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Edoardo Salzano
20101127 Padova, Pra' della Valle. Che fare
26 Novembre 2011
Interventi e relazioni
Perchè e come contrastare un progetto sbagliato e ripristinare il valore di un’area decisiva per la città, relazione a un convegno a Padova, 27 novembre 2010

Il convegno “Prato della Valle. Dal restauro del monumento alla rivalutazione dell’area”, , è stato organizzzato dale associazioni Amissi del Piovego, Comitato Memmo, Italia Nostra, Lega Ambiente di Padova, e si è svolto all’Accademia galileiana il 27 novembre 2010. Qui il link al dossier presentato da Sergio Lironi, Legambiente di Padova

Quattro passi per Pra’ della Valle

“Dal restauro del monumento alla rivalutazione dell’area”: questo è il tema del nostro incontro, e l’obiettivo al quale miriamo. Un obiettivo che ci sembra del tutto ragionevole. Esso può essere articolato in quattro proposizioni.

1. Vogliamo che la città riconosca il gioiello che ne caratterizza l’identità, il Prato della Valle, assumendolo come il suo bene più prezioso.

2. Vogliamo che la città – i suoi cittadini – prenda atto del degrado che caratterizza oggi questo bene.

3. Vogliamo che, sulla base di questo riconoscimento e di questa presa d’atto, la città, i cittadini, i loro attuali governanti assumano quale loro impegno prioritario il restauro di quel bene.

4. Vogliamo, infine, che questi tre primi passi – il riconoscimento, la presa d’atto, il restauro – siano considerati e costruiti come l’avvio di una rivalutazione dell’intera area centrale della città, e del territorio di cui essa è parte.

Gli interventi che seguiranno il mio argomenteranno, con rigore e con passione, le quattro proposizioni che ho formulato. Essi riveleranno anche quale sia l’ingombrante ostacolo che si frappone al raggiungimento del nostro obiettivo: la presenta di un devastante progetto di “valorizzazione” dell’area gravitante su Pra’ della Valle: un progetto che ha il suo nocciolo duro sulla realizzazione di un parcheggio interrato nell’area del Foro Boario, da realizzare con la formula del project financing. Una formula che – soprattutto nella sua declinazione italiana – mette nelle mani degli interessi privati le decisioni e i vantaggi del destino della città.

Due vizi dei governanti

Come si afferma nel dossier elaborato da Sergio Lironi e Lorenzo Cabrelle quel progetto rivela due gravi vizi che, nei trent’anni che sono alle nostre spalle, caratterizzano il modo in cui il decisore pubblico interviene sulla città. Chi ci governa (non solo a Padova, in quasi tutte le città italiane) è mosso da due preoccupazioni che annebbiano ogni altra esigenza, ragionamento, ricerca:

- dimostrare di essere iscritti a quel “partito del fare”, che ha oggi nel Presidente del consiglio dei ministri il suo più autorevole esponente;

- “lasciare il segno”, conferire visibilità al proprio operato mediante la realizzazione di opere “innovative” – chissà perchè sempre cementizie.

Per chi è delegato dagli elettori a governare, il fare è certamente importante. Ma ancora più importate è che, prima del fare, ci sia stato il pensare, il riflettere, il ragionare. Ancora più importante è che – quando il fare comporta trasformazioni irreversibili dell’assetto e l’oganizzazione della città, qundo il gfare qualcosa di nuovo comporta la cancellazione di qualcosa che c’era – si sappia dimostrare che ciò che si fa di nuovo è meglio di ciò che c’era prima.

Questa dimostrazione, questa testimonianza di aver pensato, non c’è: non è stata riconosciuta da quanti hanno studiato, con serietà e rigore, le proposte avanzate. La realizzazione del progetto a Piazza Isak Rabin è fortemente peggiorativo non solo dell’area di Pra’ della Valle, ma dell’intero assetto attuale e futuro della città.

Il segno che gli amministratori lasceranno – ad esaminare con attenzione gli atti della proposta – è costituito da molti elementi negativi:

- la rinuncia a ripristinare un corretto rapporto tra la terra e l’acqua nell’area centrale di Padova,

- l’aggravemento della situazione di degrado dell’Isola Memmia,

’ulteriore peggioramento della situazione del traffico (e quindi del’inquinamento e dello spreco energetico) con l’incentivo alla motorizzazione privata: il cancro che corrode la città,

- la subordinazione degli interventi, anche futuri, di organizzazione della mobilità agli interessi economici degli investitori privati.

