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Roberto Bianchin
Acqua granda sul Nordest scriteriato
28 Dicembre 2010
Veneto
Mentre la Regione e i maggiori comuni (a partire dal capoluogo) proseguono la cementificazione, continuano a levarsi allarmi per le conseguenze del malgoverno del territorio. La Nuova Venezia, 28 dicembre 2010

Nelle immagini dell’«acqua granda» tornata prepotente per Natale, che stanno facendo il giro del mondo, si vede sempre e solo la piscina di piazza San Marco. Mai Musile o Bovolenta. Per certi versi è logico. Musile e Bovolenta non le conoscono nel mondo. Eppure il nuovo incubo dell’alluvione sta colpendo al cuore soprattutto la terraferma. Quella veneziana, quella veneta, quella nordestina. E sta facendo molti più danni, danni seri, danni veri, di quanti non ne faccia nella città che fu dei dogi. Al punto da far pensare che una nuova Legge Speciale, ammesso che serva, sia più necessaria per il Veneto, e per l’intero Nordest, che per la città Serenissima.

Colpa dell’abbandono in cui è stato colpevolmente lasciato da decenni il territorio. Della mancanza della più elementare manutenzione ordinaria. Dell’assenza di interventi sui fiumi e sui canali, sugli argini e sulle rive, nei fossi e nelle rogge, nel sottosuolo e sulle montagne. Colpa della scriteriata cementificazione di ogni metro quadro disponibile in nome della più brutale avidità. Colpa della dissennata costruzione di casette, villette, villaggetti, fabbrichette, capannoni e ipermercati dappertutto, anche in zone considerate a rischio, lungo le sponde e sotto gli argini, dove un minimo di buon senso avrebbe consigliato quantomeno prudenza.

Gli alluvionati dell’entroterra pagano così lustri di dissesto e di voracità dei loro governanti, ma anche loro proprie. E non è un fenomeno nuovo. Anzi si può dire, come per il ritorno dell’«acqua granda», che si tratti di una recidiva.

Quarantaquattro anni fa, al tempo dell’alluvione di Venezia del 4 novembre 1966, proprio quello spettro che oggi si riaffaccia minaccioso, quando la devastazione del territorio era solo iniziata e non ancora come oggi compiuta, successe esattamente la stessa cosa. Rimase sottotraccia nell’opinione pubblica, sconvolta ed emozionata dal dramma di città d’arte famose come Venezia e come Firenze, ma successe. E il bilancio reale, non quello mediatico, fu molto più devastante nelle città, nei paesi e nelle campagne dell’entroterra, che tra le antiche e preziose pietre di Venezia.

Il capoluogo lagunare ebbe 14 mila alluvionati, mille senzatetto, 4 morti e 40 miliardi di danni calcolati nelle vecchie lire dell’epoca. Delle quattro vittime va detto che nessuna di loro perì travolta dalle onde dell’«acqua granda». Morirono per infarto o per essere scivolati dalle scale. Nelle Tre Venezie, invece, come veniva chiamato a quel tempo il Nordest, i morti furono 78, e quasi tutti portati via dalle acque infuriate. I sinistrati furono 180 mila, i senzatetto 3 mila, i miliardi di danni 400. Venti volte le vittime e dieci volte gli alluvionati e i danni di Venezia. Si parlò molto meno del disastro della terraferma. Ma tra il Veneto, il Friuli-Venezia Giulia e il Trentino-Alto Adige i comuni colpiti dall’alluvione furono 429. Ma il mondo guardò solo alla bella Venezia e alla romantica Firenze. Solo per loro si mosse la solidarietà internazionale, solo per loro si attivarono i governi, solo per loro si pensò di stanziare dei fondi.

Del dramma di quelle campagne allagate e annegate non si occupò nessuno. Non importava a nessuno di Musile o Bovolenta. Non se ne occuparono e non se ne sono più occupati, nei quarantaquattro anni che sono passati da quel giorno, se non per devastarle e per riempirle di cemento. Ora non è la natura che si ribella, e diventa all’improvviso cattiva. Non c’è alcuna fatalità in tutto questo. E’ che bastano quattro gocce di pioggia per ferire a morte una terra che è diventata fragile, perché violentata e abbandonata indifesa. Con il rischio che, adesso che torna inquietante quell’incubo, i danni di una nuova, eventuale alluvione, siano molto più devastanti di allora.

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