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Il bluff del Colosseo
5 Aprile 2011
Beni culturali
Dietro la vicenda dei restauri al nostro monumento icona, il disfacimento politico e ammnistrativo del Mibac. Un articolo e un’intervista a La Regina su Il Messaggero, 4 aprile 2011 (m.p.g.)

Colosseo ai privati, è polemica sul restauro

Claudio Marincola

Doveva essere «la fine di un incubo». Il contratto finalmente portato a casa per tirare a lucido il Colosseo, e metterlo al riparo dalle intemperie, almeno per il prossimo quarto di secolo. Un modello di sponsorizzazione da seguire anche per il futuro. E, invece, l'accordo con l'imprenditore Diego Della Valle sta diventando un "caso". I dubbi innescati dall'ex assessore capitolino alla Cultura Umberto Croppi alimentano nuove polemiche. Possibile che il sindaco Alemanno abbia concesso, come scriveva ieri Il Fatto Quotidiano, ad un privato l'esclusiva sul monumento? E per di più per la durata di cinque lustri? Il Campidoglio nega. «Tutto è stato fatto nella massima trasparenza, gestito dai massimi vertici dei Beni culturali - garantisce Alemanno - ci abbiamo messo quasi un anno a perfezionare la procedura». Ecco, appunto, il busillis sarebbe proprio questo: l'aspetto procedurale.

Il percorso che ha permesso al gruppo di Della Valle di avanzare diritti su una delle sette meraviglie del mondo in cambio di 25 milioni di euro. Il segretario della Uil Gianfranco Ceresoli ha messo in dubbio la legittimità dell'operazione. Ha presentato un esposto-denuncia alla Procura di Roma e alla Corte dei conti. Vuole mettere i bastoni tra le ruote al sindaco. Lo accusa di aver messo in atto«una dismissione del Colosseo», senza «un qualsiasi parere del Comitato tecnico scientifico dei Beni Archeologici». E Alemanno? Il primo cittadino avverte: «Nessuno si inventi fantasie che possano essere da ostacolo». E rivendica «un restauro che Roma attende da almeno 30 anni». In quanto al ricorso «tutti hanno diritto di presentarli, ma non se ne comprende la ratio». Tra qualche giorno, ha assicurato il sindaco della Capitale, la convenzione verrà pubblicata sul sito internet del Mibac e tutti potranno prenderne visione» I passaggi più delicati verranno riesaminati. A cominciare dal progetto iniziale, quando Della Valle si propose come capofila di una cordata e mise sul piatto 2 milioni di euro contro i 34 che secondo i calcoli sarebbero serviti per il maquillage del monumento. Tra intermittenze varie e nuovi contatti si ritenne che sarebbe stata necessaria una gara di evidenza pubblica. Si arrivò così al bando e venne richiesto di indicare anche le ditte che avrebbero effettuato i lavori di restauro.

Quest'ultimo aspetto, tutt'altro che marginale, non piacque, a quanto pare, al signor Tod's che scelse di non partecipare, e la gara andò deserta. Quello che è successo dopo è cosa nota. Il patron della Fiorentina stipulò un accordo direttamente con il Commissario straordinario Roberto Cerchi. Poteva farlo? Sì. Ma «è singolare», sostiene Cerasoli «che il Commissario delegato abbia impegnato la Soprintendenza per un periodo che supera largamente il proprio mandato» La questione è venuta fuori in tutta evidenza quando si è scoperto che l'Anfiteatro Flavio non era più tra le disponibilità esclusive dei Beni culturali. Assurdo ma vero. O almeno pare. Se è vero che la Volkswagen per lanciare un nuovo modello ne aveva richiesto l'utilizzo ricevendo la risposta che il permesso andava richiesto all'imprenditore della Tod's. Come se ormai le chiavi le avesse lui, Diego Della Valle. La Uil ora chiede al neo ministro Galan di «rinegoziare l'accordo». Lancia frasi incendiarie, parla di uno «Stato che di fatto ha venduto il Colosseo». Parole che riportano tutti nell'arena. Non solo i politici ma anche il mancato sponsor Volkswagen contro la Tod's SpA. Scarpe contro auto.