Che cosa c’è dietro

Tornerò poi, seppur brevemente, sulle questioni relative all’area del Pra’ della Valle. Ma vorrei prima inquadrare la questione in un contesto più generale. Anche perchè non credo affatto che Padova abbia oggi amministratori particolarmente perversi o incapaci. Credo che gli atteggiamenti e i comportamenti, i progetti e le azioni siano sempre il portato di un modo di pensare la città, e quindi di agire su di essa. Sono convinto insomma che le azioni nascano sempre da un pensiero, da un modo di vedere e affrontare le questioni che è tale da indurre chi agisce a vedere certe cose e ignorarne altre, a considerare prioritarie certe esigenze e a sacrificarne altre.

Oggi prevale un modo nuovo – rispetto a qualche decina d’anni fa – di pensare la città, e quindi di agire su di essa.

Oggi la città non è pensata come la “casa della societa”: come un luogo nel quale una parte dell’umanità abita, lavora, incontra, ama, gioisce, si nutre e si riposa, si cura e si diverte. Ciascuno con le sue esigenze e I suoi mezzi, ciascuno titolare di diritti magari non da tutti ugualmente esercitabili, ma tutti ugualmente meritevoli di considerazione.

Oggi la città è pensata come uno strumento economico, finalizzato ad acrescere una ricchezza che non è di tutti, e che è costituita da uno solo degli elementi di cui è costituita la riccheza di una nazione – o di un popolo, o di una società: la ricchezza misurata in termini economici.

La città è considerate, dal pensiero comune, come uno strumento da impiegare per accrescere il Prodotto interno lordo: quell PIL – vero feticcio della religione corrente – che, come diceva Robert Kennedy,

«mette in conto l’inquinamento dell’aria e la pubblicità delle sigarette, e le ambulanze necessarie per ripulire le nostre strade dalle carneficine. Mette in conto le serrature speciali per le nostre porte e le carceri per le persone che le infrangono. Mette in conto la distruzione dei boschi sempreverdi e la perdita delle nostre meraviglie naturali nel caotico sprawl. Mette in conto il napalm e le testate nucleari e i carri armati che la polizia usa per combattere le rivolte nelle nostre città. Mette in conto i fucili Whitman’s e i coltelli Speck’s, e i programmi della televisione che glorificano la violenza per vendere giocattoli ai nostri bambini».

Quel Prodotto Interno Lordo, prosegue l’invettiva di Robert Kennedy, che

« non mette in conto la salute dei nostri bambini, la qualità della loro educazione o la gioia dei loro giochi. Non comprende la bellezza della nostra poesia o la solidità delle nostre famiglie, l’intelligenza dei nostri dibattiti e l’integrità dei nostri funzionari pubblici. Non misura né la nostra intelligenza né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né il nostro sapere, né la nostra compassione né la nostra dedizione al nostro paese. In sintesi, misura tutto, fuorché quello rende la vita degna d’essere vissuta».

La rendita: “componente parassitaria del reddito”

Ora si dà il caso che la ricchezza economica della città (cioè la somma del denaro che percepiscono i suoi operatori economici) oggi è in gran parte costituita dalle rendite, e in particolare dalla rendita immobiliare, cui si aggiungono dalla rendite costituite dalla gestione monopolistica dei servizi urbani (come i parcheggi, o come la gestione dei servizi ospedalieri realizzati con il project financing).

Non dimentichiamo che la rendita è quella che gli economisti liberali defnivano “la componente parassitaria del reddito”:non è il compenso di un’attività svolta, ma solo la remunerazione del privilegio proprietario.

Non dimentichiamo che la rendita è prodotta dalle decisioni e dagli investimenti della collettività, ed è percepita dai proprietari immobiliari.

In Italia la rendite urbane crescono in misura incredibile. Ciò ha provocato il degrado delle città e la loro crescente invivibilità. Ha indotto i grandi gruppi industriali (la Fiat, la Pirelli, la Benetton, per non citare che le più grosse) a investire nel mattone e nei monopoli pubblici anziché nell’innovazione e nella ricerca, nel miglioramento della competitività dell’industria manifatturiera.

Trent’anni fa la rendita immobiliare era un avversario che non solo gli urbanisti, ma anche gli amministratori e i politici di un arco di forza vasto si sforzavano di combattere, di contenere. Oggi è consideratail motore dello sviluppo. Di quello sviluppo della ricchezza cartacea, della ricchezza volatile, che ha portato il mondo a una crisi dalla quale non si vede uscita.

