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Francesco Erbani
"Così liberammo il Colosseo accerchiato dalle macchine"
20 Dicembre 2010
Roma
Nell’intervista ad Italo Insolera i ricordi del progetto Fori: l’unico efficace per restituire dignità e salvaguardia al Colosseo. Da la Repubblica, 20 dicembre 2010 (m.p.g.)

L’urbanista Italo Insolera è stato fra i protagonisti di quel movimento di intellettuali e di politici che portò al primo esperimento, trent’anni fa, dell’isola pedonale intorno al Colosseo. «La scelta del sindaco Luigi Petroselli fu presa dopo l’allarme lanciato dalla Soprintendenza sui danni che i gas delle macchine arrecavano al Colosseo e all’Arco di Costantino. Ma per noi – oltre a me, Leonardo Benevolo, Adriano La Regina, Antonio Cederna e altri ancora – quella chiusura era il primo passo in vista di una chiusura totale di tutta l’area archeologica romana. Avevamo in mente una soluzione urbanistica, non solo a salvaguardia del patrimonio storico-artistico».

Dunque un’isola pedonale risponde a esigenze più ampie?

«Certamente. Il primo progetto per realizzare un’area archeologica dall’inizio dell’Appia antica fino a Piazza Venezia risale al 1887. Non c’erano ancora le macchine, ma s’immaginava comunque di consegnare ai romani un grande spazio per passeggiare. Il Fascismo decise invece che da lì sarebbe partito il grande stradone che portava al mare, l’attuale via Cristoforo Colombo. Ma quando riprendemmo il progetto di pedonalizzazione la nostra idea era di impedire alle macchine di raggiungere piazza Venezia e di realizzare un profondo cuneo di verde e di storia antica».

Quel progetto si arenò?

«Sì. Rimase solo la pedonalizzazione intorno al Colosseo, ma la rimozione della via dei Fori Imperiali fu cancellata. Si è realizzato meno di un decimo di quel che si immaginava nel 1887».

Ma quanto serve, in generale, un’isola pedonale?

«Produce molti effetti sulla vita delle persone. Basta dare uno sguardo alle piazze sottratte alle macchine: sono piene di gente, sono spazi di convivenza. Il punto è che ce ne sono molto pochi perché non c’è sufficiente attenzione alla dimensione pubblica della città. Laddove questa è elevata gli effetti sono vistosi. Ogni quartiere dovrebbe avere le sue piccole isole pedonali, ma purtroppo non è fra le priorità di molte amministrazioni italiane».

Nella sua esperienza di urbanista ci sono anche isole pedonali?

«Sì, numerose. Ma una delle più significative è quella che abbiamo realizzato a Lucca: un’isola pedonale a tempo, nelle strade che i bambini percorrevano quando andavano o uscivano da scuola».

In Europa non ci sono solo isole, ma interi quartieri pedonali.

«Da noi molto meno. Un quartiere romano che potrebbe fare a meno delle macchine è la Garbatella. E poi aree interamente pedonali si possono progettare nei nuovi quartieri, evitando che lo spazio pubblico sia ridotto a centro commerciale».

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