Per il sottosegretario ai Beni culturali Francesco Giro siamo di fronte «ad una guerra dichiarata contro un'azienda italiana», la cui unica colpa è «aver compreso che legare il nome al monumento era strategico e redditizio». Ma è lo stesso Giro qualche rigo più giù a far capire che la procedura di assegnazione non si è completata. E che dunque sull'immagine del monumento più caro ai romani non è detta l'ultima parola, «l'intero Piano di comunicazione predisposto dalla Tod's» che dovrà ricevere entro 30 giorni «i rilievi scritti del commissario e del Ministero. Dubbi che si autoalimentano e dubbi espressi con riserva.

Per Salvatore Settis, ex presidente del Consiglio superiore dei Beni culturali si tratta di «una situazione da correggere, anche «se non ho ancora visto i documenti». Particolare non da poco. Il destino del Colosseo sta a cuore a tutti. Tutelarne la conservazione o l'immagine? Il Pd chiede rassicurazioni al ministro Galan, si fa rilevare «che questo accordo ancora non esiste». Il segretario romano del partito Marco Miccoli «trema per il futuro» dell'Anfiteatro. Il senatore dell'Idv Stefano Pedica prima ringrazia Croppi «per aver sollevato il caso». Poi chiede al sindaco Alemanno di dimostrare «carte alla mano», «se c'è o meno un investimento reale da parte dell'imprenditore Della Valle». L'ultima frecciata è per Giro «diventato il portavoce del sindaco». Anche il capogruppo Udc in Campidoglio Alessandro Onorato chiede lumi. «Non vorremmo - dice - che il dottor Della Valle si trasformi da generoso mecenate in un imprenditore che fa l'affare della vita». E dopo la Volkswagen, anche Woody Allen potrebbe bussare alle cancellate del Colosseo per le riprese. A chi dovrà chiedere il permesso?

La Regina: «Il mecenatismo non può trasformarsi in spot»

Mauro Evangelisti

«A una grande azienda dovrebbe bastare il lustro conseguito dal finanziare dei restauri di un monumento come il Colosseo. Oltre non bisogna andare». Adriano La Regina è presidente dell'Istituto nazionale di Archeologia e storia dell'arte, in passato fu lo storico sovrintendente ai Beni archeologici della Capitale con un impegno caratterizzato dal rigore che gli valse il soprannome di "signor no". Che idea si è fatto del dibattito che si è innescato sull'intesa con Della Valle? «Voglio essere chiaro. Non conosco nel dettaglio il contenuto dell'intesa. Ma una cosa è certa: non è sbagliato di per sé il ruolo dei privati nel restauro di un monumento, ma le cose vanno fatte nei dovuti modi. In fondo anche papa Pio VII s'impegnò in questo senso, ma c'è una semplice targa a ricordarlo, nulla di più». Quale dovrebbe essere allora il punto di equilibrio nella collaborazione fra il Ministero dei Beni culturali e uno sponsor privato disponibile a spendere 25 milioni di euro per il restauro del Colosseo? «Dobbiamo partire da un dato: un intervento così importante, che ti fa conoscere in tutto il mondo, non deve avere altro in cambio se non il lustro. Comportarsi in modo differente significherebbe svilire il Colosseo e quindi l'importanza dell'investimento. Utilizzare in modo sbagliato la sua immagine ne intacca il valore che invece va tutelato. E' evidente. Per questo bisogna essere attenti. Non voglio criticare, però è come avviene per certe stupende canzoni del passato: sono molto belle, ma vengono utilizzate con insistenza negli spot pubblicitari e si sviliscono». Qual è il modello da seguire, visto che comunque i soldi dei privati sono necessari? «Guardiamo a ciò che fu fatto vent'anni fa, quando l'allora Banca di Roma s'impegnò, per i lavori al Colosseo, per venti miliardi. Se si tiene conto dell'inflazione, è una cifra più alta di quella di cui si parla oggi. Anzi, se non sbaglio, ci sono ancora tre milioni di euro da spendere. Bene, la banca in cambio non chiese nulla, fu un atto di liberalità, perché già è sufficiente il prestigio che deriva da una operazione di questo tipo. Al controllo di un monumento come il Colosseo non si può abdicare».

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