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Daniele Martini
L’inossidabile re degli affari veneziani
30 Agosto 2011
Poteri forti
Uno come altri, all’ombra dei soldi pubblici. «Baita, il big del mattone passato dalla Prima alla Seconda Repubblica. Il Fatto Quotidiano, 27 ago. 2011

Quando si dice che tra la Prima e la Seconda Repubblica per gli affari di appalti e mattoni sono più le somiglianze che le differenze… Prendete, per esempio, Piergiorgio Baita. Chi è Baita? Un emerito sconosciuto per il grande pubblico, anche se non per i veneziani e gli esperti del settore delle costruzioni; ma soprattutto un caso da manuale di “continuismo mattonaro”. A Venezia anche l’ultimo dei gondolieri conosce Baita perché quel nome significa impresa Mantovani, cioè edilizia, cioè appalti pubblici, cioè grandi opere, cioè Mose, quel grandioso quanto contestato sistema di dighe mobili che dovrebbe salvare la laguna dall’acqua alta. Per i cultori del mattone, invece, Baita è una delle stelle più luminose del firmamento perché nella graduatoria delle imprese più grosse la sua Mantovani è tra le prime venti.

Esattamente 19 anni fa, piena era Tangentopoli, lo rinchiusero nel carcere di Venezia e poi gli concessero i domiciliari al termine di un interrogatorio durante il quale un altro indagato suo pari, Giorgio Casadei, il portaborse dell’allora ministro e deputato socialista Gianni De Michelis, tenne duro senza aprire bocca, e invece lui, Baita, aprì le cateratte illustrando, come scrissero i giornali di allora, “le logiche di spartizione tra Dc e Psi”.

Il pubblico ministero Ivano Nelson Salvarani riconobbe il suo prezioso apporto: “Ora abbiamo un ampio quadro del contesto politico istituzionale in cui operano Baita e le imprese a Venezia”, dichiarò. Baita non parlava a spanne, le cose che raccontava erano precise perché conosceva bene il sistema dal di dentro. A quei tempi era una quarantenne promessa, direttore del Consorzio Venezia Disinquinamento, concessionario unico dei lavori per la pulizia della laguna. Due anni più tardi, Baita uscì indenne dal processo. I magistrati giudicarono invece colpevoli 7 tra amministratori, manager e politici che con Baita avevano lavorato spalla a spalla. Tra questi Casadei e Franco Ferlin, il portaborse dell’ex ministro democristiano Carlo Bernini, e ancora il presidente democristiano della giunta veneta, Gianfranco Cremonese.

Uno si sarebbe aspettato che dopo una vicenda del genere, Baita avesse rinunciato agli affari edili e agli appalti dicendo addio al mattone, magari per rifarsi un nome, una vita e una carriera in qualche altro campo. Neanche per sogno: dopo aver capito che il passaggio in cella non era un episodio di cui vergognarsi, ma anzi faceva curriculum con i nuovi potenti, si rituffò nel business delle costruzioni gomito a gomito con le aziende e le amministrazioni pubbliche. Quanto e più di prima. C’è da meravigliarsi che a distanza di un ventennio, a 63 anni suonati, il suo nome rispunti in affari border line, questa volta in Sardegna?

La storia è quella del contestato ripascimento del litorale di Poetto, la spiaggia dei cagliaritani, un affare che, secondo una sentenza di primo grado della Corte dei conti, avrebbe procurato alle casse pubbliche un danno di 4,8 milioni di euro. I lavori furono eseguiti nel 2002 da un’associazione di imprese guidate da Baita in qualità di presidente della Mantovani, non a regola d’arte secondo l’accusa. Due anni fa politici e manager coinvolti nella faccenda tirarono un sospiro di sollievo grazie alla prescrizione che sbianchettava i reati contestati e di recente sono stati di nuovo gratificati da una sentenza favorevole della Cassazione. Baita compreso, naturalmente, che per la seconda volta riesce a sfilarsi dai guai e a proseguire imperterrito in una carriera costellata di allori.

Giancarlo Galan, per esempio, politico dell’inner circle berlusconiano, per un quindicennio governatore del Veneto e ora ministro dei Beni culturali, nutre nei confronti di Baita un’ammirazione profonda. Nel libro-intervista dal sobrio titolo Il nordest sono io, scritto da Paolo Possamai, Galan riconosce a Baita un merito storico: “Mi ha spiegato che cos’è il project financing”. Baita ha contraccambiato il complimento nell’autunno del 2009 quando insieme ad altri 11 imprenditori di primissimo piano del Veneto accolse con tutti gli onori Berlusconi in visita e colse l’occasione per tessere davanti a lui le lodi del Gran governatore.

Per il project financing poi, dopo averlo spiegato, Baita lo ha messo in pratica con Galan. Un gruppo di aziende guidate dalla Mantovani ha tirato fuori circa 300 milioni per costruire l’ospedale di Mestre e ora lo gestisce con una società, Veneta sanitaria, di cui Baita è vicepresidente. Ma è il Mose, le paratie della laguna, l’opera epica di Baita e del Consorzio Venezia Nuova (Cnv) di cui la Mantovani è azionista di riferimento. Come vent’anni prima con il Consorzio Venezia Disinquinamento, il Consorzio Venezia Nuova è concessionario unico dell’opera. “Un caso singolare” come lo definisce Felice Casson, un tempo magistrato proprio a Venezia e ora senatore Pd.

Baita non se ne cura. A un giornalista che gli faceva notare che la Mantovani ha in pratica il monopolio delle opere pubbliche in laguna, ha risposto sornione che niente vieta agli altri di farsi avanti. Nel frattempo ha collezionato la bellezza di 72 incarichi, presidente, vicepresidente, amministratore delegato, consigliere in 40 società diverse, in prevalenza consorzi. Più altre tre: consigliere del Passante di Mestre e consigliere e vicepresidente della Nuova Romea, poltrone che secondo le visure camerali sono occupate da un Piergiorgio Baita con lo stesso indirizzo di residenza e la stessa data di nascita, ma con un codice fiscale diverso. Chissà perché.

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