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Vittorio Emiliani
Il crollo di Pompei fa il paio con un cedimento al Colosseo
7 Novembre 2010
Beni culturali
Il disastro della gestione Bondi si stava annunciando da tempo: su tutti i fronti. L’analisi su Il Tirreno, 7 novembre 2010 (m.p.g.)

Il crollo clamoroso a Pompei della Casa dei gladiatori fa il paio (in peggio) col cedimento, recente, di un soffitto dell’ambulacro centrale del Colosseo. Sono i due siti archeologici più visitati d’Italia. Li si vuole spremere per sempre maggiori incassi. Ma li si lascia deteriorare, non si avviano gli indispensabili restauri (25 milioni di euro per il Colosseo), non si fa nemmeno manutenzione ordinaria. Una politica suicida. Questi guasti ci dicono che l’intero ministero voluto nel 1975 da Spadolini si sta sfaldando. 1) per i tagli feroci di Tremonti a Soprintendenze già boccheggianti, con un ministro, Bondi, più occupato a tamponare le falle del Pdl che quelle del suo dicastero. 2) per una dissennata politica dirigenziale: da un lato si assume con un contratto principesco un direttore generale alla valorizzazione come Mario Resca (ex McDonald’s e Casinò di Campione) che poco sa del nostro specialissimo sistema museale «a rete»; dall’altro si pensionano a soli 67 anni personaggi di rara competenza come il soprintendente di Pompei, Piero Guzzo e il direttore generale per l’archeologia, Stefano De Caro.

Di più: un decreto Brunetta manda a casa alti dirigenti con 40 anni di carriera, entrati con merito a poco più di 20 anni ed ora poco oltre i 60. Uno scialo. Poiché non si sono fatti concorsi, dilagano gli interim: la stessa Pompei è ora gestita da una soprintendente che governa Napoli e si occupa pure del recupero dello opere d’arte rubate e d’altro.

Una pazzia. Come il divieto per ispettori e soprintendenti di usare la propria auto per le missioni sul posto. Ci sono mezzi pubblici di cui servirsi? No. Quindi non si va a controllare gli scavi (e i tombaroli ringraziano), i siti già aperti, i cantieri esterni, favorendo speculazione e malaffare. Così va nel Paese degli oltre 2000 siti archeologici. Ricchezza enorme senza investimenti.

A Pompei poi - dove esiste, come a Roma, una speciale Soprintendenza destinata a gestire i propri incassi - la diarchia fra soprintendente e city manager non ha mai funzionato granché. Il secondo, di nomina «politica», poteva pestare i piedi al primo quando voleva. E c’erano circa 700 dipendenti per tre quarti non assunti direttamente dalla Soprintendenza e organizzati per clan famigliari, centinaia di cani randagi che nessuno ricoverava né rendeva innocui, ecc. Guzzo ha chiamato a collaborare i migliori studiosi, lavorando sull’intero contesto urbano e sull’approfondimento del già scavato.

A camorra, corruzione e clientele ha opposto regole e legalità. «Ma - mi diceva poco tempo fa - non ho mai avuto l’appoggio del vertice politico che tiene molto ai voti».

Poi a Pompei è arrivato un commissario, Marcello Fiori, fedelissimo di Guido Bertolaso. Invece di concentrare i fondi sulla tutela più urgente, ha puntato a “spettacolarizzare” Pompei, dando al teatro romano una «cavea completamente costruita ex novo, con mattoni in tufo di moderna fattura» (denicia della Uil), O - come denuncia indignata l’Associazione nazionale Archeologi - ha speso in ologrammi virtuali e pannelli fotografici addirittura milioni. Che potevano evitare a Pompei di sfaldarsi. Al pari del ministero.

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