica e di mercato e a patto di avere dimensioni e spalle finanziarie; quindi, buona parte dell'industria tradizionale soffrirà di una crisi irreversibile.

Una seconda opzione è costituita da attività produttive che potrebbero insediarsi in Toscana attratte da alcuni vantaggi territoriali, comprese quelle di immagine, di 'brand'. Ben vengano, soprattutto se operano in settori avanzati, ma a condizione che non pretendano varianti ad hoc degli strumenti urbanistici; meglio ancora se utilizzeranno (in qualche caso ciò accade) edifici rurali o dismessi. Fattore di attrattività e allo stesso tempo, difesa rispetto a la scelta casuale dei siti, è la capacità da parte delle amministrazioni locali di offrire aree ben attrezzate, accoglienti ecologicamente ed esteticamente valide; ciò che richiede un coordinamento fra i diversi comuni gravitanti in una stessa zona economica, essendo impossibile che ognuno si costruisca o riconverta la propria area industriale in concorrenza con gli altri.

Una terza opzione, è lo sviluppo di una piattaforma logistica fatta di infrastrutture pesanti. Senza nulla togliere alla necessità di integrare i vari pezzi del sistema logistico toscano con porti e poli produttivi, pensare che questa sia la strada maestra per la modernizzazione dell'apparato produttivo regionale deve fare i conti con la necessità di raggiungere livelli di efficienza e competitività pari a quelli tedeschi, francesi o olandesi; un obiettivo difficile, se non impossibile, sia per mancanza di risorse finanziarie, sia perché la Toscana rimarrebbe comunque un appendice del sistema europeo. Inoltre, questa opzione va contro ai caratteri specifici del nostro paesaggio che ne costituiscono un fondamentale fattore concorrenziale, perché inevitabilmente impatta violentemente sul territorio. In parte collegata alla precedente vi è la questione delle grandi aree industriali localizzate sulla costa, dismesse o in crisi; che, tuttavia non possono essere trasformate, come alcuni vorrebbero, in case, alberghi e centri commerciali; una possibilità sarebbe la loro riconversione in parchi tecnologici (declinazione sostenibile della piattaforma logistica) da supportare con mirati investimenti infrastrutturali; una strada, tuttavia, che anch'essa chiede risorse e tempo. Queste e altre possibilità, compresi punti di forza e di debolezza, dovrebbero essere discusse e in questo contesto si potrebbe parlare concretamente di sviluppo in rapporto ad ambiente e paesaggio e dei limiti di un loro 'rispetto' declinato essenzialmente in termini di mitigazione, al meglio di sostenibilità intesa come 'carrying capacity'.

Per chi ne ha le chances (e la Toscana forse ne ha più che ogni altra regione al mondo) ambiente e paesaggio dovrebbero essere, al contrario, ingredienti costitutivi di uno sviluppo durevole, fattori essenziali di modernizzazione e competitività, non esternalità da mitigare e compensare a posteriori. L'orizzonte industriale da perseguire dovrebbe, perciò, essere basato sulla conoscenza, le tecnologie avanzate, la ricerca, i servizi di information technology, il know-how. Attività 'amenity oriented', che fanno della qualità dell'ambiente e del paesaggio un requisito essenziale di attrattività: per frenare, oltretutto, la fuga dei giovani laureati e dei ricercatori, che, secondo le stime di Confindustria, costa all'Italia più di un miliardo di euro all'anno.

Senza nulla togliere alle giuste rivendicazioni degli operai che, tuttavia, riguardano il 'qui e ora', è quindi il momento di aprire sul tema 'sviluppo, ambiente, paesaggio' un confronto aperto e senza pregiudizi: forse da questo potrebbe nascere una collaborazione per una Toscana più moderna e virtuosa e meno legata a produzioni obsolete, fra cui spicca l'edilizia delle seconde e terze case. Con un'ultima postilla: non si può non essere d'accordo con il presidente della Confindustria toscana, quando dice che le regole, quando ci sono, devono essere rispettate. Ed è vero che un'economia moderna non può crescere nell'anarchia; perciò, si presume, d'ora in poi l'associazione degli industriali stigmatizzerà la diffusa violazione di leggi e piani da parte di molti Comuni toscani, in stretta collaborazione con un mondo imprenditoriale che guarda più alla rendita che al profitto.

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