Il saccheggio e la sua strategia

Ciò che accade alle città è sua volta parte di un contesto più ampio. Un contesto caratterizzato da un obiettivo sistematicamente perseguito da chi ha oggi il maggior potere: il sistema economico del capitalismo globalizzato.

L’obiettivo è far sì che di ogni bene, materiale o immateriale, che possa essere oggetto di lucro, sia trasferito dall’appartenenza pubblica, o collettiva, o comune a quella di singoli soggetti privati, e possa dare un reddito a chi se ne impossessa.

Per raggiungere quest’obiettivo le componenti della strategia sono chiare.

Bisogna inculcare l’idea che unica scienza valida è l’Economia: quella economia, che ha nel Mercato lo strumento supremo, e nella crescita del PIL l’unico termometro capace di misurare il valore delle cose.

Bisogna negare l’esistenza di beni non riducibili a merci, perchè se ogni cosa è “merce”, ogni cosa è soggetta al calcolo economico, e il mercato diventa la dimensione esclusiva delle scelte.

Bisogna abolire qualunque regola che possa introdurre criteri e comportare decisioni diverse da quelle che il mercato compie.

I beni che si vogliono ridurre a merci, i “comuni” che si vogliono privatizzare li conosciamo della nostra esperienza:

- Il suolo, che deve avere quale unica utilizzazione quella più lucrosa per il proprietario (cui non chiede né lavoro, né imprenditività, nè rischio): l’edilizia.

- Gli immobili pubblici, aree o edifici che siano (le prime saranno trasformate anch’esse in edilizia) che devono diventare privati ed essere adibiti a funzioni lucrose.

- I servizi pubblici, come l’università e la sanità, ridotte ad “aziende” i cui frequentatori diventano “clienti”, e non più studenti o pazienti

- Gli elementi del paesaggio la cui privatizzazione può arricchire i proprietari, come le coste e le spiagge, i boschi, e le stesse aree di maggiore qualità per i lasciti della storia.

- I beni culturali: non a caso si sceglie un esperto della vendita delle polpette come massimo dirigente del ministero della cultura.

- Perfino l’acqua deve essere gestita secondo modelli che la trasformino in possibilità di lucro e la sottomettano alla gestione privata.

Che fare?

E’ possible reagire a questa strategia, e alle trasformazioni che essa induce nel territorio e nella città, nei nostri pensieri e nelle nostre vite? Io credo di si, e questa stessa iniziativa ne dà testimonianza.

E’ lo stesso disagio provocato dal saccheggio che provoca resistenze e reazioni. In mille parti d’Italia si sviluppano iniziative e nascono comitati, movimenti, gruppi di volontariato e gruppi di cittadinanza attiva, o si rafforzano asociazioni che operano da tempo a livello nazionale o locale: come quelle che hanno promosso e organizato questa iniziativa. Dovunque essi cercano l’incontro tra cittadini ed esperti, perchè non vogliono limitarsi a contrastare, vogliono comprendere perchè quell’iniziativa, quel progetto sono nati, e vogliono contrastarli anche proponendo alternative giuste.

Si dice spesso che le iniziative che nascono dal basso si limitano a pronunciare dei NO, e con questo si tenta di screditarli dinnanzi all’opinione pubblica (che in genere viene tenuta all’oscuro delle ragioni delle proteste). Ora è chiaro che per chi non ha il potere di fare (chi non ha uffici, competenze formali , informazioni, finanziamenti) difficilmente riesce a proporre alternative convincenti. Chi è piccolo e fuori dale istituzioni riesce difficilnemente a contrapporre la sua proposta a quell ache nasce dall’istiituzione e dal potere economico. Eppure, a volte ci riesce, come testimonia questa bellissima iniziativa alla quale mi avete invitato a partecipare.

Qui avete la forza di una proposta. Una proposta progettuale – un’idea di città e una proposta per l’area e il suo disegno – e un’idea culturale e politica – quali interessi privilegiare, quail priorità stabilire.

E mi sembra particolarmente interessante che il cuore della proposta sia il recupero della memoria: il restauro del Pra’ della Valle, la riapertura dell’Alicorno, il ricongiungimento dell’Isola Memmia al Parco dei bastioni e delle acque. Credo che la ricognizione attenta dei lasciti della storia, il loro recupero, la loro messa in valore (che non significa “valorizzazione” nel senso in cui questo termine viene usato nella logica economicista, sviluppista e immobiliarista), in vista della loro fruizione aperta a tutti, è il primo passo di ogni virtuosa politica del territorio e della città.

Solo comprendendo il passato possiamo valutare criticamente il presente e costruire un futuro migliore.

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