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Bruno Pastorino
“Piani casa”. Bilancio negativo, eppure vogliono peggiorare ancora
14 Novembre 2010
Scritti ricevuti
Indifferente alla ragionevolezza e all’interesse comune, c’è chi vuole proseguire nell’errore bipartisan del “piano casa”. Scritto per eddyburg

Sarebbero dunque appena poco più di 2 mila le domande inoltrate ai Comuni per ottenere gli ampliamenti di volume previsti dai cosiddetti piani casa. Più della metà nelle sole Veneto e Sardegna; regioni ahimè non sempre nella fascia d'eccellenza nelle politiche di tutela del territorio (è possibile dimenticare che Zaia ha dovuto aspettare le alluvioni per ammettere che la maggioranza delle campagne è stata divorata dai capannoni?).

Altrove, nel resto del Paese, quasi nulla. Un migliaio di richieste in tutto. Un'inezia per delle leggi che, stando ai loro proponenti, avrebbero dovuto rilanciare l'edilizia e sanare il disagio abitativo. Che chi cercava casa non avesse nessun miglioramento da quei provvedimenti era ovvio e, infatti, dodici mesi dopo, sono cresciuti gli sfratti (+17%; dati ministero interni) e con la prevista cancellazione del fondo affitti altre 400 mila famiglie si troveranno presto sulla strada. Meno scontato invece che questo robusto ricostituente risultasse vano su un comparto, quello edile, che continua a languire e a bruciare posti di lavoro.

Davvero però non si può dire, come fanno invece le associazioni datoriali di categoria, che il fallimento dei “piani casa” vada attribuito alla loro severità e ristrettezza. Basta andare a rileggere l'intesa stato-regioni del 31 marzo 2009 con cui venne dato il via libera a quei provvedimenti per scoprire quanto poi le regioni, legiferando, tennero in scarso conto i vincoli là contenuti. Se il protocollo Fitto-Errani prevedeva infatti che la normativa non superasse la vigenza di 18 mesi, fosse riferita ai soli edifici residenziali e comunque non superiori ai 1000 mc e autorizzasse ampliamenti non superiori al 20%; tali e tante furono le eccezioni poi contemplate nelle leggi approvate dal finire col riconoscere anche gli edifici condonati, quelli inseriti nei centri storici e nelle aree protette e di concedere, in certi casi, anche aumenti pari alla metà del volume originario!

Insomma, si è realizzato un complesso di leggi contradditorie unite solo dal comune denominatore di sospendere e umiliare gli strumenti urbanistici ordinari.

Avvilisce ora che di fronte a dati inconfutabili che attestano il fallimento di quei provvedimenti, molte regioni, anche rette da coalizioni di centro sinistra, anzichè accompagnare alla naturale scadenza i loro piani casa, immaginino di prorogarli abbassando ulteriormente i vincoli di tutela. Rischia di essere una gara alla deregulation, all'aggressione del territorio e al sostegno alla speculazione. Capita pertanto di ascoltare, in queste settimane, l'ipotesi di inserire nei “piani casa” anche gli edifici abusivi; di estendere i benefici agli immobili commerciali e industriali e financo la facoltà di abbattere e ricostruire anche in sito diverso edifici fino a 3.000 mc concedendogli per giunta un incremento del 35%!


È davvero impossibile assumere un altro punto di vista? È proprio proibito, anche qui, sfidare l'impresa sul piano della qualità, della ricerca e, finalmente, dell'utilità? Occorre davvero insistere nel ricordare che il problema casa nel nostro Paese non è affatto dato da un deficit di volumi, ma piuttosto dalla sua scadente qualità, dall'assoluta indifferenza alle sue caratteristiche energivore, dall'inesistenza di una politica di alloggi a basso costo? Insomma, si può almeno provare ad indicare il tema di città più belle, più giuste e più utili?
Chissà che non sarebbe un modo per provare già ad andare oltre Berlusconi.



Bruno Pastorino 
è Assessore alle politiche per la casa del Comune di Genova